sabato 4 luglio 2020

Come evitare perdite disastrose? Investire in titoli di Stato degli Usa

Fonte: Il Fatto Quotidiano
4 maggio 2020
Chi ha soldi da parte, si chiede cosa fare in questi momenti. Pensiamo però in particolare a quanti sono alla ricerca di sicurezza, più che (baldanzosamente) di alti rendimenti.

Purtroppo non è scontato che l’epidemia e la conseguente crisi economica siano davvero in via di soluzione. Né si può escludere una crisi finanziaria generalizzata, con ripercussioni ben più ampie di quelle viste finora. Per adesso il coronavirus ha provocato veri e propri crolli solo per le azioni e quasi tutti gli investimenti a esse collegati: fondi comuni, etf, fondi pensione, certificati ecc. Ma la situazione potrebbe peggiorare.

Perché non mettere qualcosa in titoli di Stato americani e in particolare in quelli reali, simili ai Btp-i italiani? Per esempio negli Usa Tips 0,5% 15-04-2024, codice Isin US9128286N55, dove la sigla Tips sta per Treasury Inflation Protected Security. Hanno un taglio minimo bassissimo, per la precisione 100 dollari, e godono della tassazione ridotta al 12,5%.

In tal modo uno sistema parte dei propri risparmi in un’attività priva di rischi di default, qualunque cosa capiti all’Italia, all’euro e all’Unione Europea. Gli Stati Uniti d’America non saranno mai insolventi, già solo perché possono “stampare” tutti i dollari che vogliono. Certo che emettere troppa moneta favorirebbe l’inflazione, ma i titoli in questione sono appunto quelli che coprono tale rischio.

Il risultato finale dell’investimento dipenderà dall’andamento del dollaro, esente comunque da rischi di tracolli simili a quelli della lira turca o del peso venezuelano.

Per chi cerca soluzioni difensive quella tratteggiata è un’alternativa logica, addirittura ovvia come forma di diversificazione. Non sarebbe neanche il caso di parlarne, se non fosse che banche e falsi consulenti non la propongono mai, perché non gli permette corposi guadagni a danno dei clienti. Ben altra è la roba che vogliono sbolognargli.

Un problema possono essere proprio le banche italiane, perché alcune si rifiutano, in buona o mala fede, di eseguire ordini di acquisto per tali titoli. Sostengono che la normativa li riserva agli investitori professionali. Nella sostanza sarebbero troppo rischiosi, perché cedole d’interessi e rimborso finale dipendono da un indice, quello dei prezzi al consumo negli Usa. È il contrario, proprio perché indicizzati all’inflazione, sono al contrario meno rischiosi di quelli a tasso fisso, liberamente acquistabili. Ciò conferma che un risparmiatore deve identificare il suo primo nemico nella propria banca o nel proprio sedicente consulente finanziario.

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