domenica 28 febbraio 2021

Il fisco deve provare il maggior valore dell'immobile per aumentare le tasse nel caso di vendita

Nel caso di vendita di un immobile, se l'Agenzia delle Entrare ritiene che il valore del bene oggetto di rogito notarile sia inferiore a quello di mercato, è tenuta ad offrire una prova concreta del valore eccessivamente basso indicato in atto e finalizzato a pagare meno tasse da parte del contribuente.

Il caso è stato affrontato dalla Commissione Tributaria Regionale della Liguria, investita dal ricorso presentato da contribuenti contro l'avviso di liquidazione con il quale l'Agenzia, dopo aver rettificato il valore di vendita di un immobile, ha chiesto il pagamento di maggiori imposte ipotecarie e catastali collegate al passaggio di proprietà.

Parte appellante ha contestato la motivazione con la quale l'ente impositore ha, in ultima istanza, aumentato le tasse collegate alla vendita, evidenziando la carenza di una prova certa in merito al maggior valore veniale dell'immobile in quella determinata zona geografica e in questo periodo storico. 

Il giudice ha accolto la tesi dell'appellante, osservando che ai fini dell'accertamento del maggior valore di una casa nella compravendita immobiliare, l'Agenzia delle Entrate è autorizzata ad utilizzare il metodo compartivo (ossia comparazione della vendita con altre avvenute nella medesima zona e periodo storico), sempreché che vi siano più vendite da porre in comparazione alle medesime condizioni, al fine di provare in modo certo che il valore del bene indicato nell'atto notarile è significativamente minore rispetto a quello di mercato. 

Se manca tale presupposto, il principio applicato dall'Ufficio non può essere ritenuto valido e la motivazione dell'atto adeguata a giustificare la maggiore ripresa a tassazione pretesa verso il contribuente con l’avviso di liquidazione. 

Qui CTR della Liguria

Commissione Tributaria Regionale Liguria

Sentenza n. 750/2020

Svolgimento del processo

Con un primo atto di appello, iscritto al n. 819/17 di R.G., depositato in data 31 maggio 2017 i sigg. ri U. T. e M. T. hanno impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Genova primo dicembre 2016 n.2269 che ha respinto il ricorso avverso l'avviso di liquidazione n. 20131100563000 notificato loro in data 20 marzo 2015 e relativo ad imposta ipotecaria catastale per l'anno 2013.

Con tale avviso, l'Ufficio ha elevato da euro 460.000 a euro 555.000 il valore dichiarato per la compravendita di un locale ad uso ufficio in XXXXXX Via XXXXX, di cui a rogito notaio XXXXXX registrato in data 19 aprile 2013 serie 11 n. 5632 e ha liquidato maggiori imposte ipotecaria e catastale, oltre ad interessi.

Tale atto è stato impugnato in primo grado con ricorso iscritto al n. 83/16.

Il primo giudice ha respinto il ricorso sulla base della seguente motivazione:

"...è pur vero...che l'Ufficio ai fini della valutazione ha portato a confronto un unico immobile, ma questo risulta compravenduto dalla medesima società, adibito anch'esso a ufficio e situato nel medesimo complesso immobiliare. Nella specie questa commissione non ravvisa i lamentati vizi di legittimità e/o errori di valutazione con beni similari così come sostenuto dalle parti in ricorso. Al contempo va rilevato che i contribuenti non hanno fornito alcun elemento atto a confutare il maggior valore accertato. Valore che viene riconosciuto congruo dalla Commissione tenuto conto sia delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell'immobile, sia della sua ubicazione".

L'appello ripropone i motivi dedotti in primo grado e censura in maniera specifica le affermazioni della sentenza impugnata evidenziando: a) la circostanza evidenziata dalla sentenza di primo grado secondo cui l'immobile sarebbe stato compravenduto dalla stessa società, fosse adibito a ufficio e fosse situato nello stesso complesso non assumerebbe alcuna rilevanza avendo imposto l'art. 51, comma 3, d.p.r. 131/86 il confronto con una pluralità di immobili; b) l'affermazione contenuta nella sentenza secondo la quale i contribuenti non avrebbero fornito alcun elemento utile a confutare il maggior valore accertato sarebbe non vera in quanto gli stessi avrebbero dato conto delle differenti caratteristiche di ubicazione dell'immobile oggetto di rettifica rispetto a quello oggetto di comparazione; c) la sentenza di primo grado non avrebbe preso posizione sugli altri motivi di ricorso ed in particolare 1) sulla mancata indicazione della compravendita usata come paragone; 2) sulla presunzione unica e discordante costituita dai valori OMI, 3) sulla errata quantificazione dei metri quadri catastali; 4) sul raffronto con altro accertamento; 5) sulla violazione del principio del contraddittorio.

Si è costituito in giudizio l'Ufficio, chiedendo la reiezione del ricorso.

Con secondo atto di appello, iscritto al n. 906/17 di R.G., depositato in data 22 giungo 2017, la società C. s.r.l., venditrice dell'immobile, ha impugnato la stessa sentenza, rappresentando una situazione identica, sia per quanto attiene al fatto che ai motivi di impugnazione.

