domenica 11 giugno 2023

Il giudice comunitario torna a definire la nozione di "consumatore"

La nozione di consumatore è il punto centrale della recentissima sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (Sez. V^ C-570/21), chiamata dal giudice polacco a valutare l'applicabilità delle norme a tutela del contraente debole nel caso in cui l'acquirente sia un professionista.

Nel caso di specie, il rapporto di mutuo viene concluso da due persone fisiche, di cui una è un professionista, il quale agisce in giudizio contro la banca contestando l'esistenza nel contratto di clausole abusive contrarie alle norme comunitarie di tutela del consumatore, ed in particolare la Direttiva 93/13/CEE.

Il giudice europeo viene chiamato da quello polacco a chiarire due questioni, ossia se la normativa europea di tutela del consumatore possa trovare applicazione nei confronti di chi non rientri perfettamente nella nozione comunitaria; quali sono i criteri per qualificare il consumatore in ambito europeo.

Sotto il primo profilo, occorre ricordare che l’articolo 2, lettera b), della Direttiva 93/13 identifica il consumatore è la "persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale".

Il principio è noto, ossia viene qualificato come «consumatore» la persona che abbia concluso un contratto  per finalità che esulano dalla propria attività professionale (o d'impresa).

Nel caso di specie, però, il contratto di credito oggetto del quesito posto dal giudice polacco era stato concluso da due persone fisiche, una delle quali lo ha realizzato per lo svolgimento della propria professione.

La questione è quindi: si applica la normativa dei consumatori anche se uno dei mutuatari abbia sottoscritto il contratto per finalità professionale, mentre l'altro lo ha concluso per ragioni non professionali?

Il giudice comunitario chiarisce, richiamando la giurisprudenza, che in questi casi occorre verificare quale sia il nesso esistente tra il contratto e l’attività professionale svolta dal mutuatario.

Se il contratto ricopre un ruolo marginale e trascurabile nel contesto generale rispetto all'attività professionale, il suo ruolo dovrà essere considerato come quello di consumatore.

Il secondo punto affrontato dalla Corte di Giustizia è rappresentato dai criteri idonei a stabilire in quali casi si può far rientrare il professionista tra i consumatori ed in particolare "[...] se lo scopo professionale di un contratto di mutuo concluso da tale persona sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale di tale contratto."

Secondo la Corte, il giudice chiamato a valutare la posizione dell'acquirente, al fine di qualificarlo come consumatore "deve tener conto di tutte le circostanze del caso di specie e, in particolare, della natura del bene o del servizio oggetto del contratto di cui trattasi, idonee a dimostrare il fine per il quale tale bene o servizio è acquisito".

Di seguito, il provvedimento della Corte di Giustizia.

 SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

8 giugno 2023

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Contratto a duplice scopo – Articolo 2, lettera b) – Nozione di “consumatore” – Criteri»

Nella causa C‑570/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Rejonowy dla Warszawy-Woli w Warszawie (Tribunale distrettuale di Varsavia – Wola, con sede in Varsavia, Polonia), con decisione del 22 giugno 2021, pervenuta in cancelleria il 13 settembre 2021, nel procedimento

I.S., K.S.

contro

YYY. S.A.,

LA CORTE (Quinta Sezione)composta da E. Regan, presidente di sezione, D. Gratsias, M. Ilešič, I. Jarukaitis e Z. Csehi (relatore), giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: A. Calot Escobar 

vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate:

–        per I.S. e K.S., da P. Artymionek, A. Citko e M. Siejko, radcowie prawni;

–        per YYY. S.A., da Ł. Hejmej, M. Przygodzka e A. Szczęśniak, adwokaci;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da S.L. Kalėda, U. Małecka e N. Ruiz García, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 dicembre 2022, ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra I.S. e K.S., da un lato, e YYY. S.A., una banca, dall’altro, in ordine al pagamento di un importo, maggiorato degli interessi, riscosso da tale banca in virtù di clausole contenute in un contratto di mutuo ipotecario indicizzato al tasso di cambio di una valuta estera.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 93/13

3        Ai sensi del decimo considerando della direttiva 93/13:

«(...) si può realizzare una più efficace protezione del consumatore adottando regole uniformi in merito alle clausole abusive; (...) tali regole devono applicarsi a qualsiasi contratto stipulato fra un professionista ed un consumatore; (...)».

