venerdì 23 febbraio 2024

Fondi comuni. Il bilancio fallimentare dell’ultimo decennio: così i gestori hanno distrutto ricchezza

Fonte: Il Fatto Quotidiano
22 gennaio 2024
Gennaio è occasione di bilanci. Per il risparmio gestito sono fallimentari. Nell’ultimo decennio a fronte di un aumento del costo della vita del 18,9% i possessori di fondi comuni d’investimento italiani hanno ottenuto complessivamente il 17,7% lordo e parecchio meno al netto delle imposte. Nel caso migliore sul 15% ma di regola molto peggio per il trattamento fiscale penalizzante, sciaguratamente voluto dalle società di gestione.

Al che si può obiettare che altri confronti sono più pertinenti rispetto a quello con l’inflazione italiana. Ma in tal caso è peggio che andar di notte. Certo che non sarebbe colpa dei gestori, se dipendesse invece da un andamento poco soddisfacente delle Borse. Invece sono andate bene, sia per le azioni che per il reddito fisso. Sono state proprio le società di gestione a distruggere ricchezza, come concludevano ogni anno le ricerche dell’ufficio studi di Mediobanca, finché non ne venne bloccata la pubblicazione.

Prendiamo gli investimenti più sicuri, cioè i titoli italiani indicizzati all’inflazione, facilmente acquistabili da chiunque a tagli di 1.000 euro. Nei dieci anni da fine 2013 a fine 2023 hanno reso il 52,3% e non il 17,7%, sempre nel complesso. Passiamo agli antipodi cioè alle azioni: l’indice Morgan Stanley mondiale ci dice che, in euro, esse hanno mediamente reso il 137,8%. Come dire? Sia i meno rischiosi sia i più rischiosi degli investimenti mobiliari hanno stracciato il comparto dei fondi comuni italiani.

Uno si aspetterebbe che almeno a casa propria i gestori italiani rimediassero figure meno barbine, magari addirittura combinassero qualcosa di utile. Invece no: nel decennio la Borsa italiana ha fatto il 127,8% e i fondi azionari italiani solo l’89,2%. Un minus di gestione del 3,8% annuo. Impossibile capirne il perché, essendo i fondi comuni scatole nere.

Abbiamo poi i conti di liquidità con un -2,7% nominale sui dieci anni (-18% in potere d’acquisto). Peggio del denaro contante e soprattutto peggio dei buoni postali, preferibili in generale se gli obiettivi sono la liquidità, l’assenza di perdite nominali e la sicurezza. I banalissimi buoni ordinari nel decennio hanno reso il 20,9% lordo (18,3% netto) ossia casualmente quanto l’inflazione, senza mai una flessione di prezzo.

Ma è possibile che nel campo del risparmio gestito ogni pietra nasconda un verminaio? Sì ed è voluto. Esso è infatti pessimo per chi ingenuamente gli affida i propri soldi, ma è una gallina dalle uova d’oro per banche o sedicenti consulenti finanziari. D’altronde, salvo eccezioni lodevoli ma non significative, il suo obiettivo è proprio massacrare i clienti con costi, spese, provvigioni, commissioni d’incentivo o performance, caricamenti ecc.

Dulcis in fundo: il passato è irrimediabile, ma per il futuro la soluzione è semplice: disinvestire senza indugio.

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