Ancora una volta torniamo a trattare l'argomento azione collettiva, per segnalare un nuovo stop per questo tipo di difesa dei consumatori, argomento già affrontato in questo blog (vedi).
Nel caso di specie, l'azione di classe era stata proposta avanti al Tribunale di Roma nei confronti di Università Cattolica del Sacro Cuore chiedendo che l'accertamento della responsabilità del Policlinico Universitario Gemelli "per avere, con comportamento omissivo e violativo degli obblighi di legge e di contratto, provocato il contatto" della suddetta minore con una persona malata di tubercolosi, costringendo la minore a "estenuanti esami e pesanti profilassi" e ponendola nel rischio di sviluppare tale malattia, e di chiedere conseguentemente la condanna della convenuta a risarcire B.L. , in proprio e nella qualità di legale rappresentante della figlia, per il danno biologico e morale patito da lui stesso e dalla minore e per il danno esistenziale patito da lui, oltre all’ulteriore scopo di proporre l’analoga domanda di accertamento e di condanna risarcitoria per ogni neonato aderente e per i suoi genitori. Ciò perché nel 2011 al Policlinico Gemelli di XXXX era risultato che un’infermiera affetta da tubercolosi aveva lavorato nel reparto neonatale, per cui sarebbe stata coinvolta una "classe" di 1271 persone, ovvero i bambini nati dal 1 gennaio al 28 luglio del 2011.".
L'azione, quindi, era volta ad accertare un danno collettivo sofferto dai componenti della classe (ossia tutti i bambini nati nel periodo gennaio - 28 luglio 2011) a causa della condotta omissiva della struttura ospedaliera ove lavorava l'infermiera affetta da tubercolosi.
La vicenda è finita avanti alla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha confermato l'inammissibilità dell'azione collettiva in quanto sarebbe carente di uno dei requisiti richiesti dall'art. 140 bis del Codice del Consumo: il danno collettivo.
Il giudice di legittimità evidenzia, in primo luogo, i punti salienti dell'azione collettiva, osservando che "L’azione di cui all’art. 140-bis del Codice del Consumo, ove sia proposta unicamente a fini risarcitori e non a tutela di interessi collettivi, non costituisce altro che uno strumento apprestato dal legislatore per far valere la domanda risarcitoria: costituisce, cioè, un mezzo processuale di tutela che si aggiunge a quello ordinario spettante al singolo interessato per ottenere il bene della vita consistente nel risarcimento di un danno che egli assume di aver subito per effetto della condotta posta in essere dal soggetto danneggiante.
La possibilità di far valere in via collettiva una pretesa risarcitoria può concorrere ad attribuire alla pretesa stessa una efficacia maggiormente incisiva nei confronti del danneggiante, ma non comporta che, nel caso in cui vengano fatte valere unicamente posizioni individuali e non venga quindi azionato un interesse collettivo, il bene della vita cui mira la domanda sia diverso dal ristoro del pregiudizio subito dal singolo appartenente alla classe e sia, quindi, un bene che può senz’altro essere tutelato anche attraverso la proposizione di un’azione individuale avente la medesima finalità.
Nell’ipotesi in cui l’azione di classe, ex art. 140-bis del Codice del Consumo, è finalizzata unicamente ad una tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe e non anche a tutelare un interesse collettivo, l’ordinanza di inammissibilità emessa in appello in sede di reclamo non è impugnabile con ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost…".
E nel caso di specie, la Corte ritiene che manchi proprio il carattere di risarcimento del danno collettivo nell'azione avviata dalla classe, ove al più può ravvisarsi un interesse collettivo, ma che può essere curato secondo le ordinarie vie giudiziarie.
Ed ancora una volta, quindi, dobbiamo segnalare l'esito negativo dell'azione collettiva, la quale non ha superato lo scoglio dell'ammissibilità formale previsto dal Codice del Consumo.