4        L’articolo 1 di tale direttiva al paragrafo 1 enuncia quanto segue:

«La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».

5        L’articolo 2 di detta direttiva è così formulato:

«Ai fini della presente direttiva si intende per: (...)

b)      “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale;

c)      “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».

6        L’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva prevede che «[u]na clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

7        L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

Direttiva 2011/83/UE

8        Il considerando 17 della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2011, L 304, pag. 64), enuncia quanto segue:

«La definizione di consumatore dovrebbe includere le persone fisiche che agiscono al di fuori della loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale. Tuttavia, nel caso di contratti con duplice scopo, qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della persona e parzialmente ne restano al di fuori e lo scopo commerciale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore».

9        L’articolo 2 di tale direttiva dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

1)      “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale;

2)      “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale nei contratti oggetto della presente direttiva, anche tramite qualsiasi altra persona che agisca in suo nome o per suo conto; (...)».

 Direttiva 2013/11/UE

10      Il considerando 18 della direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (Direttiva sull’ADR per i consumatori) (GU 2013, L 165, pag. 63), così recita:

«La definizione di “consumatore” dovrebbe comprendere le persone fisiche che agiscono per scopi estranei alla loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale. Tuttavia, se il contratto è stipulato per scopi in parte interni ed in parte esterni all’attività commerciale della persona (contratti a duplice scopo) e lo scopo dell’operazione è limitato in modo da non risultare predominante nel contesto generale della fornitura, tale persona dovrebbe essere parimenti considerata come un consumatore».

11      L’articolo 4 di tale direttiva prevede quanto segue:

«1.      Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)      “consumatore”: qualsiasi persona fisica che agisca a fini che non rientrano nella sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale;

b)      “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto privato o pubblico, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, anche tramite qualsiasi altra persona che agisca in suo nome o per suo conto;

(...)».

 Regolamento (UE) n. 524/2013

12      Il considerando 13 del regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (regolamento sull’ODR per i consumatori) (GU 2013, L 165, pag. 1), così recita:

«La definizione di “consumatore” dovrebbe comprendere le persone fisiche che agiscono per scopi estranei alla loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale. Tuttavia, se il contratto è stipulato per scopi in parte interni e in parte esterni all’attività commerciale della persona (contratti a duplice scopo) e lo scopo commerciale è limitato in modo da non risultare predominante nel contesto generale della fornitura, la persona dovrebbe essere parimenti considerata come un consumatore».

13      L’articolo 4 di tale regolamento prevede quanto segue:

«1.      Ai fini del presente regolamento s’intende per:

a)      “consumatore”: un consumatore quale definito all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva [2013/11];

b)      “professionista”: un professionista quale definito all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva [2013/11];

(...)».

 Diritto polacco

14      L’articolo 221 della ustawa – Kodeks cywilny (legge recante il codice civile), del 23 aprile 1964 (Dz. U. del 1964, n. 16), nella versione applicabile alla controversia oggetto del procedimento principale (in prosieguo: il «codice civile»), definisce il «consumatore» come «qualsiasi persona fisica che compia un atto giuridico con un professionista, atto che non sia direttamente legato alla sua attività commerciale o professionale».

15      Ai sensi dell’articolo 3851, paragrafo 1, del codice civile:

«Le clausole di un contratto concluso con un consumatore che non sono state negoziate individualmente non vincolano il consumatore quando definiscono i diritti e gli obblighi del consumatore in modo contrario ai buoni costumi, danneggiando manifestamente i suoi interessi (clausole illecite). Questa disposizione non riguarda i termini che determinano le prestazioni principali delle parti, compresi il prezzo o la remunerazione, se sono formulati in modo inequivocabile».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

16      I ricorrenti nel procedimento principale, I.S. e K.S., si sono sposati senza aver stipulato un contratto matrimoniale.

