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lunedì 7 ottobre 2024

Consumatore & ospedale - quale responsabilità medica prima della Legge Gelli Bianco

Con questo intervento avviamo la trattazione di un argomento già oggetto di precedenti interventi, ossia quali diritti spettano al consumatore dei servizi sanitari e, di conseguenza, come può essere delineata la responsabilità del medico e della struttura sanitaria nel caso di errore medico.

Occorre premettere che la materia è stata riformata con la recente legge Bianco-Gelli, accompagnata dai vari sviluppi giurisprudenziali che hanno tanto animato gli specialisti negli ultimi anni. 

Per comprendere le ragioni di questo dibattito, però, dobbiamo guardare più da vicino quali sono stati (e quali sono) i delicati rapporti che gravitano intorno alla struttura sanitaria e, soprattutto, intorno al medico (figura coinvolta sotto più profili, quello civilistico e quello personal-penalistico): appunto, i due soggetti normalmente preposti a tutelare la salute e la vita del paziente. Una visione panoramica sopra le due figure, che sia tra di loro che col paziente intrattengono relazioni significative, ci aiuterà a afferrare il regime della responsabilità medica

Ma, prima di entrare nel merito di quei discorsi, riteniamo altrettanto utile fornire dei cenni molto brevi – necessari soprattutto per i non addetti ai lavori - sulla distinzione tra la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale. La scelta tra uno o l’altro dei due regimi, infatti, non è priva di conseguenze per il consolidamento della posizione processuale del paziente. 

Per quanto qui ci riguarda, la responsabilità civile dell’esercente la professione medica si suddivide, appunto, in responsabilità contrattuale (articolo 1218 codice civile) e responsabilità extracontrattuale o aquiliana (articolo 2043 codice civile).

Con il primo titolo di responsabilità (contrattuale) si presuppone l’esistenza di un rapporto obbligatorio tra le parti, nel quale sia stata trovata inadempiente una delle due; con il secondo (extracontrattuale), invece, si dà per assodato che le sfere giuridiche dei privati non si siano mai incrociate prima della commissione dell’illecito.   

I risvolti pratici dei due titoli di responsabilità che più riguardano da vicino la posizione del paziente sono essenzialmente due: 

con riguardo al termine di prescrizione, l’azione da inadempimento del contratto si prescrive nel termine ordinario di dieci anni dal fatto; quella derivante dall’illecito aquiliano, invece, nel più breve termine di cinque anni dall’insorgenza dell’evento di danno (articolo 2947 codice civile);

rispetto al riparto dell’onere della prova in giudizio, si devono individuare gli elementi di struttura dei due tipi di responsabilità, individuando i soggetti che sono direttamente onerati a provare quegli elementi. Va subito precisato che non sempre il soggetto è onerato di fornire quelle prove alle quali è agevolmente vicino e, quindi, nei fatti partirà da una posizione processuale di svantaggio.

Solitamente, il paziente è colui che deve provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica (ovvero l'insorgenza di nuove malattie), senza dover provare specifici e peculiari aspetti di responsabilità professionale; per contro, il medico (ovvero l'ente ospedaliero o la struttura sanitaria) deve provare che la prestazione fu eseguita in maniera diligente e che gli esiti peggiorativi del suo intervento sono stati determinati da un evento esterno imprevisto ed imprevedibile.

Anche la prova del nesso di causalità (ossia della connessione tra l’inadempimento e la lesione al diritto alla salute) è rimessa al paziente, ma la giurisprudenza apre la porta alle presunzioni semplici, che aiutano a sopperire ai carichi probatori di quest’ultimo. 

Con riguardo agli aspetti più sostanziali dell’inadempimento, qualora questo sia dipeso dalla colpa del debitore (e, nell’ambito della responsabilità medica è lo stato psicologico più ricorrente), il medico (e di rimando la struttura) risponderà soltanto dei danni prevedibili quando è sorta l’obbligazione, e non anche dei danni che non potevano essere previsti ed evitati con la diligenza qualificata (articoli 2056 e 1225 codice civile). 

Diverso è il quadro probatorio che appare nelle cause di responsabilità extracontrattuale, nelle quali la prova di tutti i fatti costitutivi dell’illecito (vale a dire, la condotta colposa o dolosa del medico, il nesso di causalità, il danno e la sua ingiustizia) è demandata in toto al paziente, e non al medico (o alla struttura) che, diciamo così, possono limitarsi a formulare negazioni, eccezioni oppure a formulare dei fatti impeditivi rispetto a quelli prospettati dall’attore. 

