domenica 16 luglio 2023

Samsung : manca la prova dell'obsolescenza programmata. Annullata la multa dell'Antitrust

Il Consiglio di Stato ribalta la decisione assunta dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, escludendo alcuna condotta scorretta da parte di Samsung nell'aggiornamento del software del sistema operativo installato sul modello Note 4 dello smartphone messo in vendita.


- AGCM: obsolescenza programmata - la condotta scorretta

Nel 2018 AGCM notifica a Samsung un provvedimento sanzionatorio (vedi qui), mediante il quale contesta alla multinazionale una condotta commercial scorretta per aver sollecitato i gli acquirenti del proprio smartphone modello Note 4 a procedere all'installazione del firmware di Android Marshmallow, nella consapevolezza che lo stesso avrebbe creato malfunzionamenti del dispositivo, per la cui riparazione era previsto un costo, non rientrando nella garanzia legale.

L'Autorità contesta a Samsung, in ultima istanza, di aver rilasciato un aggiornamento di software, il cui fine è stato quello di accelerare il declino del dispositivo (obsolescenza), incentivando il consumatore all'acquisto di un modello più recente.

Il provvedimento amministrativo, confermato dal TAR, finisce davanti al Consiglio di Stato.


- Consiglio di Stato: manca la prova. Annullato il provvedimento AGCM

Il Consiglio di Stato, con il provvedimento che trovate di seguito, ha ritenuto di non dover confermare la sanzione irrogata dall'autorità di settore, ritenendo difettare la piena prova della condotta contestata a Samsung, presupposto per la legittimità della decisione assunta dall'Antitrust.

Quest'ultima ha contestato a Samsung di aver ridotto le prestazioni tecniche del sistema operativo installato sul Note 4, mediante l'aggiornamento denominato "Marshmallow", con interruzione del funzionamento del mobile phone ed usura accelerata della batteria.

Il giudice amministrativo contesta aIl'Autorità di aver fondato l'intero ragionamento proposto in assenza di un accertamento tecnico idoneo a confermare le censure rivolte a Samsung, presupposto necessario per giustificare l'obsolescenza programmata.

"Questo dato di carattere eminentemente tecnico non è, tuttavia, accertato dall'Autorità mediante una specifica disamina peritale ma ricorrendo ad elementi esterni al sapere tecnico, ritenuti, comunque, idonei a disvelare un legame inferenziale e, quindi, ad integrare una congrua evidenza del dato che sorregge l'intera decisione. Infatti, l'Autorità basa il proprio assunto: i) sulle segnalazioni dei consumatori; ii) sulla diramazione di istruzioni per la gestione delle riparazioni dei guasti; iii) sul periodo in cui si sono verificate le richieste di assistenza; iii) sul numero elevato e sulle tipologie di richieste di assistenza, con relative elaborazione grafiche".

Il Consiglio di Stato censura il procedimento di formazione del provvedimento amministrativo anche sotto il profilo della partecipazione dell'ulteriore parte interessata, Google (soggetto che gestisce Android ed immette gli aggiornamenti ossia Marshmallow), non chiamata a chiarire la posizione nella istruttoria avviata contro Samsung: "In quest’ottica coglie nel segno la prima censura di Samsung, la quale lamenta, correttamente, il mancato coinvolgimento nell’istruttoria di Google, che è il soggetto che sviluppa e rilascia gli aggiornamenti “Android” destinati ad interagire con gli “smartphone” di Samsung. Infatti, anche l’aggiornamento “Marshmallow” era stato ideato e sviluppato da Google, la quale avrebbe potuto, pertanto, fornire - con ogni evidenza - indicazioni tecniche rilevanti per la comprensione delle interazioni tra tale aggiornamento e i malfunzionamenti, consentendo, quindi, di acquisire evidenze in ordine alla riferibilità di tali malfunzionamenti al “Marshmallow” o, al contrario, di escludere il nesso eziologico che l’Autorità afferma. Diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice, il coinvolgimento di Google non rileva esclusivamente sotto il profilo della responsabilità, ma, prima ancora, sotto il profilo istruttorio. Infatti, se il tema tecnico centrale dell’accertamento è costituto dagli effetti derivanti dall’interazione tra l’“hardware” e l’aggiornamento del sistema “software”, appare, certamente, deficitaria un’istruttoria che non si snodi attraverso una disamina tecnica di tale aggiornamento e delle sue ripercussioni, effettuata mediante il soggetto responsabile, come spiegato, dell’ideazione e dello sviluppo dello stesso.".

Da una parte, l'Autorità censura la condotta a Samsung fondando la propria tesi su "indici esterni", dall'altra non svolge un accertamento completo coinvolgendo anche l'ulteriore soggetto interessato nella vicenda di cui trattasi, ossia Google, lo sviluppatore di Android.

Osserva, infine, che l'indagine ha riguardato una piccola parte dei modelli Note 4 immessi sul mercato, sicché l'indagine è risultata anche sotto tale profilo fatalmente parziale e non conforme.

Qui di seguito, il Consiglio di Stato - Sez. VI^ sentenza n. 6006/2023

 REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato


in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3817 del 2021, proposto da:

Samsung Electronics Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, Samsung Electronics Co. Ltd., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Carlo Santoro, Mario Siragusa, Fausto Caronna, Marco Zotta e G. Cesare Rizza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata presso l’Avvocatura Generale dello Stato, i cui uffici sono ubicati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

- Codacons, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano e Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

- Associazione Codici – Centro per i Diritti del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carmine Laurenzano e Ivano Giacomelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

- Livolsi Group S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ctdi Rome S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituite in giudizio;

per la riforma: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – sede di Roma (Sezione Prima) n. 00656/2021, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, del Codacons e dell’Associazione Codici – Centro per i Diritti del Cittadino;

Visto il decreto presidenziale n. 697/2021 che accoglie l’istanza di autorizzazione a derogare i limiti dimensionali del ricorso e degli altri atti difensivi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Consigliere Lorenzo Cordì e uditi per le parti gli avvocati Fausto Caronna e l’avvocato dello Stato Verdiana Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

A. Premessa e ricostruzione fattuale della vicenda all’attenzione del Collegio.

1. Samsung Electronics Italia s.p.a. (di seguito anche “SEI”) e Samsung Electronics co. Ltd (di seguito anche “SEC”) hanno appellato la sentenza n. 656/2021 con la quale il T.A.R. per il Lazio – sede di Roma ha respinto i ricorsi, come integrati da motivi aggiunti, proposti principalmente avverso il provvedimento n. 27363, adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e il Mercato (di seguito anche “l’Autorità” o “l’A.G.C.M.”) il 25.9.2018, a conclusione del procedimento PS11009 – Samsung - Aggiornamento Software.

1.1. Con tale provvedimento l’Autorità ha ritenuto SEC e SEI responsabili di una pratica commerciale scorretta in violazione delle previsioni di cui agli artt. 20-22 e 24 del D.Lgs. n. 206/2005, per aver sviluppato e indebitamente indotto i consumatori che avevano già acquistato uno “smartphone” modello “Galaxy Note4” a installare l'aggiornamento alla nuova versione del sistema operativo “Android” denominata “Marshmallow” rilasciata per i “Note4” in Italia il 19.5.2018. Tale aggiornamento avrebbe causato una riduzione sensibile delle prestazioni dei “Note4” a suo tempo pubblicizzate; al contempo, non sarebbe stata prestata assistenza per tali problemi in relazione ai “Note4” fuori garanzia, accelerando, in tal modo, il processo di sostituzione con nuovi modelli di “smartphone”. Il provvedimento ha, inoltre, vietato la continuazione di tale pratica, irrogando, in solido, a SEC e SEI una sanzione di euro 5 milioni e imponendo loro la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa ai sensi dell'art. 27 del D.Lgs. n. 206/2005.

2. In punto di fatto le appellanti hanno esposto che:

i) a seguito di talune segnalazioni ricevute alla fine di settembre 2017, l’Autorità ha notificato a SEI l’avvio del procedimento PS11009 prospettando, che, a causa di un aggiornamento “software” di recente rilasciato, la generalità dei “Note4” sarebbe stata interessata da guasti, nonché formulando una richiesta di informazioni, cui SEI ha dato riscontro il 15.3.18;

ii) in data 5.3.2018 SEI ha presentato una proposta di impegni e, in data 8.5.2018, è stata udita dall’Autorità;

iii) in data 8.5.2018 l’Autorità ha respinto la proposta di impegni e, in data 31.5.2018, ha disposto nuove ispezioni presso SEI e presso alcuni centri di assistenza (Livolsi Group S.r.l. - “Livolsi”, Paolieri Elettronica S.r.l.), formulando richieste di informazioni;

iv) in data 22.6.2019 l’Autorità ha inviato alla controllante SEC “un fax e un’email, redatti in italiano senza alcuna traduzione”, con cui l’ha informata dell’estensione del procedimento nei suoi confronti;

v) in data 29.6.2018 l’Autorità ha prorogato la chiusura del procedimento, svolgendo, altresì, un’audizione di SEI e consentendo, successivamente, alla Società di accedere alla documentazione istruttoria;

vi) in data 24.7.2018 SEI ha chiesto la proroga del termine di conclusione del procedimento evidenziando come la tesi secondo la quale i guasti sarebbero derivati dall’aggiornamento “Marshmallow” (la nuova versione del sistema operativo “Android” utilizzato sui “Note4”) fosse nuova rispetto all’originaria impostazione dell’Autorità;

viii) in data 6.8.2018 l’Autorità ha respinto la richiesta di proroga del termine di conclusione del procedimento e ha, altresì, respinto la richiesta di partecipazione al procedimento formulata dai centri di assistenza CTDI e Livolsi;

ix) in data 7.8.2018 l’Autorità ha fissato la chiusura dell’istruttoria al 26.8.2018, confermando la contestazione sui guasti causati dall’aggiornamento “Marshmallow” e concedendo termine a SEI per il deposito di memorie e documenti;

x) l’Autorità ha, successivamente, audito SEI la quale ha, inoltre, depositato memoria difensiva e una relazione elaborata dal LEAR - Laboratorio di economia, antitrust, regolamentazione;

xi) in data 20.9.18, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha espresso il proprio parere in merito al procedimento avviato dall’A.G.C.M.;

xii) in data 25.9.2018 l’Autorità ha adottato il provvedimento indicato al punto 1 della presente sentenza.