17      Il 28 febbraio 2006 hanno presentato una domanda di mutuo ipotecario per un importo di 206 120 zloty polacchi (PLN) (circa EUR 45 800), indicizzato in franchi svizzeri (CHF), presso il predecessore della convenuta nel procedimento principale. Tale mutuo sarebbe stato destinato, da un lato, al rifinanziamento di debiti al consumo connessi a un credito al consumo, a un conto corrente bancario e a una carta di credito e, dall’altro, al finanziamento di lavori di ristrutturazione di un’abitazione.

18      Il 21 marzo 2006 i ricorrenti nel procedimento principale hanno stipulato un contratto di mutuo ipotecario per un importo di PLN 198 996,73 (circa EUR 44 200), indicizzato in franchi svizzeri e della durata di 300 mesi, con il predecessore della convenuta nel procedimento principale. La prima tranche di tale credito era destinata, da un lato, al rimborso, su un conto corrente detenuto a nome di una società gestita da I.S., di un importo di PLN 70 000 (circa EUR 15 600) a titolo di un credito e, dall’altro, al pagamento di vari premi assicurativi per un importo di PLN 1 216,80 (circa EUR 270), di PLN 3 979,93 (circa EUR 880) e di PLN 3 800 (circa EUR 840). La sua seconda tranche era destinata, da un lato, al rimborso di diversi impegni finanziari dei ricorrenti nel procedimento principale, corrispondenti a PLN 9 720 (circa EUR 2 200), a PLN 7 400 (circa EUR 1 600) e a PLN 9 000 (circa EUR 2 000), e, dall’altro, al finanziamento di lavori di ristrutturazione di un’abitazione per un importo di PLN 93 880 (circa EUR 20 900).

19      Sia alla data della domanda di mutuo sia alla data della stipula di tale contratto di mutuo, I.S. esercitava un’attività professionale in forma di società semplice e K.S. lavorava in qualità di fabbro sulla base di un contratto di lavoro.

20      I ricorrenti nel procedimento principale hanno adito il giudice del rinvio con un ricorso diretto a ottenere il rimborso di un importo di PLN 13 142,03 (circa EUR 2 900), maggiorato degli interessi, riscosso da YYY. in forza delle clausole di detto contratto di mutuo relative alla rivalutazione dell’importo delle rate mensili di rimborso del mutuo e all’importo del debito, adducendo che tali clausole sarebbero abusive.

21      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, dinanzi al giudice del rinvio, YYY. ha sostenuto, in particolare, che il mutuo di cui trattasi era stato concesso al fine di rimborsare un credito collegato a un’attività professionale, cosicché i ricorrenti nel procedimento principale non potevano avvalersi della tutela giuridica prevista all’articolo 3851 del codice civile.

22      Inoltre, da tale domanda risulta che, all’udienza tenutasi l’11 gennaio 2021 dinanzi al giudice del rinvio, I.S. ha confermato che un importo di PLN 70 000 (circa EUR 15 600), concesso nell’ambito del contratto di mutuo di cui trattasi, era stato destinato al rimborso di un debito sul suo conto aziendale e che, una volta avvenuto il rimborso, detto conto era stato chiuso. I.S. ha inoltre dichiarato che il suddetto rimborso costituiva una condizione alla quale era stata subordinata la conclusione di tale contratto.

23      In tali circostanze, il giudice del rinvio nutre dubbi quanto all’interpretazione della nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, in una situazione in cui, nell’ambito di un contratto di mutuo «misto», una parte dell’importo prestato, ossia il 35% di quest’ultimo, che non è né predominante né marginale, è stata utilizzata al fine di rimborsare un mutuo connesso all’attività professionale di uno dei ricorrenti nel procedimento principale, mentre l’altra parte di tale importo, ossia il 65% di quest’ultimo, è stata destinata a fini di consumo estranei a un’attività professionale. Tale giudice si chiede, in sostanza, se l’interpretazione della nozione di «consumatore», fondata sulle regole di competenza in materia di contratti conclusi dai consumatori, accolta nella sentenza del 20 gennaio 2005, Gruber (C‑464/01; in prosieguo: la «sentenza Gruber», EU:C:2005:32) ‐ con la quale la Corte ha dichiarato che, affinché un soggetto che ha concluso un contratto relativo ad un bene destinato ad un uso in parte professionale ed in parte estraneo alla sua attività professionale possa avvalersi di tali regole di competenza, l’uso professionale deve essere talmente marginale da avere un ruolo trascurabile nel contesto generale dell’operazione di cui trattasi ‐ possa essere applicata per analogia all’interpretazione della nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13.

