Anche la mediazione tributaria è oggetto di controllo di costituzionalità da parte della Corte costituzionale, così come ha deciso la Commissione Tributaria di Perugia con la sentenza che vi proponiamo di seguito.
Il Giudice ha ritenuto di chiedere l’intervento della Corte Costituzionale in merito a possibili profili di incostituzionalità della procedura di mediazione introdotta per le controversie tra il fisco e il contribuente.
Successivamente alla CTP di Perugia, altri giudici tributari hanno ritenuto opportuno investire la Corte Costituzionale della questione, chiedendo un intervento volto a chiarire in modo definitivo se la procedura di conciliazione sia rispettosa dei principi costituzionali.
Di seguito, potete trovare il testo della sentenza.
Commissione Tributaria Provinciale di Perugia
Sezione II
Ordinanza 1-7 febbraio 2013, n. 18
(Presidente Branciforti – Relatore Argento)
In fatto e diritto
Con ricorso in data 5.7.2012, M. M., proponeva opposizione alla cartella esattoriale dell'importo di € 16.531,06 rilevando il mancato riconoscimento del credito IVA nonché alcuni errori formali concernenti il medesimo atto.(Presidente Branciforti – Relatore Argento)
In fatto e diritto
Si costituiva l'Amministrazione finanziaria rilevando come il ricorrente non avesse preliminarmente adito l'istituto della mediazione come previsto dall'art. 17-bis del DLgs. n. 546 del 1992 così come introdotto dal DL n. 98 del 6.7.2011 conv. con L. n. 111 del 15.7.2011 e quindi chiedeva che il ricorso fosse dichiarato inammissibile.
Nel merito chiedeva rigettarsi le proposte eccezioni.
Osserva questa Commissione che preliminarmente deve esaminarsi la questione di inammissibilità del ricorso come eccepito dall'Agenzia delle Entrate.
Sul punto ritiene questa Corte che sussistono seri dubbi di costituzionalità della norma citata dalla Amministrazione Finanziaria, che avrebbe riflessi immediati sull'esito del ricorso in esame.
Invero deve osservarsi che l'istituto del reclamo e della mediazione, in materia tributaria, è stato introdotto dal DL n. 98 del 6.7.2011 che è stato convertito con legge n. 111 del 15.7.2011 ed esso, a giudizio di questa Commissione, viola i principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 24 e 25 della Carta.
Esaminando tale istituto si rileva che, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo e che tale reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso. Inammissibilità rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
Orbene appare evidente che la proposizione di tale reclamo è obbligatorio ed impedisce al contribuente di adire immediatamente la giustizia tributaria ricevendone la eventuale tutela (il che come si vedrà in seguito avrà delle conseguenze notevoli per l'istante).
Tale reclamo viene esaminato da un organo dell'Amministrazione che seppur diverso ed autonomo rispetto a quello che ha emanato l'atto reclamabile è sempre parte organica della Amministrazione stessa. A tale organo è demandato di accettare o meno il reclamo e la eventuale richiesta di mediazione e di effettuare, a sua volta, una nuova proposta di mediazione.
Appare evidente come il Legislatore abbia usato l'istituto della mediazione in modo erroneo ed illogico.
Infatti il diritto dell'Unione europea, richiamato dalla sentenza della Corte delle Leggi con sentenza n. 272 del 2012, fermo il favor dimostrato verso detto istituto, disciplina le modalità con le quali il procedimento può essere strutturato («può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro», ai sensi dell'art. 3, lettera a, della direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008).
Talché deve evidenziarsi in primo luogo che l'organo della mediazione deve essere estraneo alle parti, in sostanza non può essere mediatore una delle parti, anche se costituito in ufficio autonomo.
Inoltre non può non rilevarsi come tale mediazione, sia che richiesta dal contribuente, sia che proposta dall'Amministrazione, di fatto, sia obbligatoria e come tale, in materia civile, già dichiarata incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso di delega) dalla Corte della Carta con la citata sentenza.
Deve inoltre rilevarsi che la norma impugnata prevede che decorsi novanta giorni senza che sia notificato l'accoglimento del reclamo o senza che sia conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso e che i termini di cui all'art. 23 DLgs. 546/92 (costituzione in giudizio del ricorrente) decorrono dalla predetta data.
Talché deve dedursi che sino a quel momento il contribuente non può adire formalmente la giustizia tributaria con tutte le conseguenze che vedremo.
In effetti ai sensi dell'art. 23 co. 30 del DL 6.7.2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011 l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate diventa titolo esecutivo decorsi sessanta giorni senza che si sia provveduto al pagamento. Più precisamente la norma appena citata prevede il pagamento, in caso di "tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio" degli importi stabiliti dall'art. 15 del DPR 29.9.1972 n. 602.
Orbene questa Commissione non può non rilevare la incongruenza tra i termini previsti per il reclamo e la mediazione e l'immediata esecuzione dell'avviso di accertamento. In sostanza il contribuente non può effettuare un tempestivo ricorso, che si concretizza non solo con la presentazione dello stesso all'Ufficio impositore, ma anche con il deposito della copia presso la Commissione Tributaria, perché deve aspettare l'esito del suo reclamo o della mediazione ma nel frattempo deve pagare perché l'avviso di accertamento è esecutivo.
Ed il contribuente non può avvalersi nemmeno dell'istituto della sospensione dell'atto previsto dall'art. 47 DLgs. 546/92 perché non ha potuto depositare il proprio ricorso presso la Commissione, ricorso che comunque sarebbe dichiarato inammissibile perché non preceduto dall'iter previsto dalla norma impugnata.
Ancora si deve rilevare la incostituzionalità della citata norma per violazione dell'art. 3 della Carta laddove prevede che il citato istituto del ricorso e della mediazione si applicano solo ai tributi imposti dalla Agenzia delle Entrate e non ad altri tributi provenienti da altri Enti impositori, talché i contribuenti obbligati al pagamento di questi ultimi si troverebbero ad avere maggiore tutela giuridica rispetto ai contribuenti cui pervengono atti dall'Amministrazione finanziaria che devono attenersi all'iter procedurale prevista dalla norma di cui si dubita della costituzionalità.
Infine non può non rilevarsi come la limitazione dell'applicazione, sempre della citata norma, alle controversie che abbiano un valore non superiore alle ventimila euro appaia illogica laddove si ponga mente che medesimi contribuenti solo perché potrebbero essere debitori dello Stato per importi superiori trovino maggiore tutela giudiziaria, potendo adire immediatamente la giustizia tributaria ed avvalersi, eventualmente, dell'istituto della sospensione dell'atto impugnato.
P.Q.M.
La Commissione a scioglimento della riserva in data 29 gennaio 2013.Visti gli artt. 134 Cost. e art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17-bis del DLgs. n. 546 del 1992 così come introdotto dal DL n. 98 del 6.7.2011 conv. con L. n. 111 del 15.7.2011 per violazione degli artt. 3, 24 e 25 della Cost. sospende il giudizio e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza venga notificata alle parti del processo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
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