3. Nel provvedimento n. 27363 l’Autorità ha evidenziato che l’aggiornamento “Marshmallow” rilasciato il 19.5.16 avrebbe determinato una significativa riduzione delle prestazioni della “maggior parte” dei “Note4” commercializzati da SEI “a causa del maggior sforzo imposto all’hardware (PBA e batteria), in ragione delle maggiori richieste del firmware conseguenti all’aggiornamento nel 2016”, provocando fenomeni di spegnimento/riavvio in presenza di batterie usurate oltre un certo livello, maggiori richieste rispetto alla versione precedente (“Lollipop”), che avevano reso meno fluida l’elaborazione da parte del processore e della memoria “flash eMMC” montati sul “Note4” e determinato stress di funzionamento e deterioramento della medesima memoria “flash eMMC”. 

Secondo l’Autorità Samsung avrebbe, quindi, indebitamente condizionato i consumatori a installare l’aggiornamento “Marshmallow”, in tal modo, alterando la funzionalità dei “Note4” già in loro possesso, e privandoli così della libertà di continuare a utilizzarli con le prestazioni originali per la loro durata naturale, nonché della possibilità di scegliere quali prestazioni del prodotto mantenere o modificare. Inoltre, nel rilasciare l’aggiornamento la Società non avrebbe valutato preventivamente il rischio di possibili guasti ad un modello di “smartphone” precedente e normalmente usurato e non avrebbe comunicato al consumatore né l’esistenza di tale rischio, né la configurazione “hardware” nella quale esso era minimizzato, così da consentire di scegliere se effettuare o meno l’aggiornamento. Inoltre, Samsung non avrebbe prestato adeguata assistenza per i “Note4” fuori garanzia colpiti dai guasti causati da “Marshmallow”, richiedendo un elevato costo di riparazione e non offrendo alcun rimedio per sottrarsi alle disfunzioni causate dall’aggiornamento (permettendo, ad esempio, di tornare alla precedente versione di “firmware” o ad una nuova versione emendata dello stesso, con la possibilità di selezionare le funzionalità da abilitare).

3.1. Tali condotte, alla cui realizzazione avrebbero congiuntamente contribuito SEC e SEI, avrebbero integrato un’unica pratica commerciale scorretta, finalizzata ad accelerare il processo di sostituzione dei modelli meno recenti con quelli nuovi. L’Autorità ha, poi, ritenuto la pratica ancora in corso al momento della contestazione in ragione della mancanza di un’adeguata assistenza. Come esposto in precedenza, l’Autorità ha irrogato una sanzione pari a cinque milioni di euro.

B. I ricorsi R.G. n. 15363/2018 e R.G. n. 15364/2018 proposti dinanzi al T.A.R. per il Lazio.

4. SEI e SEC hanno impugnato il provvedimento indicato ai precedenti punti 3 e 3.1. della presente sentenza (nonché gli ulteriori provvedimenti che saranno indicati infra) con due ricorsi separati, successivamente riuniti dal T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, con la sentenza oggetto di impugnazione.

5. SEI ha proposto ricorso al T.A.R. per il Lazio – sede di Roma (R.G. n. 15363/2018) chiedendo l’annullamento:

i) del provvedimento n. 27363 del 25.9.2018;

ii) di “ogni altro atto connesso o presupposto, conseguente o antecedente”, ivi inclusi, della previsione di cui all’art. 8 del Regolamento concernente l'organizzazione e il funzionamento dell'A.G.C.M. (delibera 24.5.17, n. 26614), e delle regole di cui agli artt. 7, 12, 16 e 19 della delibera A.G.C.M. 1.4.2015, n. 25411 (“Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di tutela del consumatore”).

6. SEI ha articolato i seguenti i motivi di ricorso.

6.1. Con il primo motivo (rubricato: “Violazione dei principi di collegialità e intangibilità dell’atto. Illegittimità dell’art. 8 del Regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’AGCM (delibera 24.5.17, n. 26614). Istanza di acquisizione di documenti ex art. 64 c.p.a.”), SEI ha dedotto che l’intervallo di 29 giorni tra la data di adozione e la data di notifica del provvedimento sarebbe stato inusualmente lungo e contrastante con i principi di collegialità e intangibilità dell’atto. Inoltre, la Società ha dedotto l’illegittimità della previsione di cui all’art. 8 del Regolamento concernente l'organizzazione e il funzionamento dell’Autorità che, non prescrivendo che i testi degli atti siano allegati al verbale della riunione del Collegio in cui è fatta menzione della loro adozione, renderebbe impossibile la verifica del rispetto dei principi sopra indicati.

6.2. Con il secondo motivo (rubricato: “Violazione dei diritti di difesa di SEI, in particolare quello alla pienezza del contraddittorio e alla parità delle armi. Violazione dei principi del giusto procedimento, d’imparzialità e di buon andamento della p.a. Violazione del diritto all’equo processo. Illegittimità del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di tutela del consumatore”), SEI ha dedotto l’irregolarità della notificazione dell’atto di estensione della contestazione a SEC. Tale irregolarità avrebbe comportato l’invalidità dell’intero procedimento, in quanto la condotta scorretta sarebbe stata addebitata alle due società in termini di necessaria compartecipazione. Inoltre l’A.G.C.M., per concludere il procedimento entro la fine del mese di settembre 2018, avrebbe concesso a SEI per la preparazione delle difese soltanto 12 giorni lavorativi nelle settimane centrali del mese di agosto. La Società ha poi evidenziato che la riferibilità dei guasti all’aggiornamento “Marshmallow”, lanciato nel 2016, e non agli aggiornamenti del 2017, era stata resa noto solo nel corso dell’audizione del 19 luglio 2018: tale modus procedendi aveva impedito a SEI di potersi adeguatamente difendere, anche mediante una nuova audizione con riferimento all’ultimo aspetto emerso, in violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. In ultimo, SEI ha dedotto l’illegittimità del Regolamento sulle procedure istruttorie per violazione del principio del contraddittorio, dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione.

6.3. Con il terzo motivo SEI ha dedotto che le nuove analisi statistiche contenute nel Provvedimento erano state effettuate senza alcun contraddittorio sul punto. SEI ha dedotto di aver depositato, nel corso del procedimento, una relazione tecnica contenente l’analisi statistica dalla quale era emerso che l’aggiornamento in questione non aveva comportato un aumento delle segnalazioni dei guasti, dovuti piuttosto all’anzianità d’uso media del modello “Note4”; per confutare tale relazione l’Autorità aveva utilizzato una nuova analisi su cui però SEI non aveva potuto contraddire.

6.3. Con il quarto motivo (rubricato: “Erroneo presupposto di fatto e omesso coinvolgimento di Google: violazione e falsa applicazione degli artt. 20-22 e 24 cod. cons.; eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità manifesta e difetto di motivazione”), SEI ha dedotto l’erroneità del presupposto a fondamento del provvedimento e, cioè, la sussistenza di un’esclusiva responsabilità in capo a Samsung, atteso che autore e titolare dell’aggiornamento era Google. Insussistente sarebbe stato anche il nesso di causalità tra i guasti lamentati e la politica commerciale di Samsung volta a favorire la sostituzione dei modelli più vecchi in circolazione, proprio perché il rilascio di “Marshmallow” sarebbe addebitabile non a Samsung ma a Google, distributore del sistema operativo “Android” installato sui dispositivi Samsung.

6.5. Con il quinto motivo (rubricato: “Erroneo presupposto di fatto sulle pretese riduzioni della funzionalità dei Note4 causate da Marshmallow: violazione e falsa applicazione degli artt. 20-22 e 24 cod. cons., eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, difetto manifesto di istruttoria”), SEI ha dedotto l’insussistenza dei guasti causati da “Marshmallow”, stante la mancanza di una verifica tecnica a riguardo, non surrogabile dalla mera constatazione relativa all’incremento delle segnalazioni. Inoltre, l’analisi dell’andamento delle richieste di riparazione non aveva confermato l’assunto del provvedimento. Peraltro, le segnalazioni richiamate dal provvedimento erano tutte pervenute dopo il settembre 2017, ovvero un anno e quattro mesi dopo il rilascio dell’aggiornamento. Ulteriore vizio del provvedimento era costituito dal fatto che l’A.G.C.M. non aveva consentito ai centri di assistenza di partecipare al procedimento, pur avendone utilizzato le dichiarazioni.

6.6. Con il sesto motivo (rubricato: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 20-22 e 24 cod. cons., eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, incluso il difetto di istruttoria in merito alle valutazioni relative ai c.d. FOTA, ovvero messaggi che accompagnavano la proposta di aggiornamento”), SEI ha dedotto l’insussistenza di un obbligo di segnalazione ai consumatori. In ogni caso, secondo SEI erano state inserite nei FOTA informazioni adeguate e sufficienti su “Marshmallow”, in un linguaggio facilmente comprensibile ai consumatori e conforme alle prassi di settore. In ultimo, non poteva ritenersi sussistente un indebito condizionamento dei consumatori, anche considerate le differenti modalità per scaricare e installare “Marshmallow”.