24      A tal riguardo detto giudice osserva che dal considerando 17 della direttiva 2011/83 e dal considerando 13 del regolamento n. 524/2013 risulta che, ai fini della definizione della nozione di «consumatore» in caso di contratti a duplice scopo, vale a dire di contratti stipulati per scopi in parte interni e in parte esterni all’attività commerciale della persona, lo scopo commerciale deve essere limitato in modo da non risultare predominante nel contesto generale del contratto in esame.

25      Inoltre, il giudice del rinvio si interroga sui criteri da prendere in considerazione nell’ambito di una tale definizione. In particolare, esso intende sapere se costituiscano criteri pertinenti a tale riguardo il fatto che uno solo dei ricorrenti nel procedimento principale abbia perseguito uno scopo professionale e il fatto che, senza il rimborso del debito dell’impresa interessata, il mutuo di cui trattasi non sarebbe stato concesso per uno scopo extraprofessionale.

26      In tale contesto, il Sąd Rejonowy dla Warszawy-Woli w Warszawie (Tribunale distrettuale di Varsavia – Wola, con sede in Varsavia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 nonché i suoi considerando debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano all’inclusione nella definizione di “consumatore” di una persona che esercita un’attività economica, la quale, insieme ad un mutuatario che non svolge tale attività, abbia concluso un contratto di mutuo indicizzato ad una valuta estera, destinato in parte all’uso professionale di uno dei mutuatari e in parte ad un uso estraneo alla sua attività economica, e ciò non solo nell’ipotesi in cui l’uso professionale sia talmente marginale da avere un ruolo trascurabile nel contesto generale del contratto di cui trattasi, mentre è irrilevante a tale riguardo il fatto che l’aspetto extraprofessionale sia predominante;

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 nonché i suoi considerando debbano essere interpretati nel senso che la nozione di “consumatore” contenuta nella citata disposizione comprende anche una persona che, al momento della firma del contratto, esercitava un’attività economica, mentre l’altro mutuatario non svolgeva affatto tale attività, e successivamente queste due persone hanno stipulato con la banca un contratto di mutuo indicizzato ad una valuta estera, il cui capitale è stato destinato in parte all’uso professionale di uno dei mutuatari ed in parte ad uso estraneo all’attività economica esercitata, in una situazione in cui l’uso professionale non sia marginale e non abbia un ruolo solo trascurabile nel contesto generale del contratto di mutuo, fermo restando tuttavia che l’aspetto extraprofessionale è predominante e che, senza l’uso del capitale del mutuo per scopi professionali, una concessione del mutuo per scopi extraprofessionali non sarebbe stata possibile».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

27      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che sia qualificata come «consumatore» la persona che abbia concluso un contratto di credito destinato a un uso in parte connesso alla sua attività professionale e in parte estraneo a tale attività, unitamente a un altro mutuatario che non abbia agito nel quadro della sua attività professionale, qualora il nesso esistente tra tale contratto e l’attività professionale di tale persona non sia talmente marginale da avere un ruolo trascurabile nel contesto generale di detto contratto, ma sia talmente limitato da non risultare predominante in tale contesto.

28      Secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 7 novembre 2019, Kanyeba e a., da C‑349/18 a C‑351/18, EU:C:2019:936, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

29      Per quanto attiene alla formulazione dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, occorre rilevare che, conformemente a tale disposizione, è «consumatore» qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto di tale direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale.

