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lunedì 18 novembre 2024

L’errore medico nella chirurgia estetica

La chirurgia estetica, materia della quale stiamo esaminando alcuni profili di responsabilità del chirurgo, sconta da anni qualche riserva a motivo del suo oggetto, associato alla medicina del capriccio o dell'edonismo.

Traspaiono, in alcune sentenze, dei giudizi di carattere etico-morale verso coloro che vi fanno ricorso e, talora, verso i chirurghi che mettono a disposizione del cliente queste prestazioni: giudizi, questi, che hanno inciso sulle questioni legate all'accertamento della responsabilità del chirurgo estetico e di cui, ancora oggi, si avverte qualche eco.

In passato era comune richiedere al chirurgo di essere fedele nell'esaudire le esigenze del cliente, giacché questi rivolgeva allo specialista delle “capricciose richieste” che erano ritenute discutibili sia per chi le rivolgesse sia per chi le soddisfacesse: quelle di chiedere e ottenere puntualmente – o, almeno questa era la comune aspettativa, e non di meno - un aspetto esteriore ottimale e privo di imperfezioni, che aiuti a ridurre o ad eliminare il proprio stato di malessere psichico.

In realtà, nella letteratura medico-legale si ammette laicamente che ognuno di noi possiede quello che viene chiamato “complesso estetico individuale”: la propria corporeità è un patrimonio che deve essere vissuto serenamente, e non subito con riluttanza a causa di imperfezioni; il malessere psicologico della persona insoddisfatta dal proprio aspetto, infatti, si ripercuote negativamente in ambito comportamentale e sociale. E, dal momento che la concezione della salute divulgata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità non coincide con la mera assenza della malattia, ma con la promozione dell'integrale stato di benessere, non si fatica ad inquadrare la prestazione estetica nella normale medicina ordinaria e curativa o, per essere più precisi ancora, nella medicina plastica.

lunedì 11 novembre 2024

Errore del dentista: cosa fare per il danno odontoiatrico

In materia di errore medico, una delle fattispecie più frequenti riguardano i dentisti, in quanto anche l'odontoiatra può causare un danno durante la propria attività professionale, con evidenti conseguenze per il paziente.

Anche per questo tipo di danni si ricorre ai principi già visti in precedenza, rientrando nella maxi area del risarcimento danni da responsabilità civile, cosicché nel momento in cui viene accertata la condotta colposa del dentista, questi sarà responsabile di ogni lesione subita dal paziente.

Anche per il dentista valgono, in primo luogo, tutti gli obblighi informativi già individuati in altre ipotesi di responsabilità medica, proprio al fine di ottenere un consenso informato dal cliente.

La condotta dannosa si configura, inoltre, non solo quando il paziente ottiene una lesione fisica dall'intervento dell'odontoiatra, ma anche nel caso in cui a seguito dell'attività professionale questi non abbia ottenuto alcun vantaggio: stiamo parlando dell'intervento ai denti completamente inutile (vedi qui).

La responsabilità del dentista, infatti, trova fondamento nel diritto del paziente ad ottenere una cura adeguata e corretta, a seguito di una attività professionale svolta nel rispetto dei principi di competenza e trasparenza. 

Poiché tra professionista e paziente si crea un vero e proprio rapporto contrattuale, l'odontoiatra è chiamato a rispondere per responsabilità ex art. 1218 c.c., dovendo risarcire il danno derivante dagli inadempimenti del contratto concluso.

Quali danni? i danni che il consumatore può ottenere sono quelli subiti a causa della condotta negligente (erronea) tenuta dal professionista, e quindi solo quelli che sono collegati direttamente con l'attività del dentista.

Questi danni consistono sia nel danno subito in bocca, nelle spese subite in seguito, il danno biologico e psicologico, con particolare riferimento al soggetto danneggiato.

Nel caso in cui, ad esempio, la persona danneggiata svolga una attività lavorativa ove il sorriso sia elemento importante della propria professione, il danno sofferto è maggiore perché il comportamento colposo del professionista a causato un pregiudizio più elevato.

Cosa fare per questo tipo di danni?

