La chirurgia estetica, materia della quale stiamo esaminando alcuni profili di responsabilità del chirurgo, sconta da anni qualche riserva a motivo del suo oggetto, associato alla medicina del capriccio o dell'edonismo.
Traspaiono, in alcune sentenze, dei giudizi di carattere etico-morale verso coloro che vi fanno ricorso e, talora, verso i chirurghi che mettono a disposizione del cliente queste prestazioni: giudizi, questi, che hanno inciso sulle questioni legate all'accertamento della responsabilità del chirurgo estetico e di cui, ancora oggi, si avverte qualche eco.
In passato era comune richiedere al chirurgo di essere fedele nell'esaudire le esigenze del cliente, giacché questi rivolgeva allo specialista delle “capricciose richieste” che erano ritenute discutibili sia per chi le rivolgesse sia per chi le soddisfacesse: quelle di chiedere e ottenere puntualmente – o, almeno questa era la comune aspettativa, e non di meno - un aspetto esteriore ottimale e privo di imperfezioni, che aiuti a ridurre o ad eliminare il proprio stato di malessere psichico.
In realtà, nella letteratura medico-legale si ammette laicamente che ognuno di noi possiede quello che viene chiamato “complesso estetico individuale”: la propria corporeità è un patrimonio che deve essere vissuto serenamente, e non subito con riluttanza a causa di imperfezioni; il malessere psicologico della persona insoddisfatta dal proprio aspetto, infatti, si ripercuote negativamente in ambito comportamentale e sociale. E, dal momento che la concezione della salute divulgata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità non coincide con la mera assenza della malattia, ma con la promozione dell'integrale stato di benessere, non si fatica ad inquadrare la prestazione estetica nella normale medicina ordinaria e curativa o, per essere più precisi ancora, nella medicina plastica.
Ritrosie a parte verso la legittimità etica e morale della materia, resta pur sempre utile chiedersi se le regole per l'accertamento della responsabilità del chirurgo estetico siano differenti da quelle che abbiamo visto nei precedenti articoli.
E, qui, entra in gioco la questione dell'oggetto della prestazione del medico chirurgo e, di conseguenza, quella della fase dell'informativa.
Come abbiamo lasciato intravedere, in passato si riteneva, da un lato, che il paziente si rivolgesse al sanitario al solo scopo di ottenere una prestazione altamente qualificata (quasi di “artigianato specializzato”) che esaudisse pienamente le proprie capricciose richieste. Dall'altro lato, il chirurgo interveniva, secondo la comune percezione della giurisprudenza, su un corpo fisiologicamente sano, che non presentava anomalie: il modellare tratti di cartilagine ed epidermide rientrava sempre nell'alveo della prestazione routinaria, nella quale l'errore tecnico veniva sanzionato pesantemente. L'obbligazione, dunque, era strettamente di risultato: il medico che non si attenesse scrupolosamente alle richieste del cliente, rispetto alle quali aveva ben poche riserve sul piano tecnico e scientifico da poter opporre, si sottoponeva puntualmente ad istanze risarcitorie.
Ad oggi, la valutazione preliminare della condotta del chirurgo estetico si è attestata, più che sull'oggetto della prestazione (di mezzi o di risultato), su quella della pregnanza dei doveri informativi verso il paziente che hanno preceduto l'operazione stessa e della quale delimitano i contorni.
Tuttavia, anche nella chirurgia estetica si è approdati alle regole generali che, in tema di responsabilità contrattuale, scandiscono gli oneri della prova del medico e del paziente:
1. al paziente compete la dimostrazione del contratto (e, quindi, di come è stato strutturato) e del danno;
2. al chirurgo estetico compete liberarsi dimostrando che la prestazione è stata eseguita in modo corretto, anche se non ha raggiunto il risultato sperato dal cliente; e se anche era stato garantito il risultato, il medico potrà pur sempre dimostrare che, nel caso concreto, sono intervenute delle complicanze non prevedibili ed evitabili ex ante (ad esempio, le caratteristiche biologiche del paziente), tali da ostacolare la sua prestazione rigorosamente qualificata.
