domenica 20 marzo 2016

Contraffazione del marchio CE - punito il tentativo di falsificazione con "China Export"

Questa domenica trattiamo la contraffazione del marchio CE, con l'interessante pronuncia n. 263/2015 del Tribunale di Padova, chiamato a giudicare la vendita di prodotti che non rispettavano le normative europee.

Con la citata sentenza il Tribunale di Padova ha condannato un commerciante di origine cinese (a 2 mesi di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali) per il reato di frode nell'esercizio del commercio, reato previsto e punito dall'art. 515 c.p.c., per aver falsificato il marchio comunitario.

La vicenda esaminata dal Tribunale di Padova ha ad oggetto un quantitativo cospicuo (circa 5.000 esemplari) di occhiali da vista e da sole con marchio CE contraffatto.
 
Va precisato che il Tribunale ha condannato il commerciante a titolo di tentativo ex art. 56 e non nella forma consumata in quanto i predetti beni venivano rinvenuti dalla Guardia di Finanza all'interno di un box situato in una sorta di centro commerciale, circostanza che faceva desumere la loro destinazione alla vendita.
 
Qualora, invece, il commerciante fosse stato trovato nell'atto di vendere/consegnare i beni ad un acquirente gli sarebbe stato contestato il reato di cui all'art. 515 c.p. nella forma consumata, con la conseguenza che la sanzione sarebbe stata superiore.  Tale norma punisce “Chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 2.500 a € 25.00 (...)”.

Il Tribunale di Padova ha ritenuto, come già precedentemente sostenuto dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione (9310/13), che “l'applicazione della marcatura CE contraffatta è astrattamente riconducibile alla fattispecie contemplata dall'art. 515 c.p.”.

Col termine “contraffare” solitamente si indica la riproduzione di marchi o segni distintivi già registrati e attribuiti a determinati beni di consumo (es. occhiali, borse, vestiti, ecc.) che vengono apposti, da soggetti terzi non autorizzati su nuovi prodotti, similari ma diversi da quelli legittimamente commercializzati dal titolare del marchio/segno distintivo, in modo che tali beni vengano scambiati con l'originale.
 
Detta in altro modo, utilizzando il linguaggio comune, con il termine “contraffazione” si fa riferimento ad una molteplicità di atti diretti a produrre e commercializzare prodotti che recano illecitamente un marchio identico ad uno registrato oppure la riproduzione, anch'essa illecita, di beni tutelati dal diritto d'autore, meglio nota come pirateria. Nel nostro codice penale la contraffazione è prevista come autonoma fattispecie di reato all'art. 473 c.p.

La conseguenza di tale illecita operazione si riverbera sul consumatore che viene tratto in inganno sulla reale provenienza dei prodotti. Presupposto del reato di contraffazione è la registrazione del marchio nelle forme stabilite dalla legge.
 
Occorre, pertanto, che il marchio/segno distintivo (es. Nike, Guess, Nero Giardini) sia stato precedentemente registrato rispettando le norme dell'ordinamento interno (ad esempio quelle italiane), dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali, poste a protezione della proprietà intellettuale, dei prodotti industriali e delle opere dell'ingegno. Quanto precisato consente di comprendere il ragionamento posto alla base della sentenza in commento.
 
I beni contraffatti rinvenuti dalla Guardia di Finanza di Padova riportavano il marchio CE contraffatto, precisamente sugli occhiali era apposta la marcatura CE (China Export) che si distingue da quella Europea per la sola ed impercettibile diversa distanza tra le due lettere.
 
Tale millimetrica diversità, secondo il Tribunale di Padova (e come già precisato, secondo la Suprema Corte di Cassazione) è sufficiente ad ingenerare nel consumatore la convinzione che la merce abbia le caratteristiche e gli standard europei.
 
La marcatura CE ha la funzione di tutelare la salute e la sicurezza degli utilizzatori dei prodotti mediante l'attestazione della rispondenza alle disposizioni comunitarie che ne prevedono l'utilizzo.
 
Il simbolo “CE” non va però inteso come marchio di qualità o di origine, in quanto è un mero marchio amministrativo, che evidenzia la possibilità di libera circolazione del prodotto nel mercato comunitario.
 