1.- chiedere al dentista la cartella medica;

2.- ottenere una relazione di un professionista che accerti i danni occorsi e il collegamento con l'attività del dentista;

3.- inviare una diffida con la richiesta di risarcimento del danno;

4.- Nel caso di risposta negativa, si può (deve) proporre una mediazione civile D. Lgs. n. 28/2010;

5.- In ipotesi di esito negativo della mediazione, sarà necessario agire in giudizio per il riconoscimento dei danni.

lunedì 4 novembre 2024

Diagnosi errata. Quando il medico deve rispondere per il suo errore

Abbiamo già trattato, sia pure per sommi capi, una casistica sulla colpa medica. Ci apprestiamo, in questo articolo, ad esaminare il profilo dell’errato intervento del medico. 

Dobbiamo tenere a mente che l’intervento del medico, benché sia centrale nell’immaginario relativo all’attività sanitaria, non esaurisce tutto il complesso delle attività connesse alle patologie. 

Per individuare le cause delle patologie (o delle psicopatologie, che pure rientrano nel perimetro dell’attività sanitaria) è necessaria e presupposta l’attività diagnostica, la quale consente al medico di raccogliere le notizie relative al paziente (l’anamnesi), di individuare i segni e i sintomi concretamente ricorrenti e di ricondurli ad una precisa causa naturale nota alla scienza, estirpabile o meno attraverso i percorsi terapeutici noti alla medicina. 

La prognosi indica il giudizio sull’esito atteso dell’evento patologico, tanto più favorevole per il paziente quanto più la diagnosi è calzante e tempestiva oppure la terapia è efficace - ossia sviluppa la risposta fisiologica positiva, sia pure in un percorso costellato da tentativi ed errori. 

Peraltro, il trattamento diagnostico è complicato dal fatto che, nella medicina moderna, esistono diversi approcci diagnostici: tra tutti, il più importante è quello basato sulla evidence-base medicine, (una procedura che prende in esame stime sui danni e sui benefici delle cure). 

Possiamo dunque intuire quale importanza rivesta l’attività diagnostica, togliendo il primato all’attività dell’intervento. 

Come il giudice individua la fattispecie concreta e la riconduce a quella astratta, alla stessa stregua il medico riconduce il sintomo alla causa. 

lunedì 28 ottobre 2024

Medico & consenso informato: i doveri informativi del professionista

Tra la fase diagnostica e quella terapeutica (e, in generale, ogniqualvolta il paziente debba affrontare un nuovo intervento) si inserisce l’acquisizione del consenso informato. 

Il principio si desume indirettamente da diverse disposizioni della nostra Costituzione (articoli 2, 13 e 32 Cost.) e, soprattutto, è sancito a chiare lettere dalla Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, per la quale “nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario, se non vi sia una adeguata informazione fornita al soggetto destinatario”.

Ora, è molto lato il riferimento alla adeguatezza, ma non si può pretendere maggiore precisione da una proclamazione di carattere generale e, per di più, rivolta a stati con sistemi sanitari organizzati in modo diverso tra loro. 

Tuttavia, passa il principio che l’informazione, per essere adeguata, deve essere quantomeno completa e pertinente rispetto al profilo del paziente che deve intraprendere una cura. 

Tale atto è posto a presidio del diritto all’autodeterminazione del paziente e, sul piano concettuale, non va confuso o sovrapposto col diritto alla salute, tanto è vero che la sua omissione è foriera di un’istanza risarcitoria anche (e soprattutto) nei casi in cui l’intervento abbia avuto un esito fausto e positivo.

In questo senso, potremmo dire che l’autonomia decisionale del paziente e la discrezionalità tecnica del medico si saldano dinamicamente nell’acquisizione del consenso informato. 

In ogni fase del percorso terapeutico la legge Gelli, all’articolo 1 comma 3°, richiama il diritto da parte di ogni persona (paziente) di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e comprensibile sui seguenti dati scientifici: 

la diagnosi, corredata di valutazione sia sui rischi che sui benefici volta a precisare le prospettive terapeutiche; 

la prognosi, accompagnata dalla relativa valutazione di carattere terapeutico;

in caso di rifiuto e/o rinuncia ai trattamenti terapeutici, le alternative percorribili ovvero le conseguenze prevedibili, e non anomali, del decorso patologico.  

La facoltà di indicare una persona di fiducia (e.g. il familiare, il congiunto, l’amministratore di sostegno) che esegua il consenso in vece del paziente, come pure la facoltà di opporre un reciso rifiuto a ricevere le informazioni, devono esser registrate nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. 