Questo ultimo punto, ossia la garanzia del risultato, va approfondita meglio. Se oggi non si qualifica più ipso facto la prestazione del chirurgo estetica come di risultato, ciò non vieta al chirurgo estetico di assumere in via contrattuale l'obbligazione di risultato. Il tema, dunque, diviene quello dell'indagine sull'oggetto del contratto che, quindi, definisce l'obbligazione e l'oggetto della prestazione.
In altre parole, è importante verificare se al paziente è stato prospettato uno specifico risultato finale di natura estetica e che questi, di conseguenza, vi abbia acconsentito (ad esempio, il medico può aver esibito al nostro paziente delle fotografie, prospettando delle alternative tutte ugualmente percorribili con garanzia del risultato).
In tale evenienza, la scorrettezza del medico, se vi è stata, va cercata nella fase informativa: il paziente ha acconsentito ad un intervento diverso, del quale gli era stato garantito il risultato, poi in concreto non raggiunto per il permanere di inestetismi. La lesione che qui rileva è quella al diritto all'autodeterminazione, valida a fondare il danno-evento; da questo profilo, in sé e di per sé non risarcibile, si dovranno fare discendere le conseguenze di danno, quelle sì risarcibili: di solito sono poste di natura non patrimoniale, dal momento che attengono a conseguenze che si evidenziano nell'interiorità del paziente, ancor più ini questa branca della medicina, nella quale la rimozione del disagio psichico assurge a finalità curativa. La difficile accettazione della nuova fisionomia, fosse stata quest'ultima anche raggiunta tramite un'operazione da manuale, può motivare l'istanza risarcitoria, se il medico aveva prospettato alternative percorribili alle quali il paziente aveva acconsentito e che erano entrate a far parte della causa concreta del contratto.
In definitiva, nel caso di errore da omessa o erronea informativa, il paziente deve verificare se, in fase diagnostica e prima dell'intervento il medico, con atto scritto:
1. aveva prospettato, con certezza o elevatissima probabilità logica, il raggiungimento non di un generico risultato, ma di quello/i specifico/i risultato/i mostrato/i al paziente;
2. aveva taciuto o sottaciuto specifiche eventualità di insuccesso dell'operazione. In questo campo di indagine rientrano le indicazioni sulle caratteristiche biologiche del paziente, dato che ognuno di noi presenta connotati dermatologici differenti, a differenza di quanto si ritenesse nella giurisprudenza d'antan);
3. aveva previsto, in base alle Linee Guida e alle buone pratiche conoscibili e percorribili in quel tempo, l'insorgenza di complicanze o decorsi post-operatori sfavorevoli al cliente, con conseguenze eliminabili o riducibili per mezzo di prognosi più dettagliata. In questa voce facciamo rientrare gli esiti “cicatriziali” (le banali cicatrici) che, sebbene comuni in qualsiasi branca della chirurgia, nella chirurgia estetica assumono maggior valore perché non è detto che il paziente, ove consapevole degli esiti, accetterebbe di sottoporsi all'intervento;
4. aveva prospettato, all'occorrenza, l'opportunità di sottoporsi a trattamenti meno pervasivi e dagli effetti meno stabili, onde elidere o ridurre la sofferenza psichica che, per definizione, nella chirurgia estetica è proprio correlata all'inestetismo. L'occorrenza rientra nella ponderazione dei rischi a cui si espone il paziente in rapporto agli scopi dell'intervento.
Va pur evidenziato che, con queste considerazioni, non si stanno per nulla aprendo le porte, per così dire, a tutte le aspettative voluttuarie del paziente, bensì a quelle, e soltanto a quelle, che hanno trovato corrispondenza nelle precise prospettazioni del medico, in fase diagnostica. Le richieste del soggetto paziente possono solo orientare la mano chirurgica. Perché il medico non venga confuso con un professionista altamente qualificato che esegue i desiderata (o “capricci”) del paziente, va ricordato che questi è pur sempre chiamato ad attenersi a leggi scientifiche e indicazioni ben più preminenti rispetto a quelle transitorie del paziente (un po', se vogliamo, alla stregua dell'avvocato, il quale per deontologia è chiamato a rappresentare l'interesse del cliente, mantenendo quella indipendenza ed autonomia nella difesa tecnica che gli consenta di non incorrere in azioni o liti dilatorie o temerarie, peraltro sanzionate dall'ordinamento perché nocive). In conclusione, le indicazioni di natura estetica del cliente rilevano come indice esterno della prestazione del chirurgo e, anche qualora assurgessero ad oggetto del contratto, valgono al più ad individuare profili di responsabilità per lesione del diritto all'autodeterminazione (con tutto ciò che ne consegue).