6.7. Con il settimo motivo (rubricato: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 20-22 e 24 cod. cons., eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, incluso il difetto manifesto di istruttoria in merito alle valutazioni relative alle riparazioni fuori garanzia”) SEI ha dedotto che “Marshmallow” non aveva causato alcun guasto dei “Note4”, e che, comunque, SEI non era tenuta a farsi carico delle riparazioni dei guasti dei dispositivi fuori garanzia. Secondo SEI il provvedimento era fondato su presupposti di fatto inesistenti, in quanto nel 2016 la quasi totalità dei “Note4” era ancora coperta dalla garanzia e nel maggio 2017 era ancora in garanzia circa la metà di tali dispositivi.

6.8. Con l’ottavo motivo SEI ha contesto la quantificazione della sanzione irrogata per difetto di motivazione anche in considerazione del limitato impatto delle condotte addebitate, della buona fede di SEI e del suo atteggiamento pienamente cooperativo.

7. Si sono costituite in giudizio l’Autorità, CTDI Rome s.r.l. e Livolsi Group s.r.l. Ha, inoltre, spiegato intervento ad opponendum il Codacons.

8. Con il ricorso introduttivo del giudizio R.G. n. 15364/2018 SEC ha impugnato i medesimi provvedimenti oggetto del ricorso di SEI, articolando, altresì, le medesime censure esaminate nei precedenti punti 6-6.8 della presente sentenza, ai quali si rinvia.

9. Si sono costituiti in tale giudizio l’Autorità e l’associazione Codici - Centro per i Diritti del Cittadino resistendo al ricorso; si sono costituiti, altresì, CTDI Rome S.r.l. e Livolsi Group s.r.l.

10. Con ricorsi per motivi aggiunti depositati in data 17.4.2019 SEI e SEC hanno impugnato il diniego di accesso relativo all’istanza di SEI del 26.3.2019 di ostensione dell’ordine del giorno della riunione del Collegio dell’A.G.C.M. del 25.9.2018, dell’eventuale documentazione al medesimo allegata e dello “schema di decisione con la relativa motivazione” illustrato dalla relatrice nel corso della riunione del Collegio del 25.9.2018.

10.1. Con tale atto l’A.G.C.M. aveva negato l’accesso ai documenti richiesti rilevando che l’accesso all’ordine del giorno e alla documentazione ad esso allegata non era necessario, in quanto:

i) era stata già fornita alle odierne appellanti copia dell’ordine del giorno “con riferimento al punto relativo al caso PS/11009, mentre [SEI] non risulta legittimat[a], in assenza di uno specifico interesse al riguardo, ad accedere all’integrale ordine del giorno di tale riunione”;

ii) l’accesso allo schema di provvedimento non poteva essere ottenuto in quanto esso costituiva “un mero atto interno del processo attraverso il quale si forma la decisione del Collegio di cui al provvedimento notificato alle Parti, come tale non accessibile alle Parti”.

10.2. A sostegno dei due ricorsi per motivi aggiunti SEI e SEC hanno dedotto l’illegittimità del diniego lamentando:

i) con riferimento all’ordine del giorno: “violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 22, 24 e 25 della l. n. 241/1990 e s.m.. Abuso di potere: illogicità, contraddittorietà e irrazionalità manifesta. Violazione del principio di trasparenza”;

ii) con riferimento allo schema di provvedimento: “violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 22, 24 e 25 della l. n. 241/1990 e s.m.i. Abuso di potere: illogicità, contraddittorietà e irrazionalità manifesta; violazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di accesso agli atti interni”.

10.4. Con ordinanze n. 8271/2019 e n. 8272/2019 il T.A.R. ha accolto le istanze di accesso di SEI e SEC limitatamente “all’ordine del giorno (e alla relativa eventuale connessa documentazione)” allegata, ordinando all’A.G.C.M. di consentire a Samsung di prendere visione ed estrarre copia di tali atti.

10.5. Con ordinanze n. 6339/2019 e 6340/2019 la Sezione ha accolto gli appelli di SEI e SEC avverso le ordinanze indicate al precedente punto osservando:

i) “che la questione all’esame della Sezione attiene alla fondatezza della richiesta di accesso, sopra indicata, proposta in pendenza di giudizio ai sensi dell’art. 116, secondo comma, cod. proc. amm.”;

ii) “che l’art. 22, comma 1, lett. d) dispone che oggetto dell’istanza di accesso è il «documento amministrativo» intendendosi per tale «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art. 22, comma 1, lett. d)”;

iii) “che, pertanto, la nozione di “documento amministrativo” ricomprende anche gli “atti interni” di valenza endoprocedimentale”;

iv) “che, nella specie, il regolamento, sopra richiamato, adottato dall’Autorità prevede quali sono le regole che devono essere rispettate nell’adozione del provvedimento finale”;

v) “che, in particolare, articola il procedimento in una fase di iniziativa, istruttoria, decisione e pubblicazione del provvedimento finale”;

vi) “che il documento di cui si chiede l’accesso si inserisce nella fase della decisione, in quanto è espressamente richiamato dalla stessa Autorità nel verbale del 25 settembre 2018, che lo qualifica «schema di decisione»”;

vii) “che, pertanto, esso deve ritenersi “atto interno” afferente al momento decisorio e, in quanto tale, rientra nel perimetro oggettivo dell’accesso documentale”;

viii) “che non varrebbe, per negare l’accesso, il rilievo difensivo svolto dall’Autorità resistente secondo il quale l’art. 13, comma 5, del regolamento, sopra citato, sottrae all’accesso «le note, le proposte e ogni altra elaborazione degli uffici con funzione di studio e di preparazione del contenuto degli atti»”;

ix) “che, infatti, a prescindere dalla conformità a legge della suddetta disposizione regolamentare, nella specie, l’Autorità non ha fatto riferimento a tali tipologie di atti nel verbale ma ha richiamato uno “schema di decisione” che, per la espressa qualificazione effettuata dalla stessa Autorità, costituisce un atto diverso, da ritenersi ostensibile”;

x) “che il documento, alla luce della rappresentazione svolta dall’appellante, risulta anche rilevante ai fini della decisione della causa principale”.

10.6. Con le successive ordinanze n. 640/2020 e 642/2020 la Sezione, adita da SEI e SEC, ha chiarito:

i) “che la questione relativa ad un eventuale errore o difformità di verbalizzazione esula dall’ambito del […] giudizio esecutivo di chiarimenti, attenendo al merito della questione che è stata già decisa”;

ii) “che, pertanto, deve essere data esecuzione al suddetto ordine di esibizione”;

iii) “che se l’Autorità fosse priva materialmente di tale documento (si deve ritenere, preparato dagli uffici per il Collegio) perché non conservato o perché riferito ad una entità materiale differente rispetto a quella descritta nel verbale predisposto dalla stessa Autorità, ciò costituirebbe una circostanza tale da rendere oggettivamente impossibile l’esecuzione della sentenza, rimanendo ferma la vincolatività di quanto affermato dalla Sezione nel giudizio speciale relativo all’accesso ai documenti”.

11. Con nuovi ricorsi per motivi aggiunti SEI e SEC hanno formulato ulteriori censure avverso il provvedimento sanzionatorio.

11.1. In particolare, con un primo motivo hanno dedotto che:

i) il provvedimento sarebbe stato deliberato il 25.9.18 sulla base della proposta di deliberazione trasmessa al Collegio dagli uffici e poi ultimato nel corso di una riunione del Collegio successiva al 30.9.18, a seguito di modifiche sostanziali apportate medio tempore al testo del detto schema, eccedenti l’ambito delle mere correzioni ortografiche o grammaticali;

ii) il provvedimento - nella copia notificata - era stato sottoscritto dal Segretario generale e dal Presidente facente funzioni, ma non dal Presidente uscente dell’A.G.C.M., cessato dalle sue funzioni il 30.9.18;

iii) risulterebbero violati sia il principio dell’intangibilità dell’atto approvato dall’Autorità competente che il principio di collegialità;

iv) l’attestazione dell’Autorità relativa alla mancanza di documentazione allegata all’ordine del giorno avrebbe confermato che il provvedimento era stato scritto integralmente dopo l’adunanza del 25.9.18, non esistendo a tale data uno schema di provvedimento;

v) l’assenza della proposta di deliberazione trasmessa dagli uffici avrebbe integrato la violazione degli artt. 11 e 20 del Regolamento sul funzionamento dell’Autorità e dell’art. 5 del Regolamento in tema di autenticazione degli atti deliberati dall’A.G.C.M.;

vi) la deliberazione autenticata con la sottoscrizione del Segretario generale e del Presidente facente funzioni come adottata dall’A.G.C.M. nella sua adunanza del 25.9.18 sarebbe stata emessa (come atto completo comprendente sia il dispositivo nella versione definitiva, sia la motivazione) in una data diversa e ignota, successiva alla scadenza del termine di conclusione del procedimento (27.9.18);

vii) non vi sarebbe, neppure, certezza sull’autore del provvedimento e sulla competenza dello stesso ad elaborare la motivazione e il dispositivo dell’atto.

11.2. Con il secondo motivo hanno dedotto l’illegittima integrazione successiva del testo del provvedimento.

C. La sentenza del T.A.R. per il Lazio – sede di Roma n. 656/2021.

12. Con la sentenza appellata il T.A.R. ha respinto i ricorsi, come integrati da motivi aggiunti, previa la loro riunione.

