La responsabilità medica ha proposto, negli anni, molti argomenti che hanno costretto la Suprema Corte di Cassazione a dover intervenire per sciogliere dubbi interpretativi e applicazioni delle norme che si sono susseguite nel tempo, e per questioni che vedono coinvolto un soggetto pubblico (ASL), ma che deve fornire un servizio ai consumatori/utenti destinatari.
E' chiaro che un quesito che può porsi riguarda l'applicabilità delle norme previste dal Codice del Consumo anche laddove il soggetto pubblico, l'ASL, è colui che fornisce il servizio.
Tale quesito ha molti risvolti, in primis, quale giudice deve essere chiamato a risolvere una controversia che sorge tra ospedale pubblico e paziente.
Mentre dubbi non vi sono nel caso in cui l'atto operatorio sia eseguito in una struttura privata, la questione può sorgere nel caso della presenza dell'ente pubblico e quindi della possibilità di sottoporre anche quest'ultimo alle regole previste in materia consumeristica.
La soluzione al quesito ha risvolti pratici non secondari, si pensi solo alla questione relativa al giudice competente per la decisione di questo tipo di controversie.
Come abbiamo già avuto modo di approfondire in un nostro precedente intervento, la Cassazione ha avuto modo di intervenire in questa materia, con l'Ordinanza n. 16767 del 2021 (vedi qui), provvedimento con il quale ha stabilito il criterio per mezzo del quale una controversia tra il paziente e la struttura sanitaria può essere demandata al c.d. “foro del consumatore”, vale a dire quello del giudice ove il consumatore ha stabilito la propria residenza o fissato il proprio domicilio al momento della presentazione della domanda giudiziale.
La questione è di particolare interesse dal momento che, se assumiamo che i rapporti tra il paziente e la struttura sanitaria accedono ad una specifica fonte contrattuale (il contratto di spedalità ovvero di prestazione alberghiera) e che tali prestazioni siano sostenute dal paziente (e non dal Servizio Sanitario Nazionale, direttamente o indirettamente), allora non vi è ostacolo all’applicazione del Codice del consumo, con i “vantaggi” che tale disciplina rappresenterebbe per il paziente.
Già la Legge Gelli ha ritenuto di “contrattualizzare” i rapporti tra il paziente e le strutture sanitarie. Tale scelta legislativa proviene dalla presa d’atto che il Servizio Sanitario Nazionale, pur erogando le proprie prestazioni a mezzo di strutture pubbliche o convenzionate, non impone autoritativamente i propri servizi, ma ha demandato al paziente diverse scelte, alle quali corrispondono altrettanti obblighi a carico dell’erogatore del servizio:
● al consenso informato del paziente all’accertamento e al trattamento sanitario (articolo 33 Legge n. 833 del 1978);
● alla scelta del medico di fiducia di medicina generale (articolo 19, comma 2, Legge n. 833 del 1978);
● alla scelta del luogo di cura e di ricovero (articolo 19, comma 2 e 25, Legge n. 833 del 1978).
Il fatto che il paziente si rivolga alla struttura per il ricovero e che quest’ultima accolga le richieste dell’utente ha avuto come effetto quello di porre al centro della disciplina le strutture, da un lato, e di contrattualizzare questo momento negoziale, dall’altro; e, ciò, a prescindere dalla circostanza che il rapporto tra la struttura e il paziente rientri in una tradizionale fonte dell’obbligazione tripartita.
Se sulla struttura gravano delle prestazioni che vengono ricondotte, sia pure a posteriori, nell’alveo della responsabilità contrattuale, non significa anche che il peso economico di quelle prestazioni sia sostenuto dall’utente. Questa considerazione, tuttavia, è anche un indice decisivo per valutare se la struttura sanitaria opera alla stregua di un professionista, il quale va assoggettato al Codice del consumo, oppure di un soggetto ibrido.
Ora, sulla scorta della pronuncia della Cassazione, apprendiamo, testualmente, che:
● quando la struttura sanitaria, pubblica o privata che sia per natura, eroga servizi finanziati o convenzionati dal Servizio Sanitario Nazionale, la compartecipazione alla spesa da parte della fiscalità generale rende l’ente privo di connotati imprenditoriali, poiché non opera per fini di profitto.
● La circostanza che il paziente scelga la struttura ospedaliera alla quale rivolgersi anche al di fuori del principio di territorialità, e che la struttura eroga la prestazione sulla base delle determinazioni del paziente, non fa venire meno l’articolo 33, lettera u, del Codice del consumo, secondo cui è vessatoria la clausola che stabilisce il foro in un luogo differente da quello di residenza o domicilio del consumatore. D’altro canto, se l’azienda sanitaria si comporta da soggetto paritario al consumatore, tanto che quest’ultimo può scegliere liberamente verso quale struttura dirigersi, vuol dire che non vi è la preminenza di un soggetto sull’altro.
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