In queste ultime settimane abbiamo voluto trattare, con diversi interventi, il tema della responsabilità sanitaria, analizzando diversi aspetti che riguardano i diritti e le tutele previste in favore del consumatore di un servizio all'interno di una struttura medica, sia pubblica che privata.
L'ultimo nostro intervento in questa materia viene dedicato ad una struttura particolare creata per tutelare i pazienti e, laddove ne sussistano i presupposti, porsi come soggetto di denuncia delle distorsioni esistenti negli ospedali.
Le organizzazioni civiche che, tramite il loro solo sforzo associativo o con la collaborazione delle università, interloquiscono con alle istituzioni sovranazionali a tutela dei diritti dei soggetti deboli e contro la loro discriminazione in vari ambiti del vivere civile non sono soggetti da trascurare, soprattutto quando i loro sforzi portano a importanti proclamazioni in sede comunitaria che, a cascata, hanno degli influssi sulla regolazione nazionale dei servizi pubblici.
Ci riferiamo a diverse associazioni, attive da decenni a tutela di alcune categorie. Tra queste, possiamo ricordare quelle che hanno istituito “il Tribunale per i diritti del malato” e, sulla stessa lunghezza d’onda, le altre che hanno istituito “il Tribunale per i diritti dei disabili”.
Va precisato immediatamente che, a dispetto del loro nome, tali soggetti non hanno alcun valore giudiziale, giustiziale o para-giustiziale. Non erogano, cioè, il supporto né in mediazioni né davanti al giudice per le controversie sanitarie, e nemmeno potrebbero farlo essendo costituite da volontari; ma, d’altro canto, il disservizio della struttura sanitaria, prima che sfoci in un contenzioso legale, può essere gestito in vario modo e a vari livelli, ad esempio interfacciandosi con i dirigenti delle amministrazioni interessate o collaborando, informalmente, con i medici e i professionisti inseriti nelle strutture sanitarie, o, in altre parole, operando con le realtà materiali.
Vediamo, allora, in cosa consiste l’attività di questo Tribunale.
Esso nasce dallo sforzo di diverse associazioni, diffuse capillarmente in sezioni locali in tutta Italia, che dal 1980 in avanti si sono occupate (e tutt’ora si occupano) di raccogliere le doglianze dei pazienti che erano stati vittime della malasanità. Non colpisce, tra l’altro, il tempismo di queste iniziative associative, che semplicemente hanno intercettato nei tempi storici adeguati la percezione dei diritti fondamentali. Proprio negli ultimi due decenni del secolo scorso il diritto alla salute, da istanza gestita in modo autoritativo e unilaterale da parte del Servizio Sanitario Nazionale, è divenuto, anche nella sensibilità popolare, l’oggetto di un nucleo personalistico di prestazioni irrinunciabili e rivendicabili verso tutte le strutture sanitarie.
Le associazioni, formate da volontari, sono diffuse di norma presso gli ospedali o i presidi territoriali dell’ASL; a propria volta, le associazioni fanno rete, tra di loro oppure con altre istituzioni o realtà associative che tutelano i diritti della cittadinanza. Al vertice, dispongono di un Coordinamento nazionale, volto a coordinare le politiche dell’Associazione, informandole ai principi statutari.
I Tribunali dei diritti del malato hanno fornito (e forniscono) quindi agli utenti i seguenti contributi:
1. studi sullo stato dei servizi sanitari pubblici e sul loro grado di tutela dei diritti del malato, attraverso la metodologia del c.d. “audit civico” (denominazione, questa, coniata dalle associazioni che si occupano dei Tribunali dal lontano 2000). Tale apporto era stato ideato dalle organizzazioni civiche per intercettare la valutazione del cittadino sulla qualità dei servizi erogati dalle aziende sanitarie locali, per poi coinvolgere le aziende sanitarie stesse nell’interazione coi cittadini.
Tra l’altro, che i cittadini e i pazienti debbano prender parte nelle decisioni riguardanti l’assistenza sanitaria, senza essere fruitori passivi, è un principio formalizzato nella Convenzione di Oviedo del 2000 e dalla Raccomandazione REC. Raccogliendo, appunto, le segnalazioni degli utenti sui disservizi o, anche, sulle buone prassi delle strutture sanitarie, le associazioni possono elaborare, tramite il contributo della cittadinanza, riflessioni e contributi per rendere più virtuosi i servizi. Lungi dal rappresentare delle iniziative poco vitali e prive di significato, va ricordato che le associazioni, tuttora, collaborano con case farmaceutiche e con le strutture locali, alla ricerca costante delle “buone prassi condivise”;
2. l’elaborazione, in sede locale, di “carte dei diritti del malato” le quali, pur non avendo una precisa valenza giuridica, costituiscono un riferimento fondato, quantomeno, sull’autorevolezza dell’attività associativa. Non dimentichiamo che lo sforzo congiunto di molte associazioni civiche diffuse negli stati membri dell’Unione Europea ha portato, nel 2002, all’adozione da parte di Bruxelles della “Carta europea dei diritti del malato”. Carta, questa, che richiama i documenti internazionali che aveva elaborato l’Organizzazione mondiale della sanità nel 1994, nonché altre dichiarazioni di principi molto frequenti negli anni novanta in sede internazionale.
La carta ha ottenuto riconoscimento da parte delle principali istituzioni comunitarie (Parlamento Europeo, Commissione Europea) nonché da parte del Parlamento italiano per via di mozione. Ovviamente, ci si augura che a tale riconoscimento “simbolico” faccia seguito, almeno nelle intenzioni, il fattivo riconoscimento dei disservizi, da risolvere senza addurre a pretesto le ragioni di contingentamento della spesa pubblica (le c.d. spending review).
La carta sancisce 14 diritti fondamentali del paziente: diritto a misure preventive, all’accesso, all’informazione, al consenso, alla libera scelta, alla riservatezza e confidenzialità, al rispetto del tempo, al rispetto di standard di qualità, alla sicurezza, all’innovazione, a evitare le sofferenze e il dolore non necessario, a un trattamento personalizzato, al reclamo, al risarcimento.
3. Il Tribunale dei diritti del malato è assai attivo nel fornire consulenze e aiuti verso il cittadino a fronte agli abusi e alle inadempienze che questi asserisca di aver subito da parte del Sistema Sanitario Nazionale. Ora, si ribadisce, l’apporto del Tribunale non è di tipo giudiziale, benché un’associazione di tal fatta avrebbe i crismi per esercitare azioni di classe davanti alla pubblica amministrazione o per costituirsi parte civile in procedimenti penali che hanno ad argomento la malasanità; tuttavia, l’apporto associativo, di solito, è a monte dei processi che producono i disservizi.
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