30      Pertanto, la qualità di «consumatore» della persona interessata deve essere determinata alla luce di un criterio funzionale consistente nel valutare se il rapporto contrattuale di cui trattasi rientri nell’ambito di attività estranee all’esercizio di una professione [sentenza del 27 ottobre 2022, S.V. (Immobile in regime di condominio), C‑485/21, EU:C:2022:839, punto 25 e giurisprudenza ivi citata]. La Corte ha inoltre avuto occasione di precisare che la nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, ha carattere oggettivo e prescinde dalle conoscenze concrete che l’interessato può avere o dalle informazioni di cui egli realmente dispone (sentenza del 21 marzo 2019, Pouvin e Dijoux, C‑590/17, EU:C:2019:232, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

31      La formulazione dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 non consente tuttavia di stabilire se, ed eventualmente in quali casi, una persona che ha stipulato un contratto a duplice scopo, per scopi in parte interni ed in parte esterni alla sua attività professionale, possa essere considerata un consumatore, ai sensi di tale direttiva.

32      Per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 nonché gli obiettivi perseguiti da quest’ultima, occorre ricordare che tale direttiva, come risulta dal suo articolo 1, paragrafo 1, e dal suo articolo 3, paragrafo 1, si applica alle clausole abusive dei «contratti stipulati tra un professionista e un consumatore» che non siano state «oggetto di negoziato individuale» (sentenza del 15 gennaio 2015, Šiba, C‑537/13, EU:C:2015:14, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

33      Come enunciato dal decimo considerando della suddetta direttiva, le regole uniformi in merito alle clausole abusive devono applicarsi, fatte salve le eccezioni indicate a tale considerando, a «qualsiasi contratto» stipulato fra un professionista e un consumatore, quali definiti all’articolo 2, lettere b) e c), della medesima direttiva [sentenza del 27 ottobre 2022, S.V. (Immobile in regime di condominio), C‑485/21, EU:C:2022:839, punto 22 e giurisprudenza ivi citata].

34      Pertanto, è in riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell’ambito della loro attività professionale, che la direttiva 93/13 definisce i contratti ai quali essa si applica (sentenza del 21 marzo 2019, Pouvin e Dijoux, C‑590/17, EU:C:2019:232, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

35      Un tale criterio corrisponde all’idea sulla quale è basato il sistema di tutela istituito da tale direttiva, ossia che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere di trattativa sia il livello di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse (sentenza del 3 settembre 2015, Costea, C‑110/14, EU:C:2015:538, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

36      In considerazione di tale situazione di inferiorità, l’articolo 6, paragrafo 1, della suddetta direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti determinato dal contratto un equilibrio reale finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra tali parti (sentenza del 17 maggio 2022, Ibercaja Banco, C‑600/19, EU:C:2022:394, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

37      Peraltro, la Corte ha già riconosciuto che un’accezione ampia della nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, consente di garantire la tutela accordata da tale direttiva a tutte le persone fisiche che si trovino in una situazione di inferiorità rispetto al professionista (v., in tal senso, sentenza del 21 marzo 2019, Pouvin e Dijoux, C‑590/17, EU:C:2019:232, punto 28).

38      In tali circostanze, come indicato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 61 e 66 delle sue conclusioni, la natura imperativa delle disposizioni contenute nella direttiva 93/13 e le particolari esigenze di tutela del consumatore ad esse connesse richiedono che sia privilegiata un’interpretazione estensiva della nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di tale direttiva, al fine di garantire l’effetto utile di quest’ultima.

39      Pertanto, sebbene, in linea di principio, le disposizioni della direttiva 93/13 siano applicabili solo nell’ipotesi in cui l’oggetto del contratto di cui trattasi è costituito da un bene o da un servizio destinato a un uso non professionale, una persona fisica che conclude un contratto avente ad oggetto un bene o un servizio destinato a un uso connesso in parte alla sua attività professionale, e che quindi solo in parte è estraneo a tale attività, potrebbe, in talune ipotesi, essere qualificata come «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di tale direttiva, e, quindi, beneficiare della tutela accordata da quest’ultima.

40      Al fine di garantire il rispetto degli obiettivi perseguiti dal legislatore dell’Unione europea nel settore dei contratti conclusi dai consumatori, nonché la coerenza del diritto dell’Unione, si deve tener conto, segnatamente, della nozione di «consumatore» contenuta in altre normative dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2013, Vapenik, C‑508/12, EU:C:2013:790, punto 25).

41      Come sottolineano i ricorrenti nel procedimento principale, il governo polacco e la Commissione europea nelle loro osservazioni scritte, la direttiva 2011/83 assume particolare rilievo al riguardo.

