Una sentenza atipica quella pronunciata dalla Suprema Corte di Cassazione lo scorso gennaio, con la quale Telecom è stata definitivamente condannata a risarcire l'utente non inserito nell'elenco del servizio "12".
Il Giudice di legittimità ha ritenuto di tutelare l'interesse dell'abbonato ed ha considerato non completamente adempiuto il contratto con il quale TELECOM si era impegnata ad inserire il nominativo dell'utente, uno studio legale, nell'elenco telefonico, violando una precisa prescrizione contrattuale.
di seguito la sentenza
Cassazione civile Sezione III, 21.01.2011, n. 1418
Svolgimento del processo
Con sentenza 1 giugno - 10 settembre 2005 la Corte d'appello di Ancona, in
riforma della decisione del locale Tribunale del 7 febbraio - 4 giugno 2002,
condannava la TELECOM Italia spa al pagamento della somma di Euro 70.000,00
(settantamila/00) in favore dell'avvocato S.M., a titolo di risarcimento
danni conseguenti al disservizio causato dalla società
telefonica sulle utenze telefoniche intestate allo studio
dell'attore in tutto l'anno 1995.
Avverso tale decisione TELECOM Italia ha proposto ricorso per cassazione
sorretto da sette, distinti, motivi, cui resiste lo S. con controricorso.
TELECOM ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione
dell'art. 2697 c.c., artt. 115, 116 e 117 c.p.c., in relazione all'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè contraddittorietà della motivazione e travisamento
dei fatti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all'asserita prova
dell'accordo relativo alle modalità di inserimento nell'elenco 1995/1996 ed al
conseguente inadempimento della TELECOM, violazione del D.M. Poste e
Telecomunicazioni n. 484 del 1988, art. 26, comma 2, e degli artt. 1218 e 1453
c.c..
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione
dell'art. 2697 c.c., e artt. 115, 116 e 117 c.p.c., in relazione all'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3, contraddittorietà della motivazione e travisamento dei
fatti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla inclusione - tra gli
obblighi contrattuali di TELECOM - anche di quello relativo alla fornitura di
informazioni attraverso il c.d. "Servizio 12" ed al conseguente inadempimento
della TELECOM sul punto; nonchè violazione del D.M. Poste e Telecomunicazioni n.
484 del 1988, art. 26, comma 2, e degli artt. 1218 e 1453 c.c..
Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art.
2697 c.c., artt. 115, 116 e 117 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma
1, n. 3, contraddittorietà della motivazione e travisamento dei fatti ex art.
360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente ribadisce quanto già rilevato, nel
secondo motivo di ricorso, sotto il diverso profilo del vizio della motivazione,
sottolineando che il servizio "12" non era assolutamente ricompreso tra gli
obblighi a carico del gestore dal Regolamento di servizio.
Tra l'altro, il costo di questo servizio è posto a carico del soggetto che
ricerca l'utente (e non dell'utente ricercato da questi).
In effetti, l'art. 26 del Regolamento prevede quale urica forma di pubblicità
dell'abbonato solo la pubblicazione annuale del numero telefonico e dell'utente
nell'elenco telefonico, e null'altro.
I primi tre motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente, in
quanto connessi tra di loro.
Con motivazione del tutto adeguata, che sfugge a tutte le censure di
violazione di norme di legge e di vizi della motivazione denunciati, i giudici
di appello hanno riconosciuto - anche sulla base delle dichiarazioni rese dalla
parte convenuta in comparsa di risposta nel giudizio di primo grado - che, in
contrasto con gli accordi intercorsi con il gestore, il numero telefonico dello
studio dell'avv. S. non risultava dall'elenco telefonico e che anche dal
servizio dell'elenco abbonati la unica informazione accessibile
era quella relativa al numero di fax dello stesso.
La Corte territoriale ha ritenuto, con accertamento anche esso non
censurabile, che il servizio "12" costituisse una prestazione facente parte del
rapporto contrattuale con l'utente (anche se il costo di esso è posto a carico
del richiedente la informazione). "Le informazioni tramite esso (servizio 12)
rese si risolvono - hanno accertato i giudici di appello - in un vantaggio ed
agevolazione per lo stesso abbonato, oltre che per la generalità degli utenti,
laddove consentono o facilitano le sue comunicazioni telefoniche, e comunque
formano oggetto di una prestazione promessa, prestazione a cui inoltre
corrispondono evidenti interessi di contropartita economica da parte del
gestore".