Si è costituito in giudizio l'Ufficio chiedendo la reiezione del ricorso.

All'udienza del 15 ottobre 2020 gli appelli sono passati in decisione.

DIRITTO

Deve essere disposta la riunione degli appelli, stante la loro evidente connessione oggettiva e soggettiva.

Gli appelli sono fondati.

L'art. 51 d.lgs. 131/1986, rubricato valore, stabilisce: "1. Ai fini dei precedenti articoli si assume come valore dei beni o dei diritti, salvo il disposto dei commi successivi, quello dichiarato dalle parti nell'atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l'intera durata del contratto. Per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse, si intende per valore il valore venale in comune commercio. Per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari l'Ufficio del Registro, ai fini dell'eventuale rettifica, controlla il valore di cui al comma primo avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell'atto o a quella in cui se ne produce l'effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni. Per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma primo è controllato dall'Ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda, compreso l'avviamento ed esclusi i beni indicati nell'art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11-bis della tabella, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del Codice Civile, tranne quelle che l'alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere e quelle relative ai beni di cui al citato art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11-bis della tabella. L'Ufficio può tenere conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all'imposta sul valore aggiunto".

La norma considera il valore dichiarato in atti la base per la determinazione del valore dell'atto e poi individua una serie di criteri correttivi per la determinazione del valore, inteso quale valore venale in comune commercio, del bene. In particolare rileva il valore determinato in relazione ai trasferimenti a qualsiasi titolo degli stessi beni oppure (essendo la prima evenienza statisticamente molto rara) di beni analoghi per caratteristiche e condizioni rispetto a quello oggetto della verifica che si siano realizzate nei tre anni antecedenti.

La norma impone una verifica il più possibile individualizzata mediante l'esame delle caratteristiche e delle condizioni del bene. Inoltre, attraverso tale riferimento, la norma legittima il riferimento a tutte quelle situazioni particolari che possono avere inciso sul valore venale del bene in comune commercio. Ciò comporta che, quale che sia il metodo utilizzato dall'Ufficio per la determinazione del valore, tale metodo deve avere idonei indici di attendibilità.

Da questo punto di vista, la previsione che il metodo comparativo abbia come sua base una pluralità di trasferimenti di beni aventi "analoghe caratteristiche e condizioni" deriva dalla necessità di ottenere una valutazione attendibile del valore di mercato del bene. In questo senso ove unico sia il bene in comparazione la ricostruzione del valore di mercato appare aleatoria, potendo in ogni singola compravendita entrare in gioco le situazioni particolari del venditore ovvero dell'acquirente che possono avere ottenuto prezzi sproporzionati, per eccesso ovvero per difetto, rispetto al valore di mercato.

Da qui, la necessità di comparare una pluralità di atti di trasferimento.

Nella specie, tale pluralità ha fatto difetto, essendo stato preso in comparazione un solo immobile.

Né ha pregio la tesi dell'Ufficio accolta dal giudice di primo grado per cui l'immobile sia ubicato nello stesso complesso immobiliare e sia stato venduto dalla stessa venditrice.

Invero, in disparte la diversa metratura (56 mq contro 122 mq), ubicazione ed esposizione dei due immobili, che fanno dubitare che nella specie possa trattarsi di beni di analoghe caratteristiche e condizioni, la circostanza che il venditore sia lo stesso non assume rilevanza giocando un ruolo nella compravendita anche il compratore, né assume rilevanza la circostanza che gli immobili siano ubicati nello stesso complesso, attese le ampie dimensioni del complesso stesso (6 piani con tre accessi), con la conseguente inevitabile differenza tra le diverse unità immobiliari che lo compongono.

A tali considerazioni il Collegio ritiene di dovere aggiungere altre due osservazioni.

Da un lato, la presenza di valori OMI per la zona più bassi, anche nel loro valore massimo, rispetto al prezzo al metro quadro indicato nella compravendita appaiono notevolmente in distonia rispetto al valore accertato, anche tenendo conto della loro incontestabile relatività.

Dall'altro lato, merita riflessione la circostanza che l'atto in oggi sottoposto a rettifica sia stato utilizzato dall'Ufficio per ricostruire il valore normale di un altro immobile compravenduto ed oggetto dell'avviso di rettifica n. 20131T006334000. Con tale avviso, l'Ufficio ha ritenuto congruo un valore di euro/mq 3416, notevolmente inferiore a quello espresso nella compravendita oggetto della odierna rettifica (?/mq 3770).

Si tratta di elementi che corroborano la valutazione di inattendibilità della ricostruzione del valore normale operato sulla base di un solo atto di compravendita, di talché la violazione della norma ha condotto a risultati inattendibili sul piano sostanziale.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Commissione accoglie gli appelli riuniti e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata accoglie i ricorsi di primo grado e annulla gli atti impugnati.

Condanna l'Ufficio alla rifusione, in favore delle due parti appellanti delle spese di lite dei due gradi di giudizio che si si liquidano in complessivi eur 1500, 00 (millecinquecento/00) oltre IVA e accessori per ciascuna di esse.

Così deciso in Genova, il 15 ottobre 2020.

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