lunedì 11 aprile 2022

Risparmio & Previdenza. Perché non è sempre valido che chi più spende, meno spende

Fonte: Il Fatto Quotidiano
28 febbraio 2022
Tempo fa si pagavano solo commissioni sugli investimenti e gli eventuali smobilizzi, in genere uno 0,5-0,7% per il reddito fisso o le azioni. Poi alcuni hanno capito che era possibile raschiare via soldi ai clienti in continuazione, giorno dopo giorno. Bastava convincerli a dare in gestione i propri risparmi, anziché fare da soli.

Ecco perché banche e venditori porta a porta mirano a rifilare sempre e solo prodotti che comportano costi continui. Tali sono i fondi comuni, le polizze vita e la previdenza integrativa nelle loro varie forme. Così nell’arco degli anni si subiscono veri e propri salassi. Il peggio del peggio è quando un genitore (o altri) sottoscrive un fondo pensione o simile intestandolo a un bambino. Con costi anche solo dell’1% annuo, in sessant’anni la somma intrappolata viene decurtata del 45%.

La variabile costi è la cifra per interpretare le strategie commerciali di banche e promotori. Cioè per capire perché spingano alcune alternative a discapito di altre, di regola migliori. Vediamolo in particolare per l’inflazione, per stare sull’attualità. Le soluzioni migliori, cioè più sicure per la difesa del potere d’acquisto delle somme accantonate, vengono sistematicamente taciute, quando non sconsigliate, perché hanno costi bassissimi o addirittura nulli.

Chi sottoscrive o detiene buoni postali indicizzati all’inflazione non paga commissioni né di sottoscrizione, né di riscatto e tanto meno periodiche. E infatti alle Poste è normale che spingano tutt’altro, in particolare le polizze a vita.

Nessuna commissione, provvigione, spread ecc. viene applicata al Trattamento di fine rapporto (Tfr) accantonato presso l’azienda. Una forma di risparmio, seppur forzoso, dove però nessun intermediario decurta le rivalutazioni, in pratica gli interessi, che l’azienda riconosce al lavoratore. Ecco così che i sindacati, in allegra sintonia con banche e assicurazioni, cercano di dirottarlo nei loro fondi pensione, che gli fruttano poltrone e prebende.

Chi compra Btp indicizzati all’inflazione, cioè Btp Italia, Btp-i o gli equivalenti esteri (Oatei, Bundei ecc.), paga all’intermediario una modesta percentuale per l’acquisto. A dir tanto lo 0,5% una volta ogni 5, 10 o anche 30 anni; o al più due volte, se non aspetta il rimborso. Già solo passando a un Etf perde ogni garanzia e paga una gabella annua. Ma c’è di peggio. Cosa consiglia infatti per scritto Stefano Barrese, alto direttore di Banca Intesa-Sanpaolo, “per evitare il rischio che i risparmi in futuro valgano meno per effetto dell’inflazione”? In e-mail inviate ai clienti li sprona ad “attivare un Piano di Accumulo su un fondo comune di investimento o un Premio Ricorrente su un prodotto di investimento assicurativo”. Prodotti del tutto inadatti perché non hanno nei regolamenti nessuna garanzia in potere d’acquisto, sono per giunta opachi, ma in compenso fanno guadagnare sempre più soldi alla banca.

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