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Fonte: Il Fatto Quotidiano 5 maggio 2025 |
Peccato che i conti della serva facilmente ingannino, soprattutto quando valutazioni accurate sono tutt’altro che semplici. Per questo il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha recentemente organizzato un convegno su "I vantaggi fiscali dei fondi pensione alla prova dei numeri" da cui sono emerse conclusioni che smentiscono quanto affermato su fondi pensione e simili.
In ogni caso occorre separare i due aspetti: redditività degli investimenti e vantaggi fiscali. La prima è aleatoria e potrà essere superiore o inferiore alla rivalutazione del Tfr. Il punto è il contributo che arriva in sé dal migliore trattamento fiscale. Per valutarlo correttamente, occorre riportarlo su base annua, cosa che l’industria del risparmio gestito evita di fare. Viene fuori infatti che con redditi medio-bassi la redditività di lungo periodo aumenta solo di uno 0,2-0,5% annuo. Quindi facilmente meno di commissioni, costi e spese.
Aderendo a un fondo pensione un lavoratore va incontro a costi pluriennali congiunti con l’irrevocabilità della scelta. Un trentenne che vi destina il proprio Tfr, non sfugge a oltre trentacinque anni di addebiti. E spesso bastano i soli costi espliciti per annientare il vantaggio fiscale e portare in negativo il saldo netto, pure a prescindere dai rischi di malversazioni e da tutti gli altri aspetti negativi. A scanso di contestazioni, si è lavorato sull’Ics (indicatore sintetico dei costi) medio per categorie, ufficialmente pubblicato dall’organo di vigilanza (Covip), benché sia una stima per difetto.
Viene fuori così che con stipendi medio-bassi appare svantaggioso aderire a un fondo chiuso prima dei 48 anni e a un fondo aperto prima dei 60. Quindi i giovani hanno un valido motivo per tenersi il Tfr. Gli sbandierati regali del fisco risultano quindi specchietti per le allodole di sindacati, padronato e risparmio gestito per mettere le mani sul Tfr dei lavoratori.
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