13. Il T.A.R. ha preso l’abbrivio dal secondo ricorso per motivi aggiunti di SEI e SEC osservando che:

i) con i motivi aggiunti le Società avevano lamentato l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto la deliberazione, l’esame e la votazione del provvedimento non sarebbero stati assunti su uno “schema di decisione”, in asserita violazione della disciplina procedimentale applicabile; la deliberazione sarebbe avvenuta, inoltre, con la partecipazione dell’ex Presidente dell’Autorità (poi scaduto prima della redazione e sottoscrizione del provvedimento) e il provvedimento sarebbe stato redatto e sottoscritto solo in una data successiva all’adunanza del 25.9.2018, con conseguente incertezza in ordine al contenuto e alla paternità del documento;

ii) al contrario, dagli atti risultava che il provvedimento impugnato era stato adottato dall’A.G.C.M. nell’adunanza del 25 settembre 2018 su proposta della relatrice dott.ssa Gabriella Muscolo, ed era stato sottoscritto dalla stessa dott.ssa Muscolo, in qualità di Presidente facente funzioni, oltre che dal Segretario Generale, Filippo Arena;

iii) dal verbale dell’adunanza del 25 settembre 2018 risultava presente alla discussione, oltre all’altro componente prof. Ainis, anche l’ex Presidente dell’Autorità prof. Pitruzzella, il cui mandato era scaduto il 30 settembre 2018;

iv) il verbale concernente tutti i punti all’ordine del giorno del 25 settembre 2018 era stato sottoscritto in data 7 novembre 2018.

13.1. In particolare, il T.A.R. ha ritenuto non condivisibile la censura fondata sulla mancanza di uno “schema di decisione”, atteso che:

i) l’art. 16 del Regolamento sulle procedure istruttorie dell’A.G.C.M. prevede che, una volta conclusa la fase istruttoria, “il responsabile del procedimento rimette gli atti al Collegio per l'adozione del provvedimento finale”;

ii) il successivo art. 17 dispone che “all’esito dell’istruttoria, il Collegio delibera l’adozione di uno dei seguenti provvedimenti finali: a) decisione di non ingannevolezza/illiceità del messaggio pubblicitario ovvero di non scorrettezza della pratica commerciale o di chiusura del procedimento per insufficienza degli elementi probatori, o per una delle ragioni di cui all’articolo 5, comma 1, qualora i presupposti per l’adozione sono emersi solo nel corso dell’istruttoria; b) decisione di ingannevolezza/illiceità del messaggio pubblicitario ovvero di scorrettezza della pratica commerciale, accompagnata da diffida e sanzione pecuniaria ed eventualmente da pubblicazione di estratto del provvedimento e/o di una dichiarazione rettificativa e/o dall’assegnazione di un termine per l’adeguamento della confezione del prodotto; c) decisione di accoglimento di impegni che li rende obbligatori per il professionista, senza accertamento dell’infrazione contestata in sede di avvio del procedimento”;

iii) l’art. 20 del Regolamento di organizzazione e funzionamento dell’Autorità, intitolato “Discussione in Autorità”, prevede, a sua volta, che “il relatore, tutte le volte che l’Autorità debba adottare una delibera, introduce la discussione, e, sulla base dell’andamento dell’istruttoria e delle proposte trasmesse dagli uffici, formula e illustra le proprie conclusioni”;

iv) la decisione da parte del Collegio, ai sensi dell’art. 7 del Regolamento, è adottata a maggioranza dei votanti; in caso di parità prevale il voto del Presidente ovvero, in sua assenza, del Componente che ne assume temporaneamente le funzioni ai sensi dell’art. 3, comma 2, del medesimo Regolamento;

v) dalla riportata disciplina regolamentare risulta che la predisposizione di uno “schema di decisione” non rientra nell’iter procedurale ivi previsto, “il che spiega perché di un simile “documento” non vi sia traccia né nel fascicolo istruttorio né in allegato al verbale”;

vi) inoltre, si tratta di un mero appunto del relatore, utilizzato nel corso della discussione collegiale, e, dunque, privo degli elementi per poter essere qualificato come atto endoprocedimentale;

vii) tale conclusione non può ritenersi smentita dalle ordinanze n. 6340/2019 e n. 642/2020 del Consiglio di Stato;

viii) la circostanza che la verbalizzazione sia stata sottoscritta il 7 novembre 2018 non è di per sé indice di illegittimità del provvedimento; invero, la deliberazione del provvedimento ha una data certa, non altrimenti censurata da Samsung, che è quella del 25 settembre 2018, “data vieppiù insuscettibile di essere messa in discussione dalla successiva sottoscrizione del verbale in data 7 novembre 2018, tenuto conto che è la stessa [Samsung] a riferire di aver ricevuto notifica del provvedimento in data 24 ottobre 2018”;

ix) d’altra parte, non è necessario che la verbalizzazione avvenga contestualmente o in un momento immediatamente successivo alla conclusione delle operazioni, purché la verità storica dei fatti risulti dal verbale;

x) di conseguenza, non risulta necessario sottoporre alcun quesito alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, come richiesto, invece, da Samsung.

14. Il T.A.R. ha, inoltre, ritenuto infondata la censura relativa all’incertezza dei componenti del Collegio, non avendo il Presidente partecipato alla discussione del caso. Non vi sarebbe, altresì, alcune illegittimità conseguente al tempo trascorso tra la data di adozione e la data di notifica del provvedimento, né rileverebbe il termine ritenuto esiguo per la predisposizione delle difese finali, stante l’ampio confronto procedimentale svolto.

15. Il T.A.R. ha respinto, altresì, l’ultima censura “formale” (dedotta con il secondo motivo dei ricorsi introduttivi di SEI e SEC), concernente la comunicazione a SEC dell’atto di estensione del procedimento in violazione della disciplina sulla notifica all’estero degli atti amministrativi. Secondo il T.A.R. la comunicazione è stata effettuata in modo conforme a quanto disposto dalle previsioni di cui all’art. 19 del Regolamento sulle procedure istruttorie e, in ogni caso, ha raggiunto il destinatario, consentendogli di prendere parte al procedimento e di contraddire con l’Autorità. In secondo luogo il T.A.R. ha evidenziato come la piena giurisdizione del Giudice amministrativo sulle sanzioni dell’Autorità consente di escludere la violazione dei principi del giusto processo. In ultimo, il T.A.R. ha osservato - quanto alla contestata violazione del diritto di difesa dovuta all’uso della lingua italiana per la comunicazione degli atti del procedimento - come nessuna norma imponesse la traduzione dell’atto all’A.G.C.M. Inoltre, considerato che il procedimento aveva riguardato non soltanto SEC ma anche una sua controllata (Samsung Italia) e che Samsung Electronics Co. Ltd è leader mondiale nel settore dell’alta tecnologia, con siti internet multilingue anche in italiano, sarebbe - secondo il T.A.R - evidente che la stessa non poteva lamentare la non conoscenza della lingua a sostegno della censura di irrituale instaurazione del contraddittorio.

16. Nel merito del provvedimento il T.A.R. ha escluso la fondatezza del terzo motivo con il quale SEI e SEC hanno lamentato la violazione del diritto di difesa con riferimento ai vari profili tecnici sulla base dei quali l’A.G.C.M. ha ravvisato la sussistenza di una pratica scorretta.

16.1. Sul punto il T.A.R. ha osservato che:

i) le Società non avevano contestano l’effettiva verificazione dei malfunzionamenti, deducendo, piuttosto, la mancanza di accertamento tecnico idoneo a superare la relazione prodotta;

ii) tale assunto non poteva considerarsi idoneo a confutare le conclusioni raggiunte dall’A.G.C.M. la quale aveva accertato - “sulla base di evidenze fattuali, quali le segnalazioni dei consumatori, il numero e il periodo in cui si sono verificate le richieste di assistenza, il numero elevato e le tipologie di richieste di assistenza” - che, a seguito dell’installazione di alcuni aggiornamenti, i possessori del “Note4” avevano lamentato rallentamenti nel funzionamento, limitazioni nell’utilizzo e fenomeni di improvviso spegnimento; inoltre l’Autorità aveva accertato che, in concomitanza con il rilascio degli aggiornamenti e con la relativa installazione, erano aumentate vertiginosamente le richieste di assistenza da parte di utenti che avevano lamentato i suddetti malfunzionamenti; fenomeni, questi, che l’utente non poteva evitare, non essendo consentita alcuna effettiva possibilità di scelta sullo scaricare o meno l’aggiornamento, che poteva solo essere rimandato; né era stata apprestata una modalità di “downgrading”, al fine di disinstallare l’aggiornamento colpevole dei malfunzionamenti, tornando alla precedente versione di “Android”;

iii) l’aggiornamento in questione era stato lanciato senza che gli utenti fossero stati adeguatamente informati degli inconvenienti che l’installazione avrebbe potuto comportare e senza provvedere, se non tardivamente ed in maniera limitata, a rimediare ai malfunzionamenti;

iv) nel provvedimento si era dato atto (par. 46), del fatto che “quasi tutti i consumatori facevano riferimento ad una presunta “obsolescenza programmata” del prodotto, rilevando che il bene sarebbe divenuto inutilizzabile all’incirca al termine della durata biennale della garanzia legale di conformità”;

v) erano stati inseriti, inoltre, dei grafici elaborati sulla base dei dati sulle vendite e sugli interventi di riparazione acquisiti presso Samsung, che avevano evidenziano in modo eloquente l’aumento delle segnalazioni di guasto “a partire dal settembre 2016, in concomitanza sia con il diffondersi degli apparecchi aggiornati al nuovo firmware basato sulla versione Marshmallow di Android (che era stato peraltro aggiornato sia a maggio sia a agosto) sia con l’applicazione delle istruzioni Samsung da parte dei centri di assistenza”;

vi) tali dati avevano riguardato gli apparecchi in garanzia, non essendo Samsung in possesso dei dati relativi agli apparecchi fuori garanzia;

vii) con riferimento a questi ultimi, l’Autorità aveva, comunque, tenuto conto dei dati acquisiti presso i centri di assistenza di Roma, Firenze e Milano, dai quali era emerso che i malfunzionamenti relativi a spegnimenti, rallentamenti e riavvii automatici avevano costituito una percentuale di oltre un terzo dei guasti (fino al 57% con riferimento al centro di Milano) e che in molti casi i possessori di “Note4” avevano rifiutato il preventivo, rinunciando alla riparazione dell’apparecchio (parr. 71 e ss.);

viii) in risposta all’analisi depositata da Samsung in allegato alla memoria difensiva del 27 agosto 2018, l’Autorità aveva dato conto (parr. 127 e ss. del provvedimento) del fatto che l’analisi econometrica contenuta in tale memoria non poteva considerarsi attendibile stante i dati che avevano confermato come l’effetto negativo derivante dalla maggiore età dei dispositivi fosse aumentato a seguito dell’aggiornamento del “firmware”.

ix) tale test non doveva essere ripetuto – come preteso da Samsung – trattandosi di un approfondimento operato dall’A.G.C.M. per vagliare l’attendibilità delle conclusioni della Società.