42      Oltre al fatto che le definizioni del termine «consumatore» di cui all’articolo 2 della direttiva 93/13 e all’articolo 2 della direttiva 2011/83 sono sostanzialmente equivalenti, quest’ultima direttiva persegue il medesimo obiettivo della direttiva 93/13. Infatti, la direttiva 2011/83 verte sui diritti dei consumatori relativi ai contratti conclusi con professionisti e mira ad assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori garantendo la loro informazione e la loro sicurezza nelle transazioni con i professionisti (v., in tal senso, ordinanza del 15 aprile 2021, MiGame, C‑594/20, EU:C:2021:309, punto 28).

43      Inoltre, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 72 delle sue conclusioni, la direttiva 2011/83 presenta uno stretto legame con la direttiva 93/13, dato che la prima ha modificato la seconda e che ambedue le direttive possono applicarsi a uno stesso contratto, a condizione che quest’ultimo rientri contemporaneamente nei loro rispettivi ambiti di applicazione ratione materiae. Peraltro, il legislatore dell’Unione ha recentemente rafforzato tale legame adottando la direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori (GU 2019, L 328, pag. 7).

44      In tali circostanze, ai fini dell’interpretazione dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, occorre tener conto del considerando 17 della direttiva 2011/83, che esplicita la volontà del legislatore dell’Unione per quanto riguarda la definizione della nozione di «consumatore» nel caso di contratti con duplice scopo e da cui risulta che, qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della persona e parzialmente ne restano al di fuori e lo scopo commerciale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe anch’essa essere considerata un consumatore.

45      La pertinenza dell’interpretazione dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 alla luce del considerando 17 della direttiva 2011/83 è corroborata dal considerando 18 della direttiva 2013/11 e dal considerando 13 del regolamento n. 524/2013, che contengono la stessa precisazione per quanto riguarda la definizione della nozione di «consumatore» nel caso di contratti con duplice scopo. Sebbene la direttiva 2013/11 e il regolamento n. 524/2013 vertano sulla risoluzione delle controversie dei consumatori e, pertanto, su questioni diverse da quelle disciplinate dalle direttive 93/13 e 2011/83 per quanto riguarda la tutela dei consumatori, tali considerando dimostrano la determinazione del legislatore dell’Unione a conferire una portata orizzontale a tale definizione.

46      Quanto alla circostanza che detti considerando figurano in atti legislativi successivi ai fatti di cui trattasi nel procedimento principale, è sufficiente ricordare che, come rilevato al punto 38 della presente sentenza, la natura imperativa delle disposizioni contenute nella direttiva 93/13 e le particolari esigenze di tutela del consumatore ad esse connesse richiedono che sia privilegiata un’interpretazione estensiva della nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di tale direttiva, al fine di garantire l’effetto utile di quest’ultima. Pertanto, l’interpretazione teleologica della direttiva 93/13 depone a favore dell’approccio esplicitato dal legislatore dell’Unione negli stessi considerando, in base al quale una persona che ha stipulato un contratto per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle sue attività commerciali deve essere considerata un consumatore qualora lo scopo professionale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto.

47      Neppure l’interpretazione della nozione di «consumatore» accolta dalla Corte ai punti 31 e 45 della sentenza Gruber, e confermata ai punti da 29 a 32 della sentenza del 25 gennaio 2018, Schrems (C‑498/16, EU:C:2018:37), per quanto riguarda l’interpretazione degli articoli da 15 a 17 del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), nonché ai punti da 87 a 91 della sentenza del 14 febbraio 2019, Milivojević (C‑630/17, EU:C:2019:123), per quanto riguarda l’interpretazione degli articoli da 17 a 19 del regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2012, L 351, pag. 1), osta a che l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 sia interpretato alla luce del considerando 17 della direttiva 2011/83.

48      Nella sentenza Gruber, infatti, la Corte ha interpretato gli articoli da 13 a 15 della Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 1972, L 299, pag. 32), come modificata dalle successive convenzioni relative all’adesione dei nuovi Stati membri a tale convenzione (in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles»).

