lunedì 12 luglio 2010

«La lezione del (mancato) rimborso dei bond argentini» - Beppe Scienza

Per i titoli dell’Argentina siamo all’ultimo atto. Scade il prossimo 22 giugno la nuova Offerta pubblica di scambio (Ops) del governo di Buenos Aires, rivolta a chi ha ancora obbligazioni emesse prima del 2002. Ma il punto non è la convenienza ad accettarla. La vicenda è interessante per vari motivi. In particolare perché aiuta a capire quanto poco l’Italia sia un paese normale; e quanto spesso in Italia i tiri mancini arrivino da chi dovrebbe stare dalla propria parte.

La storia inizia con la diffusione dei titoli di stato argentini dagli anni ’90 fino al patatrac del dicembre 2001, quando l’Argentina smette di pagare interessi e rimborsi. È il cosiddetto default, che si abbatté su circa 450 mila risparmiatori italiani, vittime in parte della ricerca spensierata di rendimenti persino del 10%, in parte dei consigli avventati di molte banche.

Passa circa un anno e le banche italiane s’inventano la Task Force Argentina (Tfa), un’iniziativa con l’unico vero fine di tenere buoni i risparmiatori che rumoreggiavano e distoglierli da cause contro di esse. Gli mettono a capo un certo Nicola Stock e la stampa economica, anziché smascherare la manovra, gli dà credito e lo intervista in continuazione (ora un po’ meno) come se l’attività della Tfa potesse avere una qualche utilità per i risparmiatori coinvolti.

Arriva poi il dicembre 2004 e l’Argentina propone un compromesso. Quanto offre è stimabile prudenzialmente fra il 35 e 40 per cento del valore delle obbligazioni fallite, che è comunque meglio di niente.

Pronta la Tfa dichiara l’offerta “assolutamente inaccettabile” (3-1-2005). Scrive a caratteri cubitali e tutto maiuscolo “NON ACCETTARE L’OFFERTA” (Avviso ai bondholders del 14-1-2005). Addirittura si inventa una risibile minaccia di pignoramenti, sequestri ecc. per gli interessi corrisposti dai nuovi titoli (Nota del 14-1-2005). E tutto ciò con l’avallo delle banche italiane (Comunicato Abi del 19-1-2005). In compenso promette mare e monti, cioè di ottenere il rimborso integrale e anche tutti gli interessi arretrati.

Ma in fondo cosa c’è d’aspettarsi da un’iniziativa finanziata dalle banche italiane? La cosa indecente è che quasi tutte le associazioni di consumatori (Adiconsum, Codacons, Federconsumatori, Unione Nazionale Consumatori ecc.) e la ditta Altroconsumo si appiattiscono sulla posizione della Tfa e perorano la causa del rifiuto. Le inducono a tale scelta sciagurata le troppe connivenze con il sistema bancario italiano, a dispetto delle incendiarie dichiarazioni di facciata, la loro incompetenza in materia e la volontà di imbastire una lotta politica… coi soldi dei risparmiatori. Siamo cioè al livello del proverbiale: “Armiamoci e partite!”.

I pochissimi che in Italia scrissero chiaro e tondo che conveniva accettare, fra cui il sottoscritto, furono oggetto di insulti e pubblico dileggio, in particolare sulle pubblicazioni della società editoriale Altroconsumo. Ovviamente accettarono in massa gli investitori istituzionali e si guardarono bene dal consigliare il rifiuto le associazioni di consumatori svizzere, austriache e tedesche (Stiftung Warentest), che sono di tutt’altra pasta.

Caso unico nel mondo, circa la metà dei 450 mila risparmiatori rimase col cerino acceso in mano. Si trovarono sul groppone titoli totalmente infruttiferi e, avendo bisogno di soldi, li hanno dovuti vendere a prezzi stracciati. Nel frattempo la Tfa ne ha inventate di tutti i colori, come un insulso ricorso a un organo internazionale (Icsid), ovviamente senza cavare un ragno dal buco.

Chi aderì all’offerta si ritrova ora tutto sommato con 55 euro ogni cento iniziali. Chi invece accetta la nuova Ops, recupererà circa 47 euro, e sa a chi dire grazie per quanto ci rimette.

Si potrebbe poi aprire un capitolo su quegli avvocati che hanno incassato parcelle, intentando cause perse per chiedere impossibili pignoramenti dei consolati e dell’ambasciata argentini.

Un altro capitolo sui politici. Abbiamo Giorgio Benvenuto, che si fece bello andando inutilmente in Argentina nel 2005; l’allora ministro dell’economia Domenico Siniscalco che vantava (13-1-2005) “l’azione ferma del governo nelle varie sedi internazionali”, di cui però non s’è visto nessun risultato; l’attuale sottosegretario all’Economia Luigi Casero che attribuisce a merito dell’esecutivo la struttura dell’attuale ops, che semplicemente ricalca quella del 2005, ecc.

Ma gli italiani hanno già poca stima della classe politica. Particolarmente biasimevoli sono piuttosto le associazioni di consumatori, soprattutto perché recidive. Qualcuna ne sta fuori, come l’Adusbef, ma la maggior parte dà il suo imprimatur all’altra squalificata iniziativa delle banche italiane, ovvero PattiChiari. Su cui ci sarebbe molto da dire, ma forse basta ricordare che consigliava i titoli Lehman Brothers ancora il 15-9-2008, cioè addirittura a fallimento già conclamato.

Beppe Scienza

il Fatto Quotidiano, 18-6-2010 p. 7

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