Utilizzando le parole della Corte di Cassazione “la marcatura CE attesta la conformità del prodotto a standard minimi di qualità e costituisce, pertanto, una garanzia della qualità e della sicurezza della merce che si acquista.” (Cass. 23819/2009)
 
Concludendo, il Tribunale di Padova ha motivato la sentenza di condanna a carico del commerciante cinese sostenendo che la consegna di merce recante una marcatura contraffatta, attestante la rispondenza a specifiche costruttive che assicurano la sussistenza dei requisiti di sicurezza e qualità richiesti dalla normativa comunitaria, determina senz'altro quella divergenza qualitativa necessaria per configurare il reato di cui all'art. 515 c.p..

Qui la sentenza.
                                                         REPUBBLICA ITALIANA
                                                 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                                                         TRIBUNALE DI PADOVA
                                                 IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
                             DISPOSITIVO DI SENTENZA E CONTESTUALE MOTIVAZIONE
(Artt. 544 e segg., 549 c.p.p.)
A SEGUITO DI DIBATTIMENTO
(Art. 567 c.p.p.)

IL GIUDICE
Dott.ssa xxxxx
alla pubblica udienza del 30/1/15
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
Nei confronti di
Z.H.P. nato il (...) a Z. - C.
residente a P. in via B. n. 6
domicilio eletto a P. in via C. n. 14/A9 c/o ditta X.X. di Z.H.P.
LIBERO - ASSENTE
Difeso dall'Avv. del Foro di PADOVA di fiducia
IMPUTATO
- del reato di cui agli artt. 56, 515 c.p. perché, nella qualità di titolare della ditta individuale "X.X. di Z.H.P." di via C. 14/a 9 di P., poneva in essere atti idonei in modo non equivoco e consegnare agli avventori cose diverse da quelle indicate e pattuite, atteso che deteneva per farne commercio n. 4.902 paia di occhiali da sole e n. 1.673 paia di occhiali da vista riportanti il marchio CE contraffatto.
In Padova accertato il 15.04.2009.