La circostanza che il paziente sia reso continuamente edotto dei rischi e dei benefici insiti nel trattamento è di tale importanza che, in sua mancanza (o nel caso della sua incompletezza), l’attività del medico è illecita, a meno che non sia stata imposta dalla legge (TSO) o necessitata da motivo di pressante urgenza.   

La relazione tra il medico e il paziente, in questa veste, non deve (o, meglio, non dovrebbe) subire una forte spersonalizzazione. 

Eppure, molto spesso il medico attua la c.d. medicina difensiva: eroga, cioè, l’informativa in modo standardizzato e adottando automatismi di condotta, al solo ed evidente fine di cautelarsi dalla maggior parte delle controversie legali.

lunedì 21 ottobre 2024

La responsabilità medica: le condotte colpose e la loro casistica

I rapporti che si delineano tra i soggetti interessati da una prestazione medica coinvolgono il medico (dipendente o libero professionista) e di rimando la struttura sanitaria. 

Con riguardo al primo rapporto, del quale oggi ci occupiamo più da vicino, ragioni contrastanti di politica del diritto hanno ricompreso questa figura, in modo altalenante, vuoi nell’alveo della responsabilità contrattuale, vuoi in quella extracontrattuale.  

Per effetto della legge Gelli, i costi della “medicina difensiva” sono stati allocati dalle professioni sanitarie alle strutture ospedaliere, le quali rispondono a titolo squisitamente contrattuale. Infatti, il professionista sanitario è stato “parzialmente sgravato” dai rischi derivanti dal continuo propagarsi di azioni di azioni a titolo contrattuale e dalle connesse difficoltà di ricorrere alla copertura assicurativa. 

Tranne nei casi in cui il medico abbia contrattato direttamente col paziente, il medico è chiamato rispondere in via aquiliana dei danni arrecati al paziente, quand’anche non sia dipendente della struttura, ma venga scelto dal paziente perché operi in essa. 

Ad ogni buon conto, entrambi i titoli di responsabilità professionale del medico sono composti dai medesimi elementi di struttura (o elementi essenziali della fattispecie), con un diverso onere probatorio. In linea generale, rilevano dapprima i fatti (“l’inadempimento, la condotta inadempiente” oppure il “fatto illecito”), quindi i danni. Tra fatti e danni, poi, è necessario che venga stabilito il nesso di causalità. 

domenica 20 ottobre 2024

Errore medico nella struttura pubblica: quale giudice deve decidere sul danno lamentato dal paziente?

La recente sentenza della Cassazione n. 16767/2021 è tornata ad affrontare la questione relativa al giudice competente nel caso di danno derivante da errore medico. 

La problematica non è nuova ed è già stata oggetto di una nostra precedente segnalazione, ove la stessa Sezione VI^ della Cassazione aveva avuto modo di chiarire come il rapporto tra struttura ospedaliera e paziente debba essere governato dalle norme previste dal Codice del consumo, e quindi anche sotto il profilo del giudice competente a decidere la controversia (vedi qui). 

Nel caso affrontato dal giudice nel 2016, la vicenda vedeva coinvolto un soggetto privato (casa di cura), sicché era pressoché agevole per il giudice di legittimità dare applicazione alle norme privatistiche.

Diverso, invece, è il caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte di Cassazione e deciso con l’ordinanza n. 16767 del 2021, il quale ci consente di poter proporre alcune considerazioni in merito al c.d. “foro del consumatore”, e alla possibilità consentita al contraente debole (il consumatore) di poter avviare una causa civile davanti al giudice ove ha stabilito la propria residenza.

Nel caso di specie, infatti, il rapporto è intervenuto tra paziente e struttura pubblica e, di conseguenza, il quesito posto all'attenzione del giudice è se può trovare applicazione il Codice del consumo nella scelta del giudice competente.

La Cassazione ricorda che laddove il rapporto ospedaliero sia svolto tramite il Servizio Sanitario Nazionale, non possono trovare applicazione le norme previste in materia consumeristica, in quanto la fonte del rapporto non è contrattuale, ma rientra nell'alveo dei rapporti pubblicistici.

Per tale ragione, il giudice di legittimità ritiene non applicabile all'ASL l'eccezione di clausola vessatoria prevista ex art. 33 comma 1 lett. u del Codice del consumo, norma che prevede l'impossibilità di prevedere nel contratto un giudice diverso da quello del luogo di residenza del consumatore.

