Abbiamo già trattato, sia pure per sommi capi, una casistica sulla colpa medica. Ci apprestiamo, in questo articolo, ad esaminare il profilo dell’errato intervento del medico.
Dobbiamo tenere a mente che l’intervento del medico, benché sia centrale nell’immaginario relativo all’attività sanitaria, non esaurisce tutto il complesso delle attività connesse alle patologie.
Per individuare le cause delle patologie (o delle psicopatologie, che pure rientrano nel perimetro dell’attività sanitaria) è necessaria e presupposta l’attività diagnostica, la quale consente al medico di raccogliere le notizie relative al paziente (l’anamnesi), di individuare i segni e i sintomi concretamente ricorrenti e di ricondurli ad una precisa causa naturale nota alla scienza, estirpabile o meno attraverso i percorsi terapeutici noti alla medicina.
La prognosi indica il giudizio sull’esito atteso dell’evento patologico, tanto più favorevole per il paziente quanto più la diagnosi è calzante e tempestiva oppure la terapia è efficace - ossia sviluppa la risposta fisiologica positiva, sia pure in un percorso costellato da tentativi ed errori.
Peraltro, il trattamento diagnostico è complicato dal fatto che, nella medicina moderna, esistono diversi approcci diagnostici: tra tutti, il più importante è quello basato sulla evidence-base medicine, (una procedura che prende in esame stime sui danni e sui benefici delle cure).
Possiamo dunque intuire quale importanza rivesta l’attività diagnostica, togliendo il primato all’attività dell’intervento.
Come il giudice individua la fattispecie concreta e la riconduce a quella astratta, alla stessa stregua il medico riconduce il sintomo alla causa.
La giurisprudenza di legittimità fornisce la nozione generale di errore diagnostico, il quale si presenta quando “in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo”.
Tale nozione, ovviamente, si presta all’elencazione casistica (che, come ogni elencazione, non è esaustiva), in modo non dissimile da quanto abbiamo fatto trattando di omissione.
Siamo in presenza di una pluralità di condotte che, alla presenza di un preciso quadro sintomatologico, assumono significato qualora il medico:
1.- commetta dei meri errori materiali, relativi cioè alla lettura dei dati diagnostici, come quelli evincibili da una radiografia, of ometta di far eseguire determinati esami necessari ai fini della formulazione della diagnosi.
2.- ritardi ad effettuare la diagnosi, determinando un maggiore sviluppo della malattia e le conseguenze più gravi per la salute dell’ammalato. Esempio classico degli effetti negativi del ritardo diagnostico è quello delle neoplasie tumorali, le quali proliferano nell’organismo attraverso la diffusione di metastasi, qualora non siano state diagnosticate in tempo. Siamo, in questo caso, nella sfera del danno da perdita di chance di sopravvivenza oppure nel danno che consegue dalla sottoposizione ad interventi più incisivi;
3.- al contrario, si accanisca a sottoporre il paziente ad esami diagnostici inutili, al fine di comprendere la patologia da cui risulti eventualmente affetto. Tale tipologia di danno consiste in un’ingerenza sulla sfera psico-fisica del paziente che occorre nella fase preparatoria dell’intervento
4.- né disponga né esegua ulteriori accertamenti medici, benché sarebbero a lui richiesti. Si pensi, a tale riguardo, all’omessa diagnosi della gravidanza in corso, qualora la gestante voglia ricorrere all’aborto nel termine dei tre mesi dal concepimento;
5.- non inquadra il caso clinico in una patologia nota alla comunità scientifica;
6.- pur avendo a sua disposizione un quadro aggiornato sulle notizie e i sintomi del paziente, rimanga convinto di un’erronea posizione diagnostica precedentemente assunta.
L’errore diagnostico presenta logicamente delle ripercussioni sul paziente su due differenti versanti.
Il primo concerne la sfera della autodeterminazione. Per principio il paziente deve essere posto dinnanzi alla possibilità di scegliere tra uno o più percorsi terapeutici astrattamente percorribili, fossero anche meramente palliativi, oppure di attendere con serenità e piena consapevolezza il proprio epilogo esistenziale. Per contro, il velo di ignoranza indotto dagli errori diagnostici dei medici impedisce al paziente di compiere una scelta meditata e personale, propria della dignità della persona. Di norma, gli errori che intaccano la sfera dell’autodeterminazione sono risarcibili per via equitativa e non richiedono l’assolvimento di alcun onere probatorio in ordine alla loro esistenza.
Diverso, invece, è il profilo di rilevanza più obiettiva del peggioramento dello stato di salute del paziente o della morte, il quale richiede ulteriori oneri probatori in punto causalità che tratteremo nei prossimi interventi.
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