Non solo, nella responsabilità extracontrattuale il paziente deve dar conto anche della sussistenza del dolo o della colpa del professionista, in quanto su di lui incombe tale e difficile onere della prova. 

Se è pur vero che nella prassi giudiziaria viene fatto ricorso a delle presunzioni (lo abbiamo detto poc’anzi) che, di fatto, invertono l’onere della prova in punto causalità dal paziente al medico, è comprensibile a quale ingente carico processuale venga sottoposto il paziente che debba agire a titolo di responsabilità extracontrattuale contro il professionista sanitario. 

Premesso tutto ciò, veniamo finalmente a quanto riguarda più dal vivo la struttura e il medico, i due soggetti che gravitano intorno al paziente.  

Responsabilità ospedale

Con riferimento alla struttura sanitaria, non vi sono mai state particolari perplessità circa la classificazione del rapporto come contrattuale, dal momento che nella grande maggioranza dei casi il paziente, in prima battuta, si interfaccia direttamente con la struttura ospedaliera. 

Questo interfacciarsi con la struttura (il c.d. “contatto sociale” nella vecchia dicitura della giurisprudenza) può portare, poi, la struttura ospedaliera a concludere un contratto col paziente che ad essa si rivolge per ricevere assistenza medica e, quindi, ad assumere obbligazioni di varia natura. Ciò che emerge è un rapporto paritetico di natura contrattuale, esplicito nel caso in cui il paziente si interfacci con la struttura privata, implicito allorché si interfacci con la struttura pubblica.

Tipicamente, le prestazioni ospedaliere possono essere ricondotte a due suddistinzioni: 

1. Innanzitutto, la struttura si obbliga alla fornitura di prestazioni di natura alberghiera (somministrazione di vitto ed alloggio) e soprattutto, a mettere a disposizione del paziente servizi di assistenza sanitaria vera e propria, incluse le attrezzature necessarie e le prestazioni degli operatori da questa dipendenti. Detto contratto è tecnicamente definito di “spedalità”: un contratto atipico a prestazioni corrispettive tramite il quale la struttura assume l’impegno di erogare un servizio complesso, dietro il pagamento di un corrispettivo da parte del paziente o di un terzo (il Servizio Sanitario Nazionale oppure una compagnia di assicurazione).

2. le strutture sanitarie, e soprattutto quelle private, nel mettere a disposizione il personale medico e ausiliario, nonché tutte le attrezzature necessarie per gestire le complicazioni e le emergenze, presuppongono che il medico ponga in essere le proprie prestazioni all’interno della loro struttura. Talora, quel medico può essere quello di fiducia del paziente o collaborare in modo del tutto occasionale con la struttura stessa. In ogni caso, la prestazione del medico è comunque indispensabile a quella struttura sanitaria per adempiere l'obbligazione assunta con il paziente (a meno che questa non abbia assunto una prestazione esclusivamente alberghiera).

In altri termini, la struttura privata non resta sullo sfondo di questo rapporto, tanto più se consideriamo che l’operato professionale del medico, a propria volta, è influenzato dalla dotazione ambientale e strumentale del società.  

Poste queste premesse di contesto, la struttura può rispondere sia per fatto proprio (articolo 1218 codice civile) che per fatto doloso o colposo altrui (articolo 1228 codice civile). Al primo titolo di responsabilità viene ricondotto il c.d. “danno da disorganizzazione”, di solito dovuto a carenze organizzative proprie della struttura. Il secondo titolo di responsabilità, invece, entra in gioco quando un ausiliario della struttura violi un obbligo attinente alla prestazione medica (diagnosi, terapia etc.). 

Tale disciplina, ovviamente, ha trovato il proprio terreno di elezione all’interno dell’ospedale pubblico; poi, via via, è stata indifferentemente applicata alla casa di cura privata. Si prescinde quindi dalla natura della struttura sanitaria poiché gli eventuali inadempimenti contrattuali si ripercuotono in ogni caso sul diritto fondamentale alla salute e alla vita del paziente (che abbiamo visto essere preminente, nelle valutazioni in materia).  Ragion per cui entrambe le tipologie di strutture debbono soggiacere agli stessi obblighi, senza differenze risarcitorie o nel regime di responsabilità. 

In definitiva, la struttura, non importa se pubblica o privata,  risponde, nei confronti dell’assistito, a titolo contrattuale sia per le condotte proprie (ad esempio per inadeguatezza dell’ambiente ospedaliero, la carenza nella strumentazione tecnologica necessaria al trattamento eseguito, etc.) sia per le condotte dolose o colpose poste in essere dagli esercenti le professioni sanitarie che comunque operano all’interno della stessa. 