La sentenza è chiara sul punto in merito al citato art. 33 comma 1 lett. u che: "è inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche o private operanti in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale: sia perché, pur essendo l'organizzazione sanitaria imperniata sul principio di territorialità, l'assistito può rivolgersi a qualsiasi azienda sanitaria presente sul territorio nazionale (sicché se il rapporto si è svolto al di fuori del luogo di residenza del paziente tale circostanza è frutto di una sua libera scelta, che fa venir meno la ratio dell'art. 33 cit.); sia perché la struttura sanitaria non opera per fini di profitto, e non può quindi essere qualificata come "imprenditore" o "professionista" (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 18536 del 21/09/2016, Rv. 642127 - 01; Sez. 3, Ordinanza n. 8093 del 02/04/2009, Rv. 607876 - 01)".

Correttamente, si evidenzia che la struttura sanitaria pubblica non può essere paragonata all'imprenditore/professionista e quindi non possono trovare applicazione le tutele previste in favore del consumatore.

Questa regola ha carattere generale?

E' sempre la Cassazione a ricordarci, richiamando la giurisprudenza formatasi in materia, una importante eccezione alla regola 

soggetto pubblico  professionista applicazione  Codice del consumo

La Cassazione ribadisce, infatti, che: "la possibilità di attrarre alla competenza del foro del consumatore le prestazioni rese in ambito sanitario nel contesto strutturale del servizio pubblico, deve ritenersi limitata ai soli casi in cui tra l'utente e una struttura sanitaria del S.S.N. (o convenzionata) sia intercorso un vero e proprio contratto avente ad oggetto una prestazione esulante dalle procedure del S.S.N., con addebito all'utente dei costi (non già delle sole prestazioni accessorie di supporto alberghiero, come avvenuto nel caso di specie, bensì) delle procedure sanitarie e delle prestazioni rese dagli altri medici della struttura, atteso che, solo in tale specifico caso (come ridetto, del tutto estraneo al caso di specie) la struttura sanitaria si è posta nei confronti dell'utente come ‘professionistà (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 22133 del 02/11/2016, Rv. 642993 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 27391del 24/12/2014, Rv. 633920 - 01);".

In conclusione, nel caso di attività sanitaria svolta attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, direttamente o con la presenza di un soggetto privato, non trovano applicazione le norme (e le tutele) del Codice del consumo, a meno che non vi sia un rapporto contrattuale che disciplini l'atto medico e tutti gli obblighi nascenti dal ricovero (fonte contrattuale.

Corte di Cassazione - Sez. VI^ Civ. sentenza n. 16767/2021.

lunedì 14 ottobre 2024

La responsabilità medica dopo la legge Gelli - Bianco

Abbiamo trattato la recente evoluzione della responsabilità in ambito ospedaliero, evidenziando i vari aspetti contrastanti che hanno caratterizzato la materia negli ultimi decenni.

Le questioni giurisprudenziali sviluppatesi negli anni sono state, di fatto, risolte con la Legge Gelli-Bianco del 2017; norma sulla quale dobbiamo concentrarci, quantomeno, per carpire i principali snodi in tema di responsabilità civile e, anche, di responsabilità penale. 

Anzitutto, in una sorta di “ritorno al passato”, la Legge Gelli-Bianco ha introdotto il principio c.d. “del doppio binario di responsabilità”, qualificando dunque i rapporti afferenti all’ambito sanitario in questi termini: 

1. Per ciò che attiene al rapporto tra il medico intramurario (cioè, dipendente ospedaliero o di struttura privata che svolga la propria attività esclusivamente nella struttura ospedaliera) e il paziente, viene riconosciuta espressamente una responsabilità del medico di tipo extracontrattuale (articolo 7, comma 1°, Legge Gelli-Bianco); 

2. con una sfumatura parzialmente differente, il medico extramurario (cioè, quel medico dipendente ospedaliero o di struttura privata che, però, abbia rinviato il paziente dal proprio studio privato alla struttura sanitaria in cui è inserito) si vede attribuire la responsabilità extracontrattuale (articolo 7, comma 1°, Legge Gelli-Bianco); 

3. alle due figure precedenti viene equiparato il medico non dipendente (o convenzionato, o assegnista, o ricercatore etc.): ci riferiamo, in questa ipotesi, al libero professionista che, certamente, è stato individuato dal paziente, ma abbia svolto la propria attività nella struttura sanitaria (articolo 7, comma 2°, Legge Gelli-Bianco); 

