La pronuncia della Cassazione oggi in commento, l’ordinanza n. 3695 del 7 febbraio 2022, ci permette di mettere in evidenza, senza rinunciare a rielaborare un vademecum sui termini di decadenza inerenti ai difetti di conformità nella vendita regolata dal Codice del consumo, una discrasia tra come è stata intesa, in sede comunitaria, detta materia e come, invece, trova applicazione da una parte della nostra giurisprudenza.
In primo luogo, occorre tenere conto della applicabilità di due complessi normativi, secondo il seguente ordine:
- il primo, derivante dagli articoli 128 e seguenti del Codice del consumo ed in attuazione della direttiva 44/1999/CEE, che regola i difetti di conformità nei rapporti di compravendita intercorrenti tra il consumatore e il professionista e, in quanto norma speciale, deroga al codice civile, in quanto dispone che il consumatore deve denunciare il difetto entro due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto.
- il secondo, che invece discende dagli articoli 1490 e seguenti del Codice civile, viene applicato in via del tutto sussidiaria. La norma prevede un termine di decadenza di otto giorni (dalla scoperta) per la denuncia dei vizi occulti (art. 1495 c.c.).
Il primato del diritto comunitario in materia, espresso peraltro con alcune norme di ordine pubblico (in particolare, la modalità di denuncia del difetto di conformità, illustrata dall’articolo 5 della predetta direttiva, è norma applicabile direttamente dal giudice anche di ufficio), imporrebbe che la giurisprudenza di merito si attenesse scrupolosamente ai criteri ermeneutici sottesi a quell’impianto normativo. Invece, come ha constatato la Cassazione medesima, “la sentenza impugnata, pur dichiarando espressamente di applicare il Codice del Consumo, ha invece deciso la causa secondo le norme codicistiche, peraltro in una prospettiva formalistica, senza tenere conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia e degli approdi della giurisprudenza interna, al fine di riequilibrare l'asimmetria contrattuale tra consumatore e professionista”.
Veniamo ai fatti di causa. Un consumatore, proprietario di un’autovettura di recente acquisto, ha portato il mezzo presso una concessionaria, affinché i suoi freni poco performanti venissero sottoposti alla riparazione in garanzia. Persistendo il difetto di funzionamento dei freni, che dovevano essere dotati di migliore tecnologia, il consumatore ha formalmente denunciato la circostanza, a mezzo della consueta raccomandata e, con la stessa, ha comunicato la risoluzione del contratto.
La Corte di appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha tuttavia ritenuto che, il consumatore abbia denunciato il vizio intempestivamente, cioè dopo due mesi dalla sua scoperta, incorrendo per questo nella decadenza prevista dall’articolo 130 Codice del consumo. E ciò perché, ad opinione della corte, la riparazione in garanzia da parte della concessionaria non equivarrebbe ad un implicito riconoscimento del vizio, che invece andrebbe denunciato con una raccomandata o, comunque, in forma scritta da parte del consumatore.
Prima di analizzare le considerazioni della giurisprudenza di merito che, come abbiamo già espresso, sono incappate nelle censure della Cassazione in quanto difformi agli indirizzi comunitari, dobbiamo riepilogare, sia pure in forma di vademecum, la disciplina del difetto di conformità.
Una volta consegnato il bene di consumo, il venditore è tenuto responsabile per qualsiasi difetto di conformità del bene, allorché tale difetto si palesi entro due anni dalla consegna del bene. Il difetto di conformità permette al consumatore di attivare una serie di rimedi che l’articolo 130 Codice consumo scandisce in base ad un preciso ordine:
- la riparazione o la sostituzione del bene (rimedi primari);
- se persiste il difetto di conformità del bene rispetto al contratto oppure il venditore non effettua la riparazione o la sostituzione in un termine congruo e senza spese ulteriori, la riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto, e ciò anche in presenza di un vizio di lieve entità.
Resta fermo che il consumatore può avvalersi di questi rimedi se ha denunciato al venditore il difetto entro il termine di due mesi dalla scoperta. Tale denuncia, che può avvenire in qualsiasi modalità dalla quale si desuma la conoscenza del vizio, è tuttavia circoscritta alla sola presenza del difetto, sia questo connaturato o meno al bene di consumo.
