Negli ultimi anni si sono susseguite con frequenza le sentenza dei giudici di merito e della Cassazione che hanno affrontato gli obblighi di condotta della banca nei confronti del cliente/risparmiatore nella vendita di valori mobiliari.
Molte sentenze hanno riconosciuto la responsabilità dell'intermediario bancario che non abbia fornito al cliente adeguate informazioni sul rischio di investimento collegato all'acquisto di un prodotto finanziario emesso da soggetto estero, negoziato fuori dai mercati regolamentati e ad elevato rischio di insolvenza.
L'omessa o parziale segnalazione dei rischi da parte dell'intermediario bancario è stata punita dai giudici, i quali hanno sanzionato la carenza organizzativa della banca con l'obbligo di restituire ai risparmiatori le somme investiti in titoli ad alto rischio.
La sentenza n. 1376/2016 della Corte di Cassazione, pubblicata lo scorso 26 gennaio 2016, è innovativa perché rafforza il dovere della banca di valutare con accuratezza se il prodotto finanziario offerto/sollecitato al cliente sia conforme al suo profilo di rischio e alle sue aspettative finanziarie.
L'intervento della Suprema Corte, per quanto faccia riferimento ad un quadro normativo non più esistente, è di interesse perché si spinge ad affermare che se l'intermediario bancario ritiene che vi sia