17. Il T.A.R. ha respinto i motivi relativi al mancato coinvolgimento di Google, quale fornitore in “open source” del sistema “Android”, e del relativo aggiornamento “Marshmallow”, nel procedimento.

17.1. Secondo il T.A.R., dal coinvolgimento di altri soggetti nel procedimento non sarebbe potuto derivare alcun vantaggio per Samsung: l’accertamento dell’Autorità, infatti, aveva avuto ad oggetto (parr. 111 e ss. del provvedimento) l’insieme dei comportamenti tenuti da Samsung in occasione del lancio dell’aggiornamento “firmware” per “Note4” basati sulla versione “Marshmallow” di “Android” in ragione dei problemi procurati ad una significativa parte degli apparecchi venduti, nonché i comportamenti successivamente adottati e le informazioni fornite ai consumatori in possesso di tali dispositivi. A Samsung era stato rimproverato di avere lanciato l’aggiornamento senza averne adeguatamente verificato l’interazione con i dispositivi, omettendo di informare i consumatori in ordine ad eventuali malfunzionamenti e riducendo, così, le funzionalità di moltissimi apparecchi, rispetto ai quali Samsung aveva, poi, prestato assistenza solo per i prodotti coperti dalla garanzia legale, chiedendo, invece, per i prodotti fuori garanzia un elevato costo di riparazione, senza offrire alcun mezzo di ripristino dell’originaria funzionalità dell’apparecchio (quali il “downgrading”).

17.2. Inoltre, Samsung, quale produttore e venditore degli smartphone, era il soggetto a conoscenza “delle caratteristiche tecniche di ciascun apparecchio e delle specifiche interazioni dello stesso con il firmware”, ovvero con il sistema operativo che fa funzionare il dispositivo. Si era trattato, quindi, di comportamenti riconducibili solo a Samsung, quale fornitore del dispositivo e, quindi, soggetto dal quale il consumatore acquista lo “smartphone” e con il quale si mette in relazione per la necessaria assistenza. In ultimo, per il T.A.R. l’eventuale contributo di Google alla causazione dei danni avrebbe, in ipotesi, configurato una fattispecie di concorso nella produzione dell’illecito senza comportare l’illegittimità del provvedimento.

18. Il T.A.R. ha respinto il quinto motivo con cui SEI e SEC avevano contestato la sussistenza di un nesso di causalità tra l’aggiornamento “Marshmallow” di “Android” e la produzione dei guasti agli apparecchi Note4, richiamando le considerazioni svolte in relazione al terzo motivo ed osservando che:

i) l’Autorità aveva rilevato che, dopo che nel maggio del 2016 era stato reso disponibile l’aggiornamento alla versione “Marshmallow” di “Android”, nell’agosto del 2016 erano state diramate da Samsung le istruzioni alla rete dei centri di assistenza per far fronte alle segnalazioni di “spegnimento e difetto di funzionamento” dei “Note4”, in cui si era indicato di controllare se la batteria fosse difettosa, e, in caso di permanenza del problema, di verificare la “PBA”; nel febbraio del 2017, era stata inviata ai CAT la raccomandazione di modificare il proprio laboratorio per affrontare i problemi di “No power (non si accende) 2. Self Reboot (si riavvia) dei Note4 (…) uno dei prodotti con il più alto numero di rientri”; omologhe indicazioni erano state fornite nel marzo del 2017, a fronte di problemi di “accensione/spegnimento/ricarica”; nel maggio del 2017 il Global CS Center di Samsung HQ aveva chiesto a Samsung Italia chiarimenti riguardo all’elevato numero di riparazioni ripetute per il “Note4”; nel settembre del 2017 era stato lanciato il nuovo modello “Note8”;

ii) al par. 126 del provvedimento, inoltre, si era evidenziato: “Di particolare rilievo è la crescita percentuale degli interventi di riparazione evidenziata dal grafico 4. Infatti, se è possibile che il progressivo invecchiamento dei Note4 aumenti la loro probabilità di subire un intervento di riparazione, nondimeno tale fenomeno avrebbe dovuto avere un andamento graduale, con una accelerazione solo quando il telefono è realmente obsoleto — evento che non pare possa verificarsi nell'arco temporale di un biennio. I dati mostrano invece che — a fronte della costanza e poi della riduzione dello stock di telefoni in garanzia - il numero delle riparazioni in garanzia legale è aumentato nel 2016-17, indicando quindi che, a parità di anzianità, il numero di apparecchi riparati è aumentato nel 2016-17, contestualmente alla diffusione dell'aggiornamento firmware alla versione Marshmallow di Android e alle conseguenti azioni di Samsung”;

iii) l’Autorità aveva, quindi, concluso - con valutazioni ampiamente argomentate e logicamente congruenti - che la frequenza e uniformità delle segnalazioni, relative sempre allo stesso tipo di guasti, la loro collocazione temporale e il fatto che erano state diramate ai centri di assistenza chiare istruzioni per far fronte a tali fenomeni, avevano evidenziato una chiara relazione di conseguenzialità tra l’installazione dell’aggiornamento e i guasti segnalati;

iv) del resto Samsung non aveva offerto spiegazioni alternative plausibili e non si era attivata per limitare gli ulteriori danni, né aveva informato i consumatori.

18. Il T.A.R. ha respinto anche il sesto motivo, relativo alle modalità di installazione degli aggiornamenti e ai messaggi con cui gli stessi erano stati resi disponibili invitando i consumatori a scaricarli (c.d. FOTA). Secondo il T.A.R.:

i) non erano state diramate segnalazioni di possibili malfunzionamenti nell’installazione di “Marshmallow” sul “Note4” e di impossibilità di impedire il “download”;

ii) la scorrettezza della pratica commerciale, in ordine alla reale portata del prodotto, non avrebbe potuto ritenersi sanata dalla possibilità per il consumatore di ottenere aliunde, o anche in un momento immediatamente successivo, ulteriori dettagli informativi, laddove il messaggio promozionale, attraverso il suo contenuto non trasparente (determinato dalle modalità di presentazione del prodotto), era risultato già idoneo ad agganciare il consumatore al primo contatto;

iii) in materia di pubblicità ingannevole, la giurisprudenza aveva sempre evidenziato la rilevanza del messaggio che “prende l’attenzione” al primo contatto, nonché la necessità di articolare i “claims” indicando da tutti gli elementi essenziali per un corretto e obiettivo discernimento;

iv) la completezza e la veridicità di un messaggio promozionale vanno verificate nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale e non già sulla base di ulteriori informazioni che l'operatore commerciale rende disponibili solo a effetto promozionale già avvenuto;

v) nel caso di specie l’Autorità aveva osservato che, in tal modo, il consumatore non avrebbe avuto una vera “facoltà di aderire alla proposta”, ma solo di effettuare una scelta di non aderire, da rinnovare in caso di nuova proposta di installazione dell’aggiornamento;

vi) tale dinamica dei fatti risultava idonea a smentire la tesi di Samsung in ordine al carattere non aggressivo della condotta, tenuto conto che simili pratiche non sono necessariamente connotate dal ricorso alla violenza fisica o verbale, ma sono certamente accomunate dal fatto che il consumatore viene a trovarsi in situazione di “stress” che lo condiziona nel decidere, e che tale “stress” può essere determinato sia da condotte del professionista ripetute e irriguardose della volontà del cliente, sia dalla esistenza di vincoli contrattuali percepiti come opprimenti.

19. In relazione al motivo concernente la gestione delle riparazioni fuori garanzia, il T.A.R. ha osservato che i dati richiamati dall’Autorità in relazione alle attività di assistenza in garanzia e fuori garanzia avevano attestato che il rilascio dell’aggiornamento “firmware” alla versione “Marshmallow” era avvenuto a maggio 2016, pochi mesi prima che i primi “Note4” uscissero dalla copertura biennale della garanzia legale, essendo stati immessi sul mercato nel 2014. I “Note4” venduti da oltre due anni, e quindi non più coperti dalla garanzia legale, avevano rappresentato la maggior parte dei “Note4” acquistati: il 50% circa a dicembre 2016, il 70% circa a febbraio 2017. Nei mesi immediatamente successivi al rilascio dell’aggiornamento, quindi, vi era stato un progressivo incremento del numero di “Note4” non più coperti da garanzia, per i quali i malfunzionamenti in argomento avevano comportato la necessità di sostenere il costo particolarmente elevato della riparazione – circa 300 euro - a spese del consumatore, tanto che in molti casi vi era stata rinuncia alla riparazione. A fronte del numero di guasti, l’Autorità aveva rimarcato (par. 150) la mancanza di strumenti volti al ripristino della funzionalità dell’apparecchio, e la mancanza di adeguata assistenza; circostanza finalizzate alla rapida sostituzione dei dispositivi con i nuovi modelli, con conseguente vantaggio economico, comprovato anche dall’offerta di un “voucher” di sconto del 25% sull’acquisto di un nuovo prodotto Samsung.

20. Il T.A.R. ha ritenuto infondata la contestazione relativa alla mancata partecipazione dei centri di assistenza al procedimento, ritenendoli soggetti non pregiudicati dalle infrazioni contestate dall’Autorità.