Infine, la Corte territoriale ha ritenuto la esistenza di un nesso di
causalità tra il disservizio e la riduzione di lavoro denunciata dallo S., sulle
base delle dichiarazioni rese dai testi. Ed ha ritenuto provato sia il danno
patrimoniale da perdita degli affari, che quello relativo alla lesione alla
immagine professionale. Tale danno all'immagine veniva in rilievo sotto il
profilo dell'avviamento professionale, risolvendosi in un effetto di opinione
negativa presso la clientela e dunque nel suo sviamento.
Uno studio legale, dotato solo di un'unica linea di telefono-fax, offriva di
sè, e del professionista, una immagine poco efficiente e poco affidabile,
immagine tanto più negativa per uno studio di avvocato penalista (quale era
appunto l'avv. S.) la cui efficienza ed affidabilità si misurano anche sulla
facile reperibilità in ragione delle emergenze e delle urgenze proprie di quel
settore di affari giudiziari.
Si tratta, anche in questo caso, di una conclusione logicamente motivata,
esente da qualsiasi vizio logico od errore giuridico.
Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia violazione o falsa
applicazione dell'art. 41 c.p., artt. 1218, 1223 e 1226 c.c., in relazione
all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè illogicità della motivazione in
relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla esistenza del
nesso eziologico tra i presunti inadempimenti ed il lamentato danno.
La censura relativa all'accertamento del nesso eziologico tra inadempimento
della società elettrica e danno è inammissibile, risolvendosi in una richiesta
di diversa interpretazione delle risultanze processuali, inammissibile in questa
sede.
Con il quinto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt.
1218, 1226 e 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
illogicità della motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione
alla ritenuta sussistenza di un danno ed alla sua conseguente determinazione in
via equitativa ed in misura omnicomprensiva, sia per il danno all'immagine che
per il danno da lucro cessante.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione
dell'art. 112 c.p.c., ovvero dell'art. 346 c.p.c., in relazione all'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3; violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226
c.c.; illogicità della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in
relazione al riconoscimento degli interessi legali,
cumulati alla rivalutazione monetaria dalla data del fatto alla pubblicazione
della sentenza di appello.
Il quinto ed il sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente in
quanto connessi tra di loro, non sono fondati.
I giudici di appello hanno provveduto ad una liquidazione del danno in via
equitativa, in moneta attuale e tenendo conto di interessi e rivalutazione
maturati "medio tempore".
Qualora sia provata, come nel caso di specie, l'esistenza del danno, il
giudice può far ricorso alla valutazione equitativa non solo quando è
impossibile stimarne con precisione l'entità, ma anche quando, in relazione alla
peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia
difficoltosa. Sulla base di tale principio, da ritenere consolidato nella
giurisprudenza di questa Corte, deve convenirsi che, nel caso di specie, la
liquidazione del danno non poteva essere effettuata che in via equitativa.
Le censure formulate dalla ricorrente - in ordine alla mancata produzione di
dati relativi ai mancati guadagni relativi all'anno 1995 - non tiene conto del
tempo (notoriamente) intercorrente dalla data di conferimento dell'incarico a
quella della percezione dell'onorario.
La produzione della dichiarazione dei redditi dell'anno in cui ebbe a
verificarsi il disservizio lamentato sarebbe, dunque, stata priva di qualsiasì
rilevanza ai fini indicati.
I giudici di appello, pertanto, correttamente avevano fatto riferimento alle
dichiarazioni rese da numerosi testimoniali, i quali avevano riferito in ordine
al fatto che, proprio a causa del disservizio telefonico, si erano rivolti ad
altri studi professionali per affari penali urgenti.
Con il settimo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli
artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
illogicità della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al
riconoscimento della totale soccombenza della società convenuta nonostante la
liquidazione di una somma inferiore al domandato.
Questo ultimo motivo di ricorso è anche esso inammissibile, considerato che ì
giudici di appello hanno motivato la propria decisione sul punto, sottolineando,
tra l'altro, che la liquidazione delle spese processuali veniva effettuata solo
sulla base della somma riconosciuta (ciò sia in riferimento al giudizio di primo
grado che a quello di secondo grado).
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con la condanna della
società ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro
3.200,00 (tremiladuecento/00) di cui Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari di
avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.
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