svolgimento del processo e motivi della decisione
Con decreto 15.05.2014 il PM di Padova citava a giudizio avanti Questo Giudice Monocratico l'odierno imputato Z.H.P. per rispondere del reato in rubrica precisato.
All'udienza dibattimentale, assente l'imputato, regolarmente citato e non comparso veniva aperto il dibattimento.
Esaurita l'istruttoria dibattimentale, svolta mediante assunzione di prove dichiarative e documentali, si passava alla discussione nel corso della quale le parti rassegnavano le conclusioni in rubrica riportate.
Ritiene Questo Giudice che le prove raccolte consentano di affermare al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato a lui ascritto.
In data 15.04.2009 personale della Guardia di Finanza inviava in Via Cile alcune pattuglie al fine di effettuare dei controlli in vari esercizi commerciali tesi a contrastare il fenomeno della vendita di occhiali contraffatti.
Come riferito dal teste di PG all'interno dell'esercizio commerciale, ove operava la ditta dell'odierno imputato (come riferito dal teste si tratta di un box aperto al pubblico situato all'interno di altro stabile che ospita numerosi altri box - il teste infatti ricordava che nel corso di quell'operazione erano stati perquisiti altri box), venivano rinvenuti numerosi occhiali, sia da vista sia da sole, privi del marchio CE. In alcuni casi, invece, il marchio risultava contraffatto.
Il teste riferiva che i beni erano sistemati su appositi scaffali pronti alla vendita e non chiusi dentro scatoloni.
Il prevenuto non è stato in grado di documentare la provenienza di tali beni. Appare pertanto provata la penale responsabilità dell'imputato trattandosi soltanto di stabilire l'equo trattamento sanzionatorio.
Si osserva che l'interesse tutelato dall'art. 515 c.p. è quello del leale e scrupoloso comportamento nell'esercizio dell'attività commerciale.
Quanto all'apposizione della marcatura CE contraffatta, la Suprema Corte di Cassazione (sentenza 18 settembre - 6 novembre 2014, n. 45916) ha riconosciuto che tale condotta è astrattamente riconducibile alla fattispecie contemplata dall'art. 515 cod. pen. (sez. 3, 14 febbraio (...) n. 9310; sez. 3, 16 luglio 2010, n. 27704). Deve in particolare ricordarsi che la funzione della marcatura CE è la tutela degli interessi pubblici della salute e sicurezza degli utilizzatori dei prodotti mediante la attestazione della rispondenza alle disposizioni comunitarie che ne prevedono l'utilizzo; la stessa, pur non fungendo da marchio di qualità o di origine, costituisce comunque un marchio amministrativo, che evidenzia la possibilità di libera circolazione del prodotto nel mercato comunitario (sez. 2, n. 18 settembre 2009, 36228). La marcatura CE attesta la conformità del prodotto a standard minimi di qualità e costituisce, pertanto, una garanzia della qualità e della sicurezza della merce che si acquista (sez. 3, 9 giugno 2009, n. 23819, concernente proprio un'ipotesi di tentativo di frode in commercio posto in essere anche attraverso la commercializzazione di prodotti recanti il marchio CE contraffatto, indicativo della locuzione "China - Export").
Invero, se, come si è già affermato, l'interesse tutelato dalla disposizione in esame è quello dello Stato e del consumatore al leale esercizio dei commercio ed il reato in essa previsto è integrato dalla semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato, è evidente che la consegna di merce recante una marcatura contraffatta, attestante la rispondenza a specifiche costruttive che assicurano la sussistenza dei requisiti di sicurezza e qualità richiesti dalla normativa comunitaria, determina senz'altro quella divergenza qualitativa che si ritiene necessaria per configurare l'illecito penale. La decettività della marcatura CE (C.E.), che si distingue da quella europea per la sola, impercettibile, diversa distanza tra le due lettere, è da sola sufficiente ad ingenerare nel consumatore la convinzione che la merce abbia le caratteristiche e gli standard europei. Ne può darsi, neanche in astratto, l'ipotesi di merci prive della marcatura CE (C.E.) che siano comunque dotate di tutti tali requisiti, perché l'apposizione del marchio CE da parte del produttore ha la funzione di certificare la conformità del prodotto con i requisiti essenziali richiesti dal mercato europeo; e tale certificazione costituisce in sé un essenziale elemento qualitativo del prodotto.
Dalla lettura del disposto di cui all'art. 515 c.p., si rileva che tale reato si configura ogni qualvolta l'alienante consegni all'acquirente una cosa mobile diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella dichiarata o pattuita.
La consumazione del reato coincide con la consegna materiale della merce all'acquirente ma, per la configurabilità del tentativo, non è affatto necessaria la sussistenza di una qualche forma di contrattazione finalizzata alla vendita: è sufficiente l'accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite (ex plurimis, sez. 3, n. 9310 del 2013; sez. 3, 25 novembre 2010, n. 41758; sez. 3, 18 febbraio 2009, n. 6885; sez. 3, 14 giugno 2007, n. 23099; sez. 3, 29 novembre 2001, n. 42920). Configura, inoltre, il tentativo, anche la mera detenzione in magazzino di merce non rispondente per origine, provenienza, qualità o quantità a quella dichiarata o pattuita, trattandosi di dato pacificamente indicativo della successiva immissione nella rete distributiva di tali prodotti (sez. 3, 26 gennaio 2009, n. 3479; sez. 3, 16 gennaio 2009, n. 1454; sez. 3, 8 settembre 2004, n. 36056)
Quindi correttamente è stata contestata l'ipotesi tentata.
Visti quindi i criteri di cui agli artt 133 e 133 bis c.p., stimasi equa la pena di mesi 2 di reclusione. L'imputato non è meritevole delle attenuanti generiche considerato il precedente specifico e la quantità di merce sequestrata.
Non sussistono i presupposti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena essendo il soggetto già gravato da precedenti specifici che alcun efficacia deterrente hanno sortito sul prevenuto e pertanto alcuna prognosi favorevole può allo stato formularsi sull'astensione del medesimo da condotte criminose.
Consegue a tale pronuncia la condanna al pagamento spese processuali.

                                                                       pqm
Visti gli artt 533 e 535 c.p.p.;
dichiara Z.H.P. colpevole in ordine al reato ascritto e lo condanna alla pena di mesi 2 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
Confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Visto l'art. 518 c.p.
Dispone la pubblicazione della sentenza per estratto sul sito internet del Ministero della Giustizia.
Così deciso in Padova, il 30 gennaio 2015.
Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2015.

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