Poste Vita è una società del Gruppo Poste che ha venduto polizze vita negli ultimi lustri ai vari clienti, offrendo un prodotto assicurativo da esercitarsi nei termini della prescrizione ex art. 2952 c.c..
Come è noto, tale termine è stato, con riferimento alle polizze vita, riformato nel 2012, allorché l'esercizio del diritto da parte del beneficiario (ossia la riscossone della polizza) è stato esteso da due anni (dalla morte del soggetto sottoscrivente) a dieci anni (vedi qui).
Di recente, la materia è stata oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali volti a delineare sia il termine entro il quale il beneficiario può riscattare la polizza, sia gli obblighi informativi gravanti sull'intermediario.
In tal senso, sembra meritevole di citazione la recente sentenza resa dal Tribunale di Campobasso, il quale ha ritenuto responsabile Poste per non aver informato il cliente in merito al termine di prescrizione per il riscatto della somma prevista.
Nel caso di specie, il contratto di Poste prevedeva la rinuncia espressa da parte della società del termine di due anni (previsto sino al 2012), e quindi un termine più esteso di dieci anni.
All'evento morte, il beneficiario non esercitava il proprio diritto entro i due anni, ma entro il termine di dieci anni previsto dal contratto.
Il Tribunale si è espresso valutando come non valida la clausola di estensione della prescrizione, ma allo stesso tempo ha condannato la banca per non aver attivato ogni mezzo per rendere noto al beneficiario che avrebbe dovuto attivarsi entro due anni per escutere la somma prevista dalla polizza.
In altri termini, alla morte del soggetto sottoscrittore, Poste avrebbe dovuto rendere noto al beneficiario che quest'ultimo avrebbe avuto solo due anni di tempo per poter esercitare il proprio diritto, e tale omissione configura una specifica responsabilità dell'intermediario.
La responsabilità è conseguente alla violazione del principio di buona fede contrattuale che sempre deve sussistere nel rapporto tra professionista e cliente/consumatore e che, secondo il Tribunale di Campobasso, Poste Vita violato:"è indubbio che l'Istituto Poste Vita non abbia avvisato il beneficiario - in violazione dei principi generali di correttezza e buona fede - del fatto che la mancata richiesta di riscossione entro due anni dal decesso avrebbe comportato la prescrizione del diritto ai sensi dell'art.2952 c.c. e, di conseguenza, la perdita del capitale maturato, per se nel contratto era scritto che il beneficiario avebbe potuto esercitare i diritti entro il decennio dall'evento".
La conclusione a cui il giudice perviene, ravvisando un comportamento di Poste contrario ai citati doveri di correttezza e buona fede, si fonda anche sull'insegnamento della Cassazione che, come si legge nella sentenza che trovate di seguito, ha evidenziato:"l'obbligo di buona fede oggettiva e correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile nell'ambito contrattuale ed extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti della vita relazionale, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso), nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio" (Cass. n. 3462/2007).
Non vi sono dubbi, sul punto, che Poste Vita avrebbe potuto (dovuto) attivarsi pre agevolare il beneficiario nella riscossione del credito, informandolo del termine di due anni a pena della prescrizione ex art. 2952 c.c., con conseguente obbligo di Poste Vita di pagare al beneficiario la somma del riscatto.
Come è noto, tale termine è stato, con riferimento alle polizze vita, riformato nel 2012, allorché l'esercizio del diritto da parte del beneficiario (ossia la riscossone della polizza) è stato esteso da due anni (dalla morte del soggetto sottoscrivente) a dieci anni (vedi qui).
Di recente, la materia è stata oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali volti a delineare sia il termine entro il quale il beneficiario può riscattare la polizza, sia gli obblighi informativi gravanti sull'intermediario.
In tal senso, sembra meritevole di citazione la recente sentenza resa dal Tribunale di Campobasso, il quale ha ritenuto responsabile Poste per non aver informato il cliente in merito al termine di prescrizione per il riscatto della somma prevista.
Nel caso di specie, il contratto di Poste prevedeva la rinuncia espressa da parte della società del termine di due anni (previsto sino al 2012), e quindi un termine più esteso di dieci anni.
All'evento morte, il beneficiario non esercitava il proprio diritto entro i due anni, ma entro il termine di dieci anni previsto dal contratto.
Il Tribunale si è espresso valutando come non valida la clausola di estensione della prescrizione, ma allo stesso tempo ha condannato la banca per non aver attivato ogni mezzo per rendere noto al beneficiario che avrebbe dovuto attivarsi entro due anni per escutere la somma prevista dalla polizza.
In altri termini, alla morte del soggetto sottoscrittore, Poste avrebbe dovuto rendere noto al beneficiario che quest'ultimo avrebbe avuto solo due anni di tempo per poter esercitare il proprio diritto, e tale omissione configura una specifica responsabilità dell'intermediario.
La responsabilità è conseguente alla violazione del principio di buona fede contrattuale che sempre deve sussistere nel rapporto tra professionista e cliente/consumatore e che, secondo il Tribunale di Campobasso, Poste Vita violato:"è indubbio che l'Istituto Poste Vita non abbia avvisato il beneficiario - in violazione dei principi generali di correttezza e buona fede - del fatto che la mancata richiesta di riscossione entro due anni dal decesso avrebbe comportato la prescrizione del diritto ai sensi dell'art.2952 c.c. e, di conseguenza, la perdita del capitale maturato, per se nel contratto era scritto che il beneficiario avebbe potuto esercitare i diritti entro il decennio dall'evento".
La conclusione a cui il giudice perviene, ravvisando un comportamento di Poste contrario ai citati doveri di correttezza e buona fede, si fonda anche sull'insegnamento della Cassazione che, come si legge nella sentenza che trovate di seguito, ha evidenziato:"l'obbligo di buona fede oggettiva e correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile nell'ambito contrattuale ed extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti della vita relazionale, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso), nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio" (Cass. n. 3462/2007).
Non vi sono dubbi, sul punto, che Poste Vita avrebbe potuto (dovuto) attivarsi pre agevolare il beneficiario nella riscossione del credito, informandolo del termine di due anni a pena della prescrizione ex art. 2952 c.c., con conseguente obbligo di Poste Vita di pagare al beneficiario la somma del riscatto.
Qui la sentenza n. 182/2017 del Tribunale di Campobasso.
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