21. In ultimo il T.A.R. ha respinto le doglianze sulla quantificazione della sanzione.

D. Il ricorso in appello di SEI e SEC.

22. SEI e SEC hanno proposto ricorso in appello affidato ad otto motivi.

22.1. Con il primo motivo hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte relativa alla violazione dei principi di collegialità e intangibilità dell’atto adottato dall’Autorità, nonché alla ritenuta illegittimità della previsione di cui all’art. 7, punto 3), del Regolamento in tema di autenticazione degli atti deliberativi. Secondo le appellanti vi era assoluta incertezza sulla data di elaborazione dell’atto completo di motivazione e dispositivo, nonché sull’identità e sulla competenza dell’autore del provvedimento. Inoltre, le appellanti hanno riproposto le censure relative alla violazione della previsione di cui all’art. 8 della delibera dell’A.G.C.M. 24.5.2017, n. 26614.

22.2. Con il secondo motivo le appellanti hanno dedotto l’omessa regolare instaurazione del contraddittorio con SEC, con conseguente invalidità del procedimento. Hanno, inoltre, dedotto l’erroneità della pronuncia in relazione alla previsione di cui all’art. 19 della delibera dell’A.G.C.M. 1.4.2015, n. 25411.

22.3. Con il terzo motivo hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto che il provvedimento era fondato su analisi statistiche nuove, mai discusse con Samsung nel corso dell’istruttoria, con conseguente grave lesione dei suoi diritti di difesa.

22.4. Con il quarto motivo hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte relativa al ruolo di Google, titolare del sistema operativo aperto “Android”, utilizzato nei “Note4”, autore di “Marshmallow”, ritenuto, dall’A.G.C.M., la causa dei guasti dei “Note4”. Secondo le appellanti tale circostanza dimostrerebbe: i) la manifesta carenza istruttoria in relazione alla posizione di Google, alla quale non è stata rivolta neppure una richiesta di informazioni; ii) la manifesta incongruenza narrativa; iii) l’erronea imputazione della condotta. Inoltre, secondo le appellanti, la sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi sui primi due vizi e avrebbe raggiunto conclusioni errate sul terzo. La sentenza è, inoltre, ritenuta viziata per omesso assolvimento dell’onere motivazionale, avendo anche ignorato il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

22.5. Con il quinto motivo le Società hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il “Marshmallow” aveva causato guasti alla maggior parte dei “Note4” dato che il loro “hardware” non sarebbe stato in grado di supportarlo. Secondo le appellanti:

i) le evidenze ritenute conclusive dal T.A.R. sono inidonee in astratto a dimostrare tale tesi e la smentiscono in concreto;

ii) il T.A.R. ha omesso di esercitare un sindacato giurisdizionale effettivo su tali questioni.

22.5.1. Le appellanti hanno, quindi, dedotto la violazione degli artt. 18, 20-22 e 24 cod. cons., nonché delle norme e principi relativi all’onere della prova; inoltre, hanno dedotto gravi vizi di carenza istruttoria, anche sotto il profilo dell’omesso ricorso a una c.t.u., nonché la manifesta carenza e perplessità della motivazione della sentenza e del provvedimento. In ultimo, Samsung ha chiesto al Collegio di sottoporre alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti:

i) “Se gli artt. 5-9 della Direttiva debbano essere interpretati nel senso che, nell’ambito della valutazione di una pratica commerciale eventualmente scorretta e aggressiva non ricompresa nell’elenco delle pratiche di cui all’allegato 1, l’autorità nazionale di uno Stato membro preposta all’applicazione della normativa nazionale di trasposizione della Direttiva:

(a) possa procedere, ai fini dell’accertamento della natura scorretta di una pratica fondata su presupposto di natura tecnica (incapacità dell’hardware dei dispositivi commercializzati dal professionista di supportare un aggiornamento software elaborato da un terzo e rilasciato dal professionista previa autorizzazione del terzo), a verificare la rispondenza della condotta del professionista al canone di diligenza professionale di cui agli artt. 2(1)(j) e 5 della Direttiva, nonché agli elementi costituitivi di una pratica commerciale ingannevole e/o aggressiva di cui agli artt. 6-9 della Direttiva, in assenza di un’indagine tecnica (sulle caratteristiche dell’aggiornamento, dell’hardware del dispositivo e della loro interazione) e senza avere sentito il terzo (autore dell’aggiornamento);

(b) in caso di risposta affermativa al quesito sub lett. (a), se, nel contesto dell’accertamento ivi menzionato, l’autorità nazionale in questione che ritenga di procedere in assenza di un’indagine tecnica, abbia l’onere di esercitare il potere ex art. 12 della Direttiva di esigere che il professionista fornisca prove sull’esattezza delle allegazioni fattuali connesse alla pratica commerciale, con l’effetto di considerare inesatte dette allegazioni fattuali, se le prove richieste non siano fornite o siano ritenute insufficienti;

(c) in caso di risposta affermativa ai quesiti sub lett.re (a) e (b), possa gravare il professionista, in assenza sia delle indagini di cui alla lett. (a), sia dell’esercizio del potere ex art. 12 della Direttiva, dell’onere di dimostrare che i guasti dei dispositivi verificatisi non sono riconducibili a condotte colpevoli del professionista medesimo”.

22.6. Con il sesto motivo le Società hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che Samsung non avesse fornito informazioni adeguate, in un linguaggio comprensibile ai consumatori e conforme alle prassi di settore. Hanno evidenziato, inoltre, come non vi fosse stato alcun indebito condizionamento dei consumatori, anche considerate le differenti modalità per scaricare e installare l’aggiornamento.

22.7. Con il settimo motivo Samsung ha dedotto la non doverosità di prestare assistenza fuori garanzia atteso che il “Marshamallow” non aveva causato alcun guasto dei “Note4”. Samsung ha, altresì, dedotto l’erroneità della sentenza in quanto fondata su presupposti di fatto inesistenti e viziata per manifeste carenze di istruttoria e motivazionali sotto molteplici profili: impossibilità di utilizzare i guasti dei “Note4” per accelerarne la sostituzione con nuovi “smartphone”; confusione tra “downgrading” e “rooting”; manifesto travisamento della gestione delle riparazioni fuori garanzia.

22.8. Con l’ottavo motivo Samsung ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte relativa alla quantificazione della sanzione.

E. Svolgimento del giudizio di appello.

23. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio l’Associazione Codici – Centro per i Diritti del Cittadino, l’Autorità e il Codacons che hanno richiesto di respingere il ricorso in appello.

24. In vista dell’udienza pubblica dell’8.6.2023 Samsung ha depositato memoria conclusionale con la quale:

i) ha richiamato la sentenza della Sezione n. 448/2023 della Sezione, relativa ad una controversia ritenuta omologa alla presente;

ii) ha dedotto la tardività dell’adozione del provvedimento sanzionatorio, richiamando l’orientamento giurisprudenziale che ritiene il termine per l’adozione di tale atto perentorio.

24.1. Il Codacons ha depositato la sola memoria di replica in data 22.5.2023 insistendo per la reiezione del ricorso in appello.

25. All’udienza del 22.5.2023 la causa è stata trattenuta in decisione dopo la discussione nel corso della quale l’Autorità ha dedotto la non attendibilità della consulenza tecnica espletata nella causa decisa con la sentenza n. 448/2023 della Sezione, richiedendo – ove ritenuto necessario – un approfondimento istruttorio mediante verificazione o consulenza tecnica, e insistendo, comunque, nella richiesta di reiezione del ricorso in appello. Samsung ha insistito nei motivi di ricorso in appello.

F. Ragioni della decisione.

25. Il Collegio osserva, in primo luogo, come derogarsi all’ordine dei motivi articolato dalle appellanti e prendere l’abbrivio dalla disamina del quarto e del quinto motivo, in applicazione del “principio della ragione più liquida” (sul quale, cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 5 gennaio 2015, n. 5; Cassazione civile, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242).

25.1. Infatti, secondo un insegnamento dottrinale (mutuabile, pur con talune precisazioni sulle quale il Collegio si soffermerà infra, anche per il processo amministrativo), il Giudice decide la causa, senza necessità di esaminare e risolvere tutte le questioni sollevate dalle parti e rilevate d'ufficio, sulla base della risoluzione di una questione preliminare di merito, allorché, così facendo, possa essere definito il giudizio, mediante una pronuncia declaratoria del modo di essere della situazione soggettiva controversa. Tale principio consente di semplificare la trattazione e l'istruzione della controversia, e, inoltre, ne garantisce la ragionevole durata, riducendo, tendenzialmente, i tempi del giudizio.

25.2. Per l’applicazione di tale principio occorre verificare che la decisione di una determinata questione di fatto o di diritto consenta, quindi, di rendere un accertamento in ordine alla pretesa fatta valere in giudizio. Situazione che, per l’appunto, non impone, necessariamente, al Giudice di delibare tutti i temi di merito che sono stati versati nel contenitore processuale. Infatti, può risultare sufficiente la decisione di una o più questioni che risultino, comunque, in grado di definire il giudizio. Nella selezione delle questioni il Giudice può, quindi, dare rilievo prioritario a quelle che di più agevole soluzione purché ciò non si traduca in un assorbimento non consentito (v., infra, punti 25.4. e 25.5 della presente sentenza) delle altre questioni sottoposte al vaglio giurisdizionale. L’ordinamento processuale è, infatti, informato al principio del primato della ragione più liquida; pertanto, come evidenzia autorevole dottrina, “se, in un processo, sussiste una ragione sufficiente per la decisione, la sentenza può fondarsi su di essa anche quando il motivo della decisione si pone, da un punto di vista logico, a valle di altre ragioni, che non sono affrontate e decise”.