Talora, poi, si assiste al cumulo (o concorso) dei due titoli di responsabilità (vale a dire, contrattuale ed extracontrattuale) in capo alla struttura sanitaria. Le ragioni di tale cumulo si giustificano quando l’inadeguatezza dei servizi della struttura, oltre a non consentire la corretta esecuzione delle obbligazioni connesse al contratto di spedalità, è idonea a menomare direttamente la sfera giuridico - personale del paziente e, quindi, ad integrare una autonoma voce di danno. Senza introdurre in questa sede la copiosa elaborazione in sede sovranazionale e costituzionale dei principi posti a tutela dei diritti del paziente (o “malato”, secondo la curiosa dicitura della Carta europea di Bruxelles del 2002), ci limitiamo a ricordare che il diritto all’integrità psico-fisica del paziente è un diritto assoluto e di spettanza esclusiva del paziente, tutelato dall’articolo 32 e 2 della Costituzione (diritto che, declinato secondo le indicazioni sovranazionali sui servizi essenziali, comprende l’accesso ai servizi sanitari, ad acquisire informazioni sul proprio trattamento, a ricevere trattamenti celeri e adeguati, a strumenti e personale di qualità che garantiscano la sicurezza e leniscano le sofferenze etc.).

Responsabilità medico 

Con riguardo alla responsabilità civile del medico - figura forse più ambigua di quella della struttura -  è opportuno tracciare un excursus storico che ci aiuti a comprendere meglio le ragioni delle oscillazioni del titolo di responsabilità ricondotto, nel corso degli anni, al professionista. Oscillazioni che, allo stato paiono essersi fermate ma che non di esclude che riprenderanno.

Ora, il rapporto tra medico libero professionista al di fuori di strutture sanitarie pubbliche o private organizzate e il paziente (pensiamo agli oculisti, ai dentisti, ai ginecologi etc.), solitamente rientra nella tradizionale figura della prestazione intellettuale e assume natura contrattuale. E, fin qui, non vi sono problemi di sorta nella qualificazione del rapporto. 

Per ciò che attiene al rapporto tra il medico inquadrato in una struttura e il paziente, si sono succedute posizioni apertamente contrastanti che hanno riconosciuto a tale rapporto una natura ora contrattuale, ora extracontrattuale.

Nel passato, l’orientamento più diffuso in giurisprudenza riteneva che al medico si dovesse applicare sempre e soltanto l’articolo 2043 codice civile (responsabilità extracontrattuale): questo perché il paziente instaurava il proprio rapporto (e, in un certo senso, anche oggi) direttamente con la struttura sanitaria, e non anche col medico. Di conseguenza, si affermava la responsabilità contrattuale a carico della struttura (che, ovviamente, rispondeva contrattualmente dell’operato dei propri dipendenti, ai sensi dell’articolo 1228 codice civile) e aquiliana a carico del medico dipendente. 

Se, da un lato, abbiamo compreso che l’azione a titolo di responsabilità aquiliana risulta(va) più gravosa da sostenere da parte del paziente, dall’altro lato non consentiva al medico di invocare un’importante deroga prevista per le professioni intellettuali dall’articolo 2236 codice civile: se la prestazione professionale implica la soluzione di problemi di speciale difficoltà, la responsabilità è limitata ai soli casi di dolo e colpa grave, e non anche per la colpa lieve come prevede la norma generale sulla diligenza. Qualora il paziente avesse intentato con successo l’azione risarcitoria sia nei confronti del medico che della struttura sul presupposto della colpa lieve del professionista, si sarebbe giunti all’incongrua soluzione di condannare il medico al risarcimento e, per contro, di scagionare la struttura sanitaria (essendo, per essa, operativo il titolo contrattuale e, quindi, il regime delle prestazioni). 

Tra l’altro, si incorreva nella spiacevole incongruenza per la quale il medico, se ricopriva il ruolo del libero professionista all’esterno della struttura, pacificamente si avvaleva dell’articolo 2236 codice civile e, pertanto, non era ritenuto responsabile per i danni causati con consulenze di speciale difficoltà; al contrario, se egli operava all’interno di una struttura ospedaliera, non si vedeva applicare la medesima norma (o se la sarebbe vista applicare più avanti, per mezzo dell’interpretazione analogica effettuata dalla giurisprudenza). 