Inoltre, se detto difetto si manifesta entro sei mesi dalla consegna, si presume, fino a prova contraria, che sia connaturato al bene e che sussistesse ab origine: il consumatore, dunque, dovrà limitarsi a dimostrare che il vizio esiste ed è collegato con il danno (e non al prodotto).
In caso contrario, trova nuovamente applicazione il Codice civile (non disponendo diversamente quello del consumo e trovando, quindi, applicazione sussidiaria quello civile) e si impone al consumatore di provare che il vizio non è sopravvenuto, ma originario.
In altri termini, nel quadro delineato dal Codice del consumo sarà il venditore, professionista di solito ben munito di mezzi e conoscenze, a dimostrare che il difetto non esisteva quando il bene è stato consegnato oppure che non erano state inventate tecnologie adatte per riconoscerlo. Invece, nel quadro ben più “fosco” delineato dal Codice civile incomberà sull’acquirente l’onere di provare che il difetto esisteva proprio nel momento in cui il bene è stato consegnato, con ciò che ne consegue in ordine alla difficoltà di reperire la prova.
L’esposizione di questi elementi di dettaglio nel vademecum non è fine a se stessa, poiché mette in luce due diversi paradigmi (vale a dire, due modi diversi di risolvere i problemi) nella disciplina dei vizi.
Da un lato vi è la posizione di una parte della nostra giurisprudenza che come abbiamo visto, sebbene formalmente applichi il Codice del consumo ai rapporti consumeristici, nella sostanza adotta le categorie sui vizi desunte dal Codice civile: tuttavia, queste non si attagliano ai rapporti consumeristici. Dall’altra vi è quella del regolatore comunitario che, nei considerando della direttiva 99/144/CEE, ha esplicitato le finalità sottese alla disciplina dei difetti di conformità nei rapporti consumeristici, assecondando gli sviluppi di un’economia oggi globalizzata e fondata sulla grande distribuzione.
La disciplina civilistica, e segnatamente gli articoli 1490 e seguenti codice civile, presupponeva un’economia ancora poco industrializzata, nella quale le cose (ossia le utilità provviste di valore economico) conservavano più a lungo la propria destinazione d’uso. L’equilibrio tra le prestazioni del compratore e quelle del venditore (il sinallagma) era statico: ragione per la quale era necessario stabilire ab origine che la cosa fosse immune da vizi, cioè che servisse esplicitamente ad un uso ordinario ed obiettivo, noto alle parti della compravendita.
Il Codice civile, peraltro, non prevedeva (e non prevede) un sistema progressivo di ordini di rimedi, nel quale la risoluzione costituisse la extrema ratio (al più, l’articolo 1492 prevede, tra gli effetti della garanzia, l’alternatività tra la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto, che costituiscono però un solo ordine di rimedi).
Sulla base di queste considerazioni, si comprende perché, secondo una parte della giurisprudenza (il cui orientamento è stato censurato dalla Cassazione), affinché il vizio sia riconoscibile, deve essere comunicato per iscritto al venditore (espressione, questa, di un orientamento formalistico e addirittura più restrittivo degli oneri codicistici) e, in ogni caso, si impone al compratore di indicare che il difetto è connaturato al bene.
La disciplina consumeristica (che, lo ricordiamo, ha “tolto” la scena al Codice civile per tutti i rapporti consumeristici e, come dice Natalino Irti, ha relegato il diritto comune ad un ruolo non più esclusivo nel sistema delle fonti) invece, risponde ad un diverso sistema economico, nel quale il servizio post vendita, ormai capillare, risponde alla precipua esigenza di mantenere la conformità del bene al contratto. In questi termini, l’equilibrio tra le prestazioni del professionista e del consumatore è dinamico. Il professionista, infatti, è chiamato a ripristinare detta conformità; e gli accertamenti tecnici, volti ad individuare il difetto di conformità e la sua soluzione, ricadono nella sua organizzazione, più che in quella del consumatore.
Ragione per la quale gli oneri della denuncia sono meno gravosi per il consumatore e per la quale l’insorgenza di un vizio entro sei mesi, statisticamente prima ancora che presuntivamente, è equiparata ad un difetto originario di conformità.
Difetto conformità prodotto - termine denuncia by Consumatore Informato on Scribd
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