Diverso mondo, invece, è quello dell'errore nella fase esecutiva, nel quale si riversano le ordinarie considerazioni intorno alla condotta imperita o negligente che, alternativamente, il medico abbia tenuto. In tale evenienza il paziente non si lamenta perché l'intervento, tecnicamente riuscito, non ha soddisfatto le sue aspettative (e, abbiamo appena visto, in tal caso val la pena di studiare l'informativa contrattuale); viene invece in risalto l'errore tecnico, da non confondere in nessun caso con il piano del risultato estetico atteso dal paziente.
Come abbiamo già visto in altri articoli, l'errore del medico che provoca la lesione può accadere in diverse fasi.
• Nella fase diagnostica, il medico può aver omesso o errato nel valutare il quadro clinico del paziente e, di conseguenza, aver applicato un protocollo operativo che non si attagliava al caso concreto. In questo caso, il paziente dovrà allegare e, a tratti, dimostrare che il protocollo operativo seguito non era adeguato e che, se ne fosse stato seguito un altro, il paziente non avrebbe patito la lesione. Tali temi di indagine, di solito, sfociano nella Consulenza Tecnica d'Ufficio disposta dal giudice. Inoltre, va evidenziato il fatto che la Linea Guida non sempre è univoca rispetto al caso concreto;
• nella fase esecutiva vera e propria, intervengono delle circostanze che inducono il chirurgo a sbagliare l'operazione. Va da sé che, per liberare il sanitario da ogni addebito di colpa, la circostanza debba risultare del tutto esterna, anomala e concretamente imprevedibile rispetto all'organizzazione dei mezzi dispiegata dal sanitario.
Abbiamo più volte osservato altrove che il semplice addebito della colpa non vale, ipso facto, a ritenere il medico responsabile, tanto più che questi potrà sempre dimostrare che sono intervenute complicanze non prevedibili ex ante (la reazione atipica del paziente, ad esempio), le quali assurgono a fattori di ordine naturalistico che, di norma, elidono il nesso di causalità tra la condotta erronea e l'evento di danno.
Va ribadito che, a fronte della correttezza tecnica dell'intervento che abbia raggiunto un risultato estetico tipicamente riscontrabile con quel protocollo, non si può ravvisare una responsabilità del medico chirurgico, quantomeno sotto il piano della lesione all'integrità psico-fisica del paziente.
Sotto il profilo inerente al danno, vengono in luce le consuete categorie. Da un lato, ovviamente, il danno patrimoniale, che può consistere nella rifusione delle spese dell'intervento come pure, per quei pazienti che facciano uso del proprio corpo per le finalità lavorative, del danno da lucro cessante (ove venga concretamente e seriamente provata la riduzione di reddito, con tutti i mezzi di prova e le presunzioni messe a disposizione da parte dell'ordinamento).
Dal lato del danno biologico entra in gioco il danno estetico, vale a dire l'alterazione dell'aspetto esteriore della persona, valutata in termini medico-legali. Sopra abbiamo rilevato che, nella letteratura medico-legale, l'individuo viene valutato come unità psico-fisica che ha dei connotati sia dinamici che relazionali. Un soggetto, cioè, definisce la propria identità sia sulla base di fattori personali che sulla base di fattori ambientali (fattori che, tra l'altro, sono ben noti nelle scienze sociali e che nell'ICF concorrono a definire il funzionamento della persona nei contesti ambientali). Ora, gli attributi estetici rilevano, sotto questa veste, in ragione della materia; ciò non toglie che il danno estetico possa compromettere l'integrità psico-fisica della persona, o la sua vita di relazione, anche a causa di altri interventi di medicina ordinaria.
In termini strettamente pratici e operativi, di solito si adottano tabelle oggettivate che consentono di valutare il danno estetico sulla base di attributi che, tenendo conto dei fattori personali (età, sesso, stato civile, professione, cultura etc.), individuano un punteggio di danno maggiore in ragione del posizionamento delle lesioni.
Nessun commento:
Posta un commento