49      Come risulta in particolare dai punti 32, 33 e 43 di tale sentenza, quest’ultima riguardava l’interpretazione delle regole di competenza in materia di contratti conclusi con i consumatori previste dalla Convenzione di Bruxelles, che derogano alla regola di competenza generale prevista da quest’ultima, vale a dire quella dei giudici dello Stato contraente sul territorio del quale risiede il convenuto, e che, in quanto regole di competenza che derogano a tale regola di competenza generale, devono essere interpretate restrittivamente, nel senso che non possono dare luogo a un’interpretazione che vada al di là delle ipotesi espressamente previste da tale Convenzione.

50      È quindi in tale contesto specifico, e tenuto conto anche di altri elementi rilevanti nell’ambito dell’interpretazione delle norme sulla competenza previste dalla detta Convenzione, quali i principi di certezza del diritto e di prevedibilità del giudice competente nonché l’obiettivo di un’adeguata tutela del consumatore perseguito dalle disposizioni della sezione 4 del titolo II della medesima Convenzione (v., in tal senso, sentenza Gruber, punti 34 e 45), che la Corte ha dichiarato che un soggetto che ha concluso un contratto per un uso relativo in parte alla sua attività professionale, e quindi solo in parte estraneo a quest’ultima, non ha il diritto di avvalersi del beneficio delle regole di competenza specifiche in materia di contratti conclusi con i consumatori previste dalla Convenzione di Bruxelles, a meno che l’uso professionale sia talmente marginale da avere un ruolo trascurabile nel contesto generale dell’operazione di cui trattasi (v., in tale senso, sentenza Gruber, punti 39 e 54).

51      Pertanto, poiché l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 non è una disposizione che deve essere interpretata restrittivamente e tenuto conto della ratio legis di tale direttiva volta a tutelare i consumatori in caso di clausole contrattuali abusive, l’interpretazione restrittiva della nozione di «consumatore» adottata nella sentenza Gruber, ai fini della determinazione della portata delle regole di competenza derogatorie previste agli articoli da 13 a 15 della Convenzione di Bruxelles in caso di contratto a duplice scopo, non può essere estesa, per analogia, alla nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13.

52      Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre altresì rilevare che, nell’ambito di un contratto di mutuo stipulato con un professionista, la persona fisica che si trova nella situazione di un condebitore rientra nella nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, allorché agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale, e se si trova, nei confronti di tale professionista, in una posizione analoga a quella del debitore, deve beneficiare, insieme a quest’ultimo, della tutela prevista da tale direttiva (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2015, Bucura, C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punti da 35 a 39).

53      Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che rientra nella nozione di «consumatore», ai sensi di tale disposizione, la persona che abbia concluso un contratto di mutuo destinato a un uso in parte connesso alla sua attività professionale e in parte estraneo a tale attività, unitamente a un altro mutuatario che non abbia agito nel quadro della sua attività professionale, qualora lo scopo professionale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale di tale contratto.

Sulla seconda questione

54      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, di precisare i criteri che consentono di stabilire se una persona rientri nella nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 e, più in particolare, se lo scopo professionale di un contratto di mutuo concluso da tale persona sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale di tale contratto.

55      Dalla giurisprudenza risulta che il giudice nazionale investito di una controversia vertente su un contratto che può rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva è tenuto a verificare, tenendo conto di tutti gli elementi di prova e segnatamente dei termini di tale contratto, se l’interessato possa essere qualificato come «consumatore» ai sensi di detta direttiva. A tal fine, il giudice nazionale deve tener conto di tutte le circostanze del caso di specie e, in particolare, della natura del bene o del servizio oggetto del contratto di cui trattasi, idonee a dimostrare il fine per il quale tale bene o servizio è acquisito (v., in tal senso, sentenze del 3 settembre 2015, Costea, C‑110/14, EU:C:2015:538, punti 22 e 23, nonché del 21 marzo 2019, Pouvin e Dijoux, C‑590/17, EU:C:2019:232, punto 26).

56      Lo stesso vale ai fini, da un lato, della valutazione, nel caso di un contratto di mutuo che si riferisce, in parte, all’attività professionale del mutuatario e, in parte, a fini estranei a tale attività, dell’entità di ciascuna di queste due parti nel contesto generale di tale contratto e, dall’altro, della finalità predominante di detto contratto.