Qui la sentenza n. 26725/2018 della Cassazione.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - SENTENZA 23 ottobre 2018, n.26725 - Presidente Frasca – Relatore Graziosi
[…]
Ragioni della decisione
[…]
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1 Invero, nelle more del giudizio si è introdotto l’intervento chiarificatore di S.U. 1 febbraio 2017 n. 2610, per cui, se l’azione di classe ex articolo 140 bis del Codice del consumo risulta finalizzata unicamente ad una 'tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe' e non anche a tutelare 'un interesse collettivo', l’ordinanza di inammissibilità emessa dalla Corte d’appello in sede di reclamo non è impugnabile con ricorso straordinario ex articolo 111, settimo comma, Cost. 'essendo il medesimo diritto suscettibile di tutela attraverso l’azione individuale finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno.
Il che, ovviamente, si fonda sulla natura non decisoria di tale ordinanza, precisando infatti le Sezioni Unite che la dichiarazione di inammissibilità rende non riproponibile l’azione di classe da parte degli stessi attori - non lesi per la proponibile tutela individuale - ma neppure inficia la posizione degli altri soggetti annoverabili nella classe, i quali possono proporla qualora non abbiano aderito all’azione dichiarata inammissibile.
E nel caso in esame, rigettando il reclamo avverso l’ordinanza con cui il giudice di prime cure aveva dichiarato la inammissibilità dell’azione di classe, la corte territoriale ha emesso un provvedimento riconducibile, in assoluta evidenza, alla tipologia non decisoria indicata dall’appena richiamato intervento delle Sezioni Unite.
3.2 Nella memoria depositata, Codacons tenta, logicamente in via preliminare (si vedano le pagine 2-6), di fronteggiare l’intervento nomofilattico - pur senza indicarne i dati identificativi -, richiamandone il passo centrale per cui, se l’azione di classe è diretta ottenere 'la tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe e non anche un interesse collettivo', l’ordinanza di inammissibilità emessa dalla Corte d’appello in sede di reclamo non è impugnabile con ricorso straordinario 'essendo il medesimo diritto suscettibile di tutela attraverso l’azione individuale finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno', e deducendone: 'Ne deriva, pertanto, che qualora l’azione di classe sia finalizzata a tutelare un interesse collettivo, l’ordinanza di inammissibilità è ricorribile' con ricorso straordinario; e sarebbe 'proprio questo il caso' poiché la domanda di proposizione dell’azione di classe avrebbe chiesto in via preliminare di accertare l’ammissibilità della domanda e di 'definire i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri di inclusione degli eventuali aderenti alla classe, e stabilire i termini e le modalità per la più opportuna pubblicità ai fini dell’adesione', nonché nel merito di accertare la responsabilità del Policlinico Gemelli 'per aver, con comportamento omissivo e violativo degli obblighi di legge e di contratto, provocato il contatto della piccola B.G. con una persona malata, costringendola ad estenuanti esami e pesanti profilassi ed esponendola al continuo e perenne rischio di sviluppare la Tubercolosi' e, ancora nel merito, di accertare la responsabilità del Policlinico Gemelli 'per aver con comportamento omissivo e violativo degli obblighi di legge e di contratto provocato il contatto di tutti i componenti della classe dei bambini risultati negativi ai test con una persona malata, costringendoli ad estenuanti esami e pesanti profilassi ed esponendoli al continuo e perenne rischio di sviluppare la Tubercolosi'.
Pertanto non vi potrebbe 'essere dubbio alcuno sul fatto che l’azione di classe' in esame sarebbe 'finalizzata a tutelare un interesse collettivo', in quanto la pretesa risarcitoria 'deve essere assolutamente considerata come domanda subordinata. Ossia, accertato l’interesse collettivo che si intendeva tutelare, una volta dichiarata l’ammissibilità dell’azione di classe, nel merito ed esclusivamente nel merito, si doveva discutere se era possibile o meno ottenere la domandata pretesa risarcitoria'.