4. da ultimo, soltanto qualora il medico abbia espressamene e direttamente contrattato con il paziente, si ravvisa la responsabilità contrattuale per inadempimento (articolo 7, comma 3°, Legge Gelli-Bianco). 

lunedì 7 ottobre 2024

Consumatore & ospedale - quale responsabilità medica prima della Legge Gelli Bianco

Con questo intervento avviamo la trattazione di un argomento già oggetto di precedenti interventi, ossia quali diritti spettano al consumatore dei servizi sanitari e, di conseguenza, come può essere delineata la responsabilità del medico e della struttura sanitaria nel caso di errore medico.

Occorre premettere che la materia è stata riformata con la recente legge Bianco-Gelli, accompagnata dai vari sviluppi giurisprudenziali che hanno tanto animato gli specialisti negli ultimi anni. 

Per comprendere le ragioni di questo dibattito, però, dobbiamo guardare più da vicino quali sono stati (e quali sono) i delicati rapporti che gravitano intorno alla struttura sanitaria e, soprattutto, intorno al medico (figura coinvolta sotto più profili, quello civilistico e quello personal-penalistico): appunto, i due soggetti normalmente preposti a tutelare la salute e la vita del paziente. Una visione panoramica sopra le due figure, che sia tra di loro che col paziente intrattengono relazioni significative, ci aiuterà a afferrare il regime della responsabilità medica

Ma, prima di entrare nel merito di quei discorsi, riteniamo altrettanto utile fornire dei cenni molto brevi – necessari soprattutto per i non addetti ai lavori - sulla distinzione tra la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale. La scelta tra uno o l’altro dei due regimi, infatti, non è priva di conseguenze per il consolidamento della posizione processuale del paziente. 

domenica 18 agosto 2024

Responsabilità medica - come viene suddivisa la prova tra paziente danneggiato e professionista

La recente Ordinanza del 5 marzo 2024, n. 5922 della Suprema Corte di Cassazione, provvedimento che potete trovare in calce, è tornata a tratteggiare i limiti che riguardano il  riparto dell’onere della prova in materia di responsabilità sanitaria.

La questione è tutt'altro che secondaria, in quanto molti consumatori ritengono certo il risarcimento del danno nei casi di malasanità, ignorando che esiste un obbligo di prova a carico della parte che chieda giustizia.

Il provvedimento del Giudice di legittimità chiarisce come deve essere suddivisa la prova nel caso in cui il paziente subisca un danno a seguito di una prestazione medica, ottenuta in un ospedale (come nel caso di specie), oppure presso un ambulatorio, come nel caso di intervento odontoiatrico o di chirurgia estetica.

Occorre premettere, peraltro, che la sentenza affronta un caso precedente alle nuove norme introdotte con la riforma Gelli - Bianco (legge n. 24/2017), le quali hanno, di fatto, legalizzato principi giurisprudenziali già consolidati, introducendo alcune importanti modifiche.

Dal 2017, infatti, la responsabilità del professionista in ambito sanitario è, a seguito dell'entrata in vigore della citata riforma, guidata dai principi aquiliani, sicché nel caso di errore medico, quest'ultimo risponderà ex art. 2043 c.c..

Diversamente, per la struttura sanitaria trova applicazione la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., sul presupposto che tra il paziente/consumatore e il professionista si crea un rapporto contrattuale, violato da quest'ultimo.

Ma come deve suddividersi la prova tra paziente e professionista nel caso di responsabilità medica per i casi precedenti al 2017? Cosa deve provare il primo e cosa deve provare l'ospedale?

Il provvedimento della Suprema Corte ha chiarito principi evidenziando alcuni punti che qui vogliamo richiamare:

a.- i principi di ripartizione della prova sono quelli della responsabilità contrattuale (valido prima della legge Gelli - Bianco)

La Cassazione ribadisce che i casi antecedenti alla legge n. 24/2017 sono regolati dalla prova da responsabilità contrattuale: "Il criterio di riparto dell'onere della prova in siffatte fattispecie non è pertanto quello che governa la responsabilità aquiliana (nell'ambito della quale il danneggiato è onerato della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito ascritto al danneggiante) ma quello che governa la responsabilità contrattuale, in base al quale il creditore che abbia provato la fonte del suo credito ed abbia allegato che esso sia rimasto totalmente o parzialmente insoddisfatto, non è altresì onerato di dimostrare l'inadempimento o l'inesatto adempimento del debitore, spettando a quest'ultimo la prova dell'esatto adempimento".

b.- il paziente deve dimostrare che il danno subito sia conseguenza della condotta inadempiente del medico

La Cassazione chiarisce che il paziente che subisce un danno conseguente a malasanità dovrà dimostrare il danno e il nesso causale del pregiudizio subito e i comportamenti del professionista.

