sabato 18 marzo 2023

La “trappola” dei mutui a tasso variabile ricorda quelli in ecu. Famiglie stangate

Fonte: Il Fatto Quotidiano
30 gennaio 2023
Gli articoli e i siti dedicati ai mutui forniscono spesso una visione ristretta del problema, limitandosi ad evidenziare l’aumento del costo per i potenziali acquirenti di una casa. Ma una cosa sono i nuovi contratti, un’altra quelli già stipulati. Per i primi l’aumento dei tassi può tutt’al più trattenere dall’acquisto. Invece per i mutui già in essere, dalle decisioni della Banca Centrale Europea (Bce) per contrastare l’inflazione può arrivare una mazzata sui bilanci familiari. Non è neppure escluso giungere a un raddoppio delle rate.

Il problema è la loro struttura, perché sono costituite da due quote: interessi e rimborso del debito. Nei mutui a tasso fisso è tutto semplice e di regola sono sempre uguali. Idealmente si vorrebbe fosse così anche per le rate di quelli a tasso variabile. Ma inevitabilmente casca l’asino appena deraglia in su o in giù il parametro di indicizzazione: euribor, tasso della Bce ecc..

Prendiamo un caso concreto di un mutuo 25-ennale. Due-tre anni fa la rata era ripiegata a 1.070 euro, poi è risalita e arrivata a 1.430 euro. Ciò è avvenuto in parallelo con l’aumento del tasso base della Bce da zero al 2,5%. Un altro punto percentuale in più e si avvicinerebbe ai 1.600 euro. Un aumento sul 50%, che si assomma ai rincari del costo della vita.

Ma il fenomeno colpisce i mutui in maniera diversa: pesantemente, se la rata comprende molti interessi, come in genere all’inizio. Pochissimo, in vicinanza della scadenza con molto rimborso del capitale. Cioè la cosa è dirompente soprattutto coi mutui giovani.

Conviene andare a vedere nel piano di ammortamento, riportato nel contratto, il debito residuo e la composizione della rate. Si può capire così quanto si rischia e valutare se mettersi alla ricerca di soluzioni. Nella fattispecie dell’esempio precedente la quota di rimborso era sui 900 euro e tutto il resto interessi sul debito residuo. Lì è il problema.

Alcuni mutui prevedono un c.d. cap, ovvero un massimo per il parametro d’indicizzazione. È una clausola difensiva, per altro solo chi è addentro nella materia può capire se il costo di tale garanzia è equo o gonfiato.

Comunque a monte non sono esenti da colpe le banche, pur in assenza di veri e propri comportamenti truffaldini. Hanno piazzato soprattutto mutui a tasso variabile senza evidenziarne i rischi, anche perché più facili da emettere. Preferiscono infatti evitare quelli a tasso fisso, salvo riuscire a collocare titoli non indicizzati altrettanto lunghi. Da alcuni decenni ciò è diventato difficile. È più comodo scaricare sul debitore il cosiddetto rischio di tasso; e ora le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Si può ravvedere un’analogia coi mutui in ecu, una specie di precursore dell’euro, ai tempi del cosiddetto serpente monetario. Anch’essi erano facili da piazzare, perché sul momento apparivano meno costosi. Scoppiarono poi in mano ai debitori con la svalutazione della lira del 1992.

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