25.3. Da ciò consegue che la decisione, essendo esclusivamente volta a risolvere la lite, non deve compiere una puntuale ricognizione di tutte le questioni sulla base di una sequenza obbligata, desumibile dalla disciplina sostanziale; scopo della statuizione del Giudice è, infatti, quello di accordare o di negare alla parte la tutela richiesta, non di ricostruire la vicenda materiale nella sua evoluzione e nei sui sviluppi. La decisione sarà, in tal caso, resa in via del tutto ipotetica, facendo leva su un motivo che, dal punto di vista giuridico, si pone a valle di altri, i quali non sono verificati dal Giudicante, ma sono assunti soltanto ipoteticamente.

25.4. In termini ancora generali, può osservarsi come il principio sopra esposto non sia di assoluta applicazione. Infatti, simile principio muove dall’equivalenza giuridica delle questioni che considera, pertanto, fungibili ai fini della decisione. Possono, tuttavia, rinvenirsi delle deroghe a tale fungibilità nei casi in cui, o per la parte o per la legge, le difese (in senso lato) assumano un significato differente e, quindi, a causa della valorizzazione, in luogo del parametro della maggiore evidenza, o dell'interesse della parte o delle peculiarità sostanziali del loro oggetto.

25.5. Delle evidenti peculiarità si registrano, poi, nei giudizi di tipo impugnatorio, allorché l'azione sia diretta alla caducazione di un atto giuridico unilaterale, espressione di un potere sostanziale. Infatti, in simili giudizi il vincolo di completezza della decisione si impone in considerazione della circostanza che - sebbene l’accoglimento anche di uno solo dei motivi di invalidità dedotti giustifica la sentenza di accoglimento e, quindi, di annullamento degli stessi, consentendo, così, la definizione del giudizio – occorre tener conto di come la decisione di tutti i motivi d'impugnazione assume valore per il futuro, in quanto ad essa consegue, con efficacia conformativa per le parti, una più pregnante determinazione, ad opera del Giudice, del contenuto e delle modalità di esercizio del potere, nonché la specificazione della disciplina del rapporto giuridico (cfr., nel processo civile, Cassazione civile, Sezione Prima, 23 febbraio 2012, n. 2758). L'azione d'impugnazione è, infatti, il rimedio previsto dall'ordinamento a vantaggio del soggetto passivo del potere, il cui interesse sostanziale è stato inciso dall'atto di esercizio di esso, per far valere l'invalidità dell'atto e l'illegittimo esercizio del potere (c.d. “Gegengestaltungsklage”). La domanda è, quindi, diretta, innanzitutto, alla rimozione dell'atto e dei suoi effetti, ma, oltre a ciò, interesse della parte è di ottenere la dichiarazione della regola vincolante di esercizio del potere per il futuro e, contestualmente, di sentire fissata la disciplina del rapporto giuridico, sul quale l'atto impugnato ha operato, con efficacia costitutiva ovvero modificativa ed estintiva. Perciò, come osservato dalla dottrina, la sentenza di accoglimento “non ha un mero contenuto cassatario-caducatorio, ma ha anche un contenuto di accertamento, di carattere precettivo-conformativo; la sentenza accerta, in via diretta, le ragioni di invalidità dell'atto e, sostanzialmente, dichiara la regola di esercizio del potere di cui quello è espressione. Per tal via è dettata la regola vincolante, a cui si deve attenere il soggetto attivo, in occasione della rinnovazione del potere in futuro”.

25.5.1. Il contenuto dell'accertamento e, di conseguenza, della regola precettiva muta a seconda di quale sia il vizio di illegittimità riconosciuto dal Giudice; di conseguenza, anche la disciplina del rapporto giuridico e, prima ancora, del potere e del suo esercizio varia a seconda del vizio accertato e dell'estensione del sindacato sul potere, che, per il tramite dell'impugnazione dell'atto, il Giudice ha compiuto. Ai fini della caducazione dell'atto, è, infatti, sufficiente che il giudice riscontri l'esistenza di uno solo dei più vizi denunciati; da questo punto di vista, i motivi di illegittimità fatti valere dall'attore sono fungibili. Ai fini della disciplina del rapporto e della determinazione della regola di condotta per il (futuro) esercizio del potere, assumono, però, valore determinante sia il vizio riconosciuto che l'ampiezza del controllo giudiziale, posto in essere per il tramite dell'esame dei più vizi denunciati dalla parte. Da qui, l'interesse a che vengano decisi prima i motivi il cui accoglimento sia maggiormente satisfattivo per la parte attrice (l'annullamento per vizi sostanziali ha, infatti, un’utilità superiore rispetto a quello per motivi formali) e che siano valutati tutti i vizi denunciati, allorché da ciò derivi un effetto conformativo di più ampia portata rispetto al futuro esercizio del potere.

25.5.2. Tali considerazioni generali sono, poi, declinate nello specifico ambito del processo amministrativo dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio, la quale consente di ricorrere all’assorbimento per ragioni di economia processuale solo laddove ciò non pregiudichi l’effettività e la pienezza della tutela, e, in particolare:

i) nei casi di reiezione della domanda in forza della c.d. ragione più liquida;

ii) in caso di motivi meramente ripetitivi di altri già esaminati e respinti;

iii) nel caso in cui si fondi su una pluralità di ragioni autonome, potendo il Giudice - qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità - respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 27 aprile 2015, n. 5).

25.5.4. Le esigenze sottese al principio della ragione più liquida devono, quindi, coniugarsi con la necessità di garantire una tutela piena ed effettiva e, pertanto, non possono deprivare la parte di una decisione che risulti integralmente satisfattiva del bisogno di tutela giurisdizionale fatto valere in giudizio (c.d. Rechtsschutzbedürfnis).

25.6. Declinando tali principi al caso di specie si osserva come, invero, i primi tre motivi di ricorso in appello riguardino aspetti di invalidità formale o procedimentale dei provvedimenti impugnati e, quindi, non investano profili di merito della decisione amministrativa. Al contrario, il quarto e quinto motivo riguardano proprio l’accertamento che sorregge il provvedimento e, quindi, l’apparato logico e probatorio a base della decisione. Pertanto, questi due motivi evidenziano, in astratto, una più radicale illegittimità del merito del provvedimento che avrebbe, inoltre, portata ed ampiezza più ampia rispetto alle ulteriori questioni articolate nel sesto motivo (relativo all’adeguatezza delle informazioni fornite e alla sussistenza di un indebito condizionamento dei consumatori) e nel settimo motivo (relativo al dovere di prestare assistenza fuori garanzia). In ultimo, tali motivi sono ovviamente logicamente prioritari rispetto alla censura contenuta nell’ottavo motivo che, riguardando, la quantificazione della sanzione postula il preventivo accertamento della sussistenza dell’illecito.

25.7. In ragione di quanto esposto, il quarto e il quinto motivo non sono, soltanto, le censure di più pronta definizione secondo l’apprezzamento del Collegio ma, come spiegato, sono, altresì, le censure di maggior rilievo del giudizio, la cui esclusiva disamina non depriva, quindi, il bisogno di tutela giurisdizionale fatto valere dalla parte.

26. Chiarita la possibilità di incentrare la disamina del Collegio sui soli due motivi prima indicati il Collegio ne decreta la fondatezza alla luce delle considerazioni di seguito articolate.

26.1. Osserva il Collegio come il provvedimento dell’Autorità si fondi sulla ritenuta incidenza dell’aggiornamento “Marshmallow” sulla maggior parte dei “Note4”, che, proprio a seguito del “download” di tale aggiornamento, avrebbero subito una significativa riduzione delle prestazioni tecniche a causa del maggior sforzo imposto al sistema “hardware” cagionato dagli incrementi di richieste derivanti dal “firmware”. In particolare, l’aggiornamento avrebbe determinato fenomeni di spegnimento/riavvio in presenza di batterie usurate oltre un certo livello, oltre che maggiori richieste (come la nuova interfaccia grafica) rispetto alla versione precedente (“Lollipop”), che avrebbero reso meno fluida l’elaborazione da parte del processore e della memoria “flash” montati sul “Note4” e determinato stress di funzionamento e deterioramento della medesima memoria “flash eMMC” (Sezione V.3 del provvedimento dell’Autorità, denominata “L’impatto degli aggiornamenti del firmware alla versione Marshmallow di Android”; parr. 111-132).

26.2. Il fondamento del provvedimento è, quindi, costituito da un dato di natura eminentemente tecnica sul quale l’Autorità edifica l’intero impianto di contestazioni rivolte a Samsung. Infatti, secondo l’Autorità, il sistema “hardware” dei “Note4” non sarebbe stato in grado di supportare adeguatamente il nuovo “firmware”, la cui installazione sarebbe stata, inoltre, sostanzialmente imposta al consumatore, non lasciando allo stesso margini di scelta “riguardo alla possibilità di mantenere le originarie funzionalità ovvero alle nuove funzioni che possono essere abilitate, in ragione dello stato concreto del proprio apparecchio” (par. 130 del provvedimento), anche in considerazione della mancanza di un’informazione adeguata sui rischi di malfunzionamenti (parr. 133-137) e dell’insistente proposizione degli aggiornamenti (parr. 138-146). Inoltre, l’installazione (sostanzialmente obbligata) di tale aggiornamento sarebbe stata calibrata in un periodo temporale tale da poter intaccare dispositivi già parzialmente usurati e/o, comunque, non più coperti dalla garanzia legale, alla quale avrebbe fatto seguito un’assistenza inadeguata e la richiesta di costi ingenti per la riparazione. Questa “mancata prestazione di una effettiva assistenza per tutti i Note 4 (ivi compresi quelli fuori garanzia), unitamente agli ostacoli frapposti al downgrade del firmware, si [sarebbe, quindi, inserita] nell’ambito di una politica commerciale in cui assume particolare rilevanza il processo di sostituzione dei modelli meno recenti con i modelli nuovi e [avrebbe] oggettivamente costituito una significativa leva in tal senso” (par. 151 del provvedimento). In sintesi, vi sarebbe stato un piano di obsolescenza programmata dei dispositivi “Note4”, realizzato attraverso la sostanziale “imposizione” di un aggiornamento finalizzato ad alternarne le prestazioni, cui avrebbe fatto seguito una politica di assistenza al consumatore volutamente inadeguata e volta, piuttosto, ad indurlo all’acquisto di nuovi modelli.