Successivamente, la giurisprudenza si è sforzata a far rientrare il rapporto tra il medico e il paziente all’interno del paradigma contrattuale. E, d’altro canto, tale paradigma era giustificato dalla diversa percezione del diritto alla salute che, ai primordi dell’ordinamento repubblicano, era considerato una pubblica funzione da erogare verso la collettività organizzata e soltanto a partire dagli anni settanta venne considerato, in tutto e per tutto, un diritto personale opponibile verso le strutture pubbliche e rispondente ad interessi esclusivamente personali. 

Per giustificare natura contrattuale del rapporto sono state elaborate diverse tesi, non sempre calzanti e congruenti. Tra queste, la più convincente è stata quella in cui si riteneva che le obbligazioni del medico derivassero direttamente dalla legge (teoria, c.d., della posizione di garanzia, adottata peraltro anche in sede penale). Il medico che si sia abilitato, sia stato inserito in una struttura, un determinato reparto e, financo, in una équipe è quel soggetto che riveste la posizione di garanzia verso il paziente, a tutela del suo stato di salute, rispondendo sia del proprio operato che dell’operato dell’équipe in cui è inserito, allorquando non abbia dato direttive e istruzioni agli altri membri per prevenire le fonti di rischio. 

Si delinea(va) il rapporto di cura, una serie di prestazioni informate a precisi obblighi (diligenza qualificata, perizia e lealtà professionale) e a doveri di informazione prima della fase terapeutica. 

Da ultimo, e più precisamente negli anni novanta e nei primi anni duemila, la responsabilità contrattuale del medico venne desunta dalla particolare figura del contatto sociale qualificato, su cui val la pena di spendere alcune parole, essendo stata presente nel panorama giurisprudenziale fino all’adozione della Legge Gelli-Bianco. 

Il contatto sociale qualificato (figura peraltro ricorrente in altri comparti della pubblica amministrazione: pensiamo al dovere di vigilanza da parte dell’insegnante verso gli alunni) non indica la formazione di un contratto vero e proprio tra le parti, bensì una circostanza – quale è l’ingresso del paziente nella struttura e il primo consulto col medico – ritenuta produttiva di obblighi generali di protezione. Dal momento che il medico non è un quivis de populo, ma una figura vincolata per deontologia al dovere di curare il malato, non è necessario che egli stipuli un contratto col paziente, ma è sufficiente la semplice circostanza di fatto del contatto, perché si attivino la sua posizione di garanzia e i suoi obblighi di protezione. 

Sennonché questa figura, evidentemente dai contorni sfuggenti, generava diversi ordini di problemi. 

Il primo riguardava l’individuazione delle prestazione effettivamente pretendibili dal medico, dal momento che gli obblighi generali di protezione travalicavano i limiti di un normale contratto d’opera professionale, 

come pure gli obblighi ai quali il medico era tenuto verso la struttura. 

Il secondo ordine di problemi era rappresentato dal proliferarsi delle cause intentate dai pazienti verso i medici e, correlativamente, dalla fuga degli assicuratori dal ramo assicurativo della salute, dal momento che i rischi sottesi all’attività professionale erano aumentati a dismisura. La ragione principale di tale incremento di cause (tutt’oggi non sopito) è da individuarsi nella vantaggiosa posizione processuale che il paziente poteva ricoprire nelle azioni a titolo contrattuale che, come abbiamo già citato, consentono degli oneri di allegazione e prova meno gravosi. 

L’intervento del decreto Balduzzi (D.L. 13 settembre 2012, n. 158) ha, per così dire, incrinato la possibilità di riconoscere nel medico, sempre e in ogni caso, una responsabilità di natura contrattuale. In particolare, nell’articolo 3 di tale decreto, oltre ad introdurre una esimente di natura penale per i danni arrecati con colpa lieve, lasciava intendere che gli obblighi del medico fossero di natura extracontrattuale. La giurisprudenza, tuttavia, ha circoscritto la portata di tale affermazione soltanto alle condotte successive all’entrata in vigore del Decreto (e ciò in applicazione del principio di irretroattività) e, soprattutto, ai casi di colpa lieve. Un revirement generalizzato da parte della giurisprudenza, dopo almeno vent’anni di monopolio della responsabilità contrattuale, era dunque fuori discussione; soltanto alcuni tribunali locali, e in modo del tutto isolato, aderirono alla tesi della responsabilità extracontrattuale. 

Il quadro così delineato sotto il profilo della responsabilità del professionista (medico) e della struttura sanitaria (pubblica e/o privata) è rimasto fino alla riforma introdotta con la Legge Gelli - Bianco.

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