Fonte: Il Fatto Quotidiano 27 agosto 2024 |
La ministra del lavoro Marina Elvira Calderone ha parlato della «riapertura di un semestre di silenzio-assenso» per la destinazione del Tfr alla previdenza integrativa, cui avrebbero aderito in pochi perché «non è stata spiegata bene». In realtà è il contrario. Fosse stata presentata in modo corretto, avrebbero aderito in meno.
Il sottosegretario Claudio Durigon della Lega ha poi addirittura annunciato una proposta di legge per il trasferimento obbligatorio del 25% del Tfr nelle forme previdenziali per ovviare alle pensioni prevedibilmente troppo basse. Viste tali esternazioni, merita fare il punto della situazione.
Precisiamo subito che, come risparmio previdenziale, il buon vecchio TFR ha funzionato in modo egregio in periodi di alta inflazione: +10% di rivalutazione nel 2022 rispetto a perdite medie del fra il 10 e 11% della previdenza integrativa. Ha rispettato le promesse in tempi di bassa inflazione e ha offerto rendimenti fra i più alti con deflazione e tassi negativi. Difficile trovare di meglio per un risparmiatore non incline agli azzardi borsistici. Sull’altro versante, cioè per il datore di lavoro, è una fonte di finanziamento a condizioni ragionevoli. È odiato e attaccato solo da soggetti in conflitto d’interesse: banche, gestori, assicurazioni, sindacati non di base e associazioni padronali, con giornalisti al seguito. Insomma da chi può trarre vantaggi in un modo o nell’altro se esso è trasferito alla previdenza integrativa.
Ciò chiarito, facciamo due discorsi. Per cominciare è sempre odioso estorcere un accordo col silenzio-assenso, cioè obbligare uno ad attivarsi per impedire che gli cambino le carte in tavola. Si tratta di una furbata per incastrare le persone distratte, meno pronte, non sempre sul chi vive o momentaneamente in difficoltà. Insomma, per approfittare dei più deboli.
Passando alla proposta di Durigon, non per nulla di estrazione sindacale, c’è un motivo specifico che nei fatti la svuota di validità. Si ricava da dati ufficiali, che però quasi tutti cercano di tenere ben nascosti. Smontano infatti la narrazione propagandistica dominante, secondo cui gli aderenti a fondi pensione e simili se la passerebbero bene nella loro vecchiaia grazie a un reddito aggiuntivo alla pensione dell’Inps.
Di regola ciò non si verifica affatto. Quasi tutti gli interessati non ricevono nessuna rendita vitalizia, ma semplicemente incassano una singola somma di denaro, come col Tfr. Lo si scopre dalle relazioni annuali dell’organo di vigilanza cioè della Covip, per altro partigiana sfegatata della previdenza integrativa. Prendiamo in particolare i tanto decantati fondi negoziali: nel 2023 il 99% degli interessati ha rinunciato alla rendita e preferito un capitale una tantum: 62.103 rispetto a 574. È così in generale anche per gli anni precedenti e per le altre forme previdenziali, quando più quando meno, dove più dove meno. Nei rari casi poi di rendita spesso non è stata neppure una scelta, ma il risultato di un’imposizione normativa.
Quindi la proposta di Durigon non va nella direzione di aumentare una pensione pubblica troppo bassa. Ci si può aspettare che quasi tutti gli interessati opterebbero all’età della pensione per un capitale anziché una rendita: pochi maledetti e subito o anche molti benedetti, ma comunque subito. Rispetto al mantenimento del suddetto 25% del Tfr in azienda, tale capitale sarà forse superiore, circa uguale o inferiore; oppure anche sciaguratamente basso in caso di alta inflazione. Se gli va bene, i lavoratori avranno un vantaggio modesto contro la perdita della disponibilità immediata dell’intero Tfr in caso di licenziamento, contro costi che distruggono vantaggi fiscali e contributo datoriale, sempre in totale mancanza di trasparenza. Se gli va male, ci rimetteranno su tutti i fronti. Ci guadagnerebbero i soliti che si avvantaggiano della previdenza integrativa: l’industria parassitaria del risparmio gestito, in questo caso alleata ai sindacati e alle associazioni padronali.
Restano comunque valide tutte le obiezioni da altri giustamente sollevate. In particolare non aiuterebbe i lavoratori precari senza Tfr, né quelli con redditi talmente bassi che le modestissime cifre accantonate gli frutterebbero ben poco.
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