57      A tal riguardo, la ripartizione del capitale mutuato tra un’attività professionale e un’attività extraprofessionale può costituire un criterio quantitativo pertinente. Tuttavia, criteri non quantitativi potrebbero risultare parimenti pertinenti, come la circostanza che, in caso di più mutuatari, solo uno di loro persegua, con il contratto di credito di cui trattasi, uno scopo professionale o, se del caso, il fatto che il mutuante abbia subordinato la concessione del credito, inizialmente destinato esclusivamente al consumo, alla parziale destinazione dell’importo mutuato al rimborso di debiti connessi a un’attività professionale.

58      Tali criteri non sono né esaustivi né esclusivi, cosicché spetta al giudice del rinvio esaminare tutte le circostanze relative al contratto di cui trattasi nel procedimento principale e valutare, sulla base degli elementi di prova oggettivi di cui dispone, in quale misura lo scopo professionale o extraprofessionale di tale contratto risulti predominante nel contesto generale di quest’ultimo.

59      Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, al fine di stabilire se una persona rientri nella nozione di «consumatore», ai sensi di tale disposizione, e, più in particolare, se lo scopo professionale di un contratto di mutuo concluso da tale persona sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale di tale contratto, il giudice del rinvio è tenuto a prendere in considerazione tutte le circostanze pertinenti relative al contratto, sia quantitative che qualitative, quali, in particolare, la ripartizione del capitale mutuato tra un’attività professionale e un’attività extraprofessionale nonché, in caso di più mutuatari, il fatto che solo uno di loro persegua uno scopo professionale o che il mutuante abbia subordinato la concessione di un credito al consumo alla parziale destinazione dell’importo mutuato al rimborso di debiti connessi a un’attività professionale.

 Sulla limitazione nel tempo degli effetti della presente sentenza

60      Nelle sue osservazioni scritte, la convenuta nel procedimento principale ha chiesto, in sostanza, che la Corte limiti gli effetti nel tempo della sua sentenza per il caso in cui essa non interpretasse la nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, alla luce della sentenza Gruber. A sostegno della sua domanda, essa ha invocato i principi di certezza del diritto e di irretroattività.

61      A tal riguardo si deve ricordare che, conformemente a costante giurisprudenza, solo in via eccezionale, in applicazione del principio generale di certezza del diritto intrinseco all’ordinamento giuridico dell’Unione, la Corte può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di invocare una disposizione da essa interpretata al fine di rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, vale a dire la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti (sentenza dell’11 novembre 2020, DenizBank, C‑287/19, EU:C:2020:897, punto 108 e giurisprudenza ivi citata).

62      Nel caso di specie, la convenuta nel procedimento principale si limita tuttavia a far valere argomenti di ordine generale senza fornire elementi concreti e precisi atti a dimostrare la fondatezza della sua domanda sotto il profilo di tali due criteri.

63      Pertanto, non occorre limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.

 Sulle spese

64      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori,

deve essere interpretato nel senso che:

rientra nella nozione di «consumatore», ai sensi di tale disposizione, la persona che abbia concluso un contratto di mutuo destinato a un uso in parte connesso alla sua attività professionale e in parte estraneo a tale attività, unitamente a un altro mutuatario che non abbia agito nel quadro della sua attività professionale, qualora lo scopo professionale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale di tale contratto.

2)      L’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13

deve essere interpretato nel senso che:

al fine di stabilire se una persona rientri nella nozione di «consumatore», ai sensi di tale disposizione, e, più in particolare, se lo scopo professionale di un contratto di mutuo concluso da tale persona sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale di tale contratto, il giudice del rinvio è tenuto a prendere in considerazione tutte le circostanze pertinenti relative al contratto, sia quantitative che qualitative, quali, in particolare, la ripartizione del capitale mutuato tra un’attività professionale e un’attività extraprofessionale nonché, in caso di più mutuatari, il fatto che solo uno di loro persegua uno scopo professionale o che il mutuante abbia subordinato la concessione di un credito al consumo alla parziale destinazione dell’importo mutuato al rimborso di debiti connessi a un’attività professionale.

Firme

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