Il danneggiato deve dimostrare quali danni siano conseguenza degli errori del medico, e quindi quali menomazioni abbia sofferto a causa dell'operazione.

Il nesso causale rappresenta il collegamento tra le condotte contestate e i danni sofferti dal paziente e, come noto, la causalità può essere provata seguendo il principio del "più probabile che non": deve esistere una buona probabilità che il danno subito dal paziente sia diretta conseguenza degli inadempimenti del medico.

"In particolare, con precipuo riferimento alle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni professionali - tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica - questa Corte ha da tempo chiarito che è onere del creditore-attore dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del professionista è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno lamentato (Cass. 07/12/2017, n.29315; Cass. 15/02/2018, n. 3704; Cass. 20/08/2018, n. 20812)".

c.- l'ospedale e il medico devono dimostrare di aver tenuto delle condotte corrette o che l'eventuale inadempimento sia stato causato da evento imprevedibile e inevitabile

La struttura ospedaliera e il medico sono chiamati a provare di aver adottato tutte le condotte corrette e trasparenti nell'esecuzione dell'atto medico, o comunque che il danno non sia conseguenza dei propri comportamenti.

In primis, il professionista deve dimostrare di aver adottato tutti i comportamenti previsti dagli standard medici e quindi, in ultima istanza, di aver adempiuto a tutte le condotte previste.

In secondo luogo, il professionista può altresì provare che l'eventuale inadempimento sia avvenuto per causa di un impedimento imprevedibile o inevitabile che abbia causato la condotta contestata e quindi oggettivamente non contestabile al medico.

"è onere del debitore dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza, e dunque sia oggettivamente non imputabile all'agente (ex aliis, tra le più recenti, Cass. 29/03/2022, n.10050; Cass.27/02/2023, n. 5808).".

Qui di seguito, il provvedimento della Corte di Cassazione Sez. III^ Civ. - Ordinanza n. 5992/2024

domenica 18 dicembre 2022

La responsabilità del medico dipende dalla difficoltà dell'intervento

La Corte di Cassazione è tornata ad affrontare, di recente, la responsabilità medica, ribadendo alcuni principi che caratterizzano questa materia, ed in particolare la responsabilità del medico per colpa grave nell'esecuzione dell'intervento che possa portare danni gravi al paziente.

Sotto questo profilo, il provvedimento che potete leggere di seguito chiarisce che nel caso di intervento errato, in quanto eseguito con imperizia dal medico, ai fini della dichiarazione della sua responsabilità per il danno occorso al paziente, risulta necessario accertare il grado di difficoltà dell'operazione.

Chiarisce il Giudice di legittimità che: "Il criterio di colpa del professionista, quindi, varia a seconda della  in realtà la colpa è lieve non quando la patologia sia grave, ma quando la sua cura sia difficile. E' la difficoltà di intervento che rende la colpa meno grave, giudicabile con minor rigore. L'accertamento della gravità della colpa, dunque, avrebbe dovuto svolgersi dunque con riferimento alla difficoltà dell'intervento piuttosto che con riferimento alla gravità della patologia.".

In termini più semplici, il principio generale ribadito dalla Suprema Corte è che il criterio di determinazione della colpa - lieve o grave - dipende da quanto risulti difficile e particolare l'intervento che deve essere eseguito dal medico, e quindi tanto più è semplice la diagnosi e il successivo intervento, tanto è più grave la condotta del medico che con imperizia cagiona il danno al paziente.

Per contro, può escludersi la responsabilità professionale del medico nel caso in cui l'intervento sia di particolare difficoltà e il risultato non sia raggiunto così come prospettato, a meno che non sia accertata una condotta gravemente negligente del medico.

Corte di Cassazione - sentenza n. 4905/2022

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