26.3. La sintetica esposizione dei tratti essenziali delle condotte contestate a Samsung conferma come il “primum movens” su cui regge l’intero impianto accusatorio sia il dato tecnico costituito dalla derivazione dei malfunzionamenti dall’installazione dell’aggiornamento “Marshmallow” che, nella logica dell’Autorità, è il primo ma essenziale tassello della politica di sostituzione dei “Note4” con modelli più recenti.

26.4. Questo dato di carattere eminentemente tecnico non è, tuttavia, accertato dall’Autorità mediante una specifica disamina peritale ma ricorrendo ad elementi esterni al sapere tecnico, ritenuti, comunque, idonei a disvelare un legame inferenziale e, quindi, ad integrare una congrua evidenza del dato che sorregge l’intera decisione. Infatti, l’Autorità basa il proprio assunto: i) sulle segnalazioni dei consumatori; ii) sulla diramazione di istruzioni per la gestione delle riparazioni dei guasti; iii) sul periodo in cui si sono verificate le richieste di assistenza; iii) sul numero elevato e sulle tipologie di richieste di assistenza, con relative elaborazione grafiche. Ora, tali elementi sono – come già esposto – indici esterni allo specifico ramo del sapere tecnico-scientifico il cui oggetto di studio è costituito proprio dai dispositivi per le comunicazioni elettroniche e che rappresenta, quindi, la scienza astrattamente in grado di comprendere e spiegare le ragioni dei malfunzionamenti e le connessioni tra questi e l’aggiornamento “Marshmallow”. In sostanza, l’Autorità afferma la sussistenza di un legame inferenziale tra l’aggiornamento e i malfunzionamenti senza, tuttavia, affidarsi a quello specifico sapere tecnico deputato alla conoscenza dei sistemi elettronici e delle interrelazioni tra i vari componenti degli stessi, ma, al contrario, operando un giudizio inferenziale incentrato su mere circostanza fattuali che, invero, da sole non possono risultare sufficienti a fornire una spiegazione del fenomeno.

26.5. In quest’ottica coglie nel segno la prima censura di Samsung, la quale lamenta, correttamente, il mancato coinvolgimento nell’istruttoria di Google, che è il soggetto che sviluppa e rilascia gli aggiornamenti “Android” destinati ad interagire con gli “smartphone” di Samsung. Infatti, anche l’aggiornamento “Marshmallow” era stato ideato e sviluppato da Google, la quale avrebbe potuto, pertanto, fornire - con ogni evidenza - indicazioni tecniche rilevanti per la comprensione delle interazioni tra tale aggiornamento e i malfunzionamenti, consentendo, quindi, di acquisire evidenze in ordine alla riferibilità di tali malfunzionamenti al “Marshmallow” o, al contrario, di escludere il nesso eziologico che l’Autorità afferma. Diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice, il coinvolgimento di Google non rileva esclusivamente sotto il profilo della responsabilità, ma, prima ancora, sotto il profilo istruttorio. Infatti, se il tema tecnico centrale dell’accertamento è costituto dagli effetti derivanti dall’interazione tra l’“hardware” e l’aggiornamento del sistema “software”, appare, certamente, deficitaria un’istruttoria che non si snodi attraverso una disamina tecnica di tale aggiornamento e delle sue ripercussioni, effettuata mediante il soggetto responsabile, come spiegato, dell’ideazione e dello sviluppo dello stesso.

26.6. Parimenti risulta condivisibile il rilievo di Samsung che stigmatizza l’accertamento dell’Autorità per l’omessa effettuazione di un’analisi tecnica che avrebbe rappresentato un metodo di verifica che era logico e doveroso attendersi da un procedimento incentrato, come esposto in precedenza, su un dato di natura eminentemente tecnica.

26.7. In sostanza, il dato tecnico sul quale l’Autorità edifica le contestazioni non è accertato né tramite un apposito accertamento peritale, né attraverso richieste di informazione tecniche a Google, certamente rilevanti per un dispositivo il cui funzionamento dipende dall’interrelazione tra un sistema “hardware” e un sistema operativo, ideati e sviluppati da due soggetti distinti.

26.8. Gli elementi indicati dall’Autorità risultano, poi, anodini o, comunque, non idonei a fornire una spiegazione idonea del fenomeno in assenza della dimostrazione tecnica in ordine al nesso tra l’aggiornamento e i malfunzionamenti. L’esistenza di un simile nesso di causalità non può, infatti, affermarsi “per il solo fatto che l’uno è posteriore all’altro (“post hoc ergo propter hoc”)”, dovendosi riscontrare, in tale impostazione, un “evidente errore di correlazione logica, atteso che, evidentemente, non tutto ciò che viene prima costituisce causa di quanto segue” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2023, n. 448, relativa al caso “Apple”). Infatti, la sussistenza di segnalazioni è circostanza che, ex se, non spiega le ragioni dei guasti e che, in ipotesi, può costituire un mero punto di abbrivio dal quale muovere per condurre una disamina analitica delle ragioni tecniche che abbiano determinato simile fenomeno. Omologa considerazione vale per le analisi statistiche correlate al dato temporale che, come icasticamente evidenziato da Samsung, disvelano una concomitanza temporale ma non un nesso di causalità che è aspetto differente sia dal punto di vista giuridico che da quello propriamente effettuate. Né assumono rilievo le istruzioni per la gestione delle riparazioni dei guasti che testimoniano il dato (invero non controverso) relativo alla sussistenza di malfunzionamenti ma non offrono indicazioni sulle ragioni degli stessi.

26.9. Inoltre, non può omettersi di considerare come gli elementi valorizzati dall’Autorità riguardino, comunque, una porzione estremamente limitata dei dispositivi “Note4” immessi sul mercato. Deve, infatti, notarsi come il dispositivo in questione costituisca il prodotto di un’azienda multinazionale, attiva in innumerevoli Paesi e, quindi, in un mercato che ha dimensione globale. In questo contesto, la disamina dell’Autorità si incentra, esclusivamente, sul mercato italiano senza verificare se omologhi fenomeni di malfunzionamento si siano registrati in altri Paesi (e, in particolare, nei Paesi europei), ove pure era stato commercializzato il dispositivo in questione ed erano stati, ragionevolmente, apprestati gli aggiornamenti del sistema operativo. In sostanza, la dimensione mondiale del mercato relativo al prodotto in esame avrebbe, invero, imposto accertamenti di maggior ampiezza, coinvolgendo – in presenza di elementi fattuali non decisivi, come quelli esaminati dall’Autorità – quanto meno la Rete europea della concorrenza e, quindi, la Commissione europea e le altre Autorità nazionali al fine di constatare l’effettiva sussistenza del fenomeno ipotizzato. E ciò anche in considerazione della particolare gravità della pratica commerciale scorretta supposta dall’Autorità per la cui realizzazione si impongono – come testimonia, pur erroneamente, la stessa trama del provvedimento impugnato – una pluralità di elementi tra loro connessi, consistenti non soltanto nella modificazione del prodotto in modo da determinarne l’obsolescenza ma anche nella predisposizione di politiche dell’assistenza e della vendita di nuovi prodotti che inducano indebitamente il consumatore ad abbandonare il vecchio dispositivo per acquistarne un altro del medesimo marchio.

26.10. In ragione di quanto esposto, devono accogliersi i motivi di appello esaminati decretando l’illegittimità del provvedimento per carenza di un’adeguata istruttoria sul dato tecnico centrale per la decisione assunta dall’Autorità. Il deficit istruttorio sull’aspetto tecnico definito centrale per il provvedimento conduce a caducare anche le ulteriori contestazioni elevate dall’Autorità che, come spiegato in precedenza, si fondano, comunque, su tale profilo e non vi risultano, in alcun modo, irrelate.

27. Le considerazioni sin qui articolate escludono, inoltre, la possibilità di disporre una verificazione o una consulenza tecnica d’ufficio sul dato tecnico sul quale si è incentrata la disamina. Infatti, simili mezzi istruttori non possono colmare il deficit istruttorio dal quale risulta affetta l’attività svolta dall’Autorità nell’accertamento dei fatti contestati, potendo, semmai, la stessa Autorità provvedere ad una rinnovata istruttoria nel rispetto delle statuizioni contenute nella presente sentenza.

G. Statuizioni finali.

28. In definitiva, il ricorso in appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, devono essere accolti i ricorsi, come integrati da motivi aggiunti, di SEI e SEC, disponendo, per l’effetto, l’annullamento dei provvedimenti impugnati per le ragioni indicate nelle precedenti motivazioni.

29.  Le questioni esaminate esauriscono la disamina dei motivi su cui si è incentrata la decisione del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante; cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021, n. 6209; Id., 13 settembre 2022, n. 7949), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

30. Le spese di lite del doppio grado del giudizio possono essere compensate ai sensi degli articolo 26 del codice del processo amministrativo e 92 del codice di procedura civile, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale, 19 aprile 2018, n. 77 che dichiara l’illegittimità costituzionale di quest’ultima disposizione nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, da individuarsi nella complessità e novità delle questioni esaminate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, accoglie i ricorsi, come integrati da motivi aggiunti di Samsung Electronics Italia s.p.a. e di Samsung Elctronics co Ltd e annulla il provvedimento n. 27363 del 25.9.2018 dell’Autorità per la Concorrenza e per il mercato, per le ragioni indicate in motivazione.

Compensa tra le parti costituite le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Lorenzo Cordi', Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE             

Lorenzo Cordi' Giancarlo Montedoro

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