L’argomento apportato nella memoria è privo di consistenza, in primis perché la conformazione del petitum riportata nel suo nucleo come attestata sull’accertamento, degradando la domanda di condanna a un livello subordinato, altro non è che un’artificiosa reductio della sua conformazione reale, così come trascritta nello stesso ricorso, alle pagine 2-3, dove, prima di passare all’accertamento di responsabilità nei confronti dei componenti della classe (sub 5), si è chiesta (sub 4) proprio la condanna risarcitoria a favore del B. in proprio e quale legale rappresentante della figlia, con tanto di quantificazione di sette voci di danno; e anche a seguito della successiva proposizione della domanda di accertamento di responsabilità verso i componenti della classe viene proposta la relativa domanda di condanna (sub 6) con le specifiche quantificazioni di sette analoghe voci di danno. E dunque, la domanda di condanna è qui subordinata alla domanda di accertamento (implicitamente) soltanto per il suo contenuto giuridico da essa discendente, ma non per scelta - come tende a prospettare la suddetta memoria - della ricorrente espressiva di una volontà incentrata sull’accertamento e unicamente - o quantomeno in tesi - su questo.
3.3 D’altronde, anche qualora fosse stata presentata soltanto domanda accertatoria, ciò non sarebbe stato sufficiente a renderne il contenuto riconducibile ad un interesse collettivo, poiché tale accertamento avrebbe potuto essere ottenuto dai danneggiati mediante azione individuale. Il che significa, appunto, che una domanda ex articolo 140 bis del Codice del consumo la quale venisse proposta anche solo per l’accertamento dell’esistenza di una responsabilità di uno o più soggetti per causazione di danno risarcibile nei confronti di una classe di soggetti non sarebbe idonea a imprimere decisorietà nella dichiarazione della sua inammissibilità, proprio per quanto hanno riconosciuto - e tratto prima ancora dalla logica che dal diritto - le Sezioni Unite, ovvero per la completa fungibilità nella tutela dei danneggiati della corrispondente azione individuale.
Esaminando infatti un caso analogo a quello presente, le Sezioni Unite distinguono l’azione risarcitoria di danni 'che i proponenti della domanda o i successivi aderenti all’azione di classe assumono di avere subito per effetto delle condotte contestate alla convenuta' dall’azione 'volta alla tutela di un interesse collettivo riferibile all’associazione rappresentativa o ai proponenti', e ribadiscono, sulla scorta di un insegnamento notoriamente consolidato, che la decisorietà 'consiste nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato'; e poiché l’articolo 140 bis, al primo comma, stabilisce che i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al secondo comma e gli interessi collettivi 'sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe', 'emerge chiaramente che tale azione, ove sia proposta... unicamente a fini risarcitori e non a tutela di interessi collettivi, non costituisce altro che uno strumento apprestato dal legislatore per far valere la domanda risarcitoria: costituisce, cioè, un mezzo processuale di tutela che...si aggiunge a quello ordinario spettante al singolo interessato per ottenere il bene della vita consistente nel risarcimento di un danno che egli assume di aver subito per effetto della condotta posta in essere dal soggetto danneggiante'; e 'la possibilità di far valere in via collettiva una pretesa risarcitoria può concorrere ad attribuire alla pretesa stessa una efficacia maggiormente incisiva nei confronti del danneggiante', ma 'non comporta che, nel caso in cui vengano fatte valere unicamente posizioni individuali e non venga quindi azionato un interesse collettivo, il bene della vita cui mira la domanda sia diverso dal ristoro del pregiudizio subito dal singolo appartenente alla classe e sia, quindi, un bene che può senz’altro essere tutelato anche attraverso la proposizione di un’azione individuale avente la medesima finalità'. Vale a dire che 'la differenza soggettiva che si ha tra azione di classe e azione individuale, allorquando con la prima vengano fatte valere pretese che incidono esclusivamente sul piano risarcitorio o restitutorio, non determina un mutamento dell’oggetto della domanda, che continua ad essere la pretesa alle restituzioni o al risarcimento del danno subito da ciascuno degli appartenenti alla classe che abbiano agito con l’azione di cui all’art. 140-bis. Ne consegue che ove si riconoscesse la natura decisoria del provvedimento che definisce in sede di reclamo il giudizio con dichiarazione di inammissibilità - senz’altro definitivo in quanto avverso lo stesso non è previsto alcun rimedio impugnatorio - verrebbe meno la possibilità stessa del singolo attore proponente l’azione di classe di ottenere altrimenti il bene della vita oggetto della domanda giudiziale'.
3.4 Se è vero, allora, che queste argomentazioni rinvenibili al centro dell’intervento nomofilattico potrebbero - tramite una interpretazione letterale 'forzata', peraltro - intendersi come identificanti l’azione di classe di cui sia dichiarabile la inammissibilità con provvedimento non impugnabile con ricorso straordinario nell’azione risarcitoria e/o restitutoria, a contrario rimanendo così estranea alla non impugnabilità con ricorso straordinario un’azione unicamente accertatoria, risulta peraltro agevole il superamento di questa apparente distinzione.
L’articolo 140 bis pone sempre una congiunzione tra il petitum accertatorio e il petitum di condanna, non prevedendo letteralmente una domanda soltanto accertatoria. Peraltro, se ciò si volesse intendere nel senso che il petitum veicolato come azione di classe deve sempre includere anche la condanna, la conseguenza non sarebbe quella prospettata nella memoria di Codacons ovvero che l’azione meramente accertatoria rimarrebbe impugnabile con ricorso straordinario -, bensì, a priori, sarebbe la non proponibilità dell’azione meramente accertatoria, poiché la norma relativa all’azione di classe dovrebbe essere intesa come esigente un inscindibile petitum di accertamento e di condanna.
E allora una simile lettura - che è quella, a ben guardare, implicitamente prospettata nella memoria di Codacons - prova troppo. E lo fa perché, nella sua artificiosità, è diretta a schivare il reale nucleo del ragionamento delle Sezioni Unite, ovvero la fungibilità dello strumento processuale.
In sintonia con il consolidato discrimen indicato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte per distinguere i provvedimenti ricorribili in via straordinaria dai provvedimenti non ricorribili, il parametro della decisorietà viene posto dalle Sezioni Unite nella infungibilità del provvedimento: e quindi, applicandolo, se con un’azione individuale può essere chiesto l’accertamento di una responsabilità per causazione di danni, anche qualora non si proponga congiuntamente pure la domanda di condanna al risarcimento di tali danni, il provvedimento che abbia dichiarato inammissibile un’azione di classe richiedente tale accertamento per un gruppo di soggetti (la cosiddetta classe, appunto) non può inficiare la proponibilità della suddetta azione individuale, ovvero non ha alcuna portata decisoria.
Avrebbe dovuto, dunque, la ricorrente addurre e dimostrare che ciò di cui è stato chiesto l’accertamento con l’azione di classe nel caso in esame (anche a prescindere dalla presenza, sopra constatata, della congiunta domanda di condanna) non è riconducibile ad un diritto/interesse individuale, id est attiene ad uno specifico interesse collettivo. Come si è visto, invece, la ricorrente, per sostenere la decisorietà dell’ordinanza della corte territoriale, appigliandosi in modo implicito ad una letteralità 'forzata', oltre al mero asserto dell’esistenza di un interesse collettivo neppure definito con adeguata specificità (memoria, pagina 5), ha soltanto tentato di scindere la domanda di accertamento dell’azione di classe in esame dalla - pur anch’essa proposta - domanda di condanna: e questo per di più, in ultima analisi, come se la diversità del petitum potesse ontologicamente estendersi nell’ambito della causa petendi nel senso di trasformare il diritto individuale leso in un interesse collettivo leso.
Non risulta quindi discutibile sotto nessun profilo, in conclusione, la carenza di decisorietà del provvedimento impugnato.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, la sopravvenienza dell’intervento delle Sezioni Unite nelle more del giudizio giustificando la compensazione delle spese processuali.
Sussistono ex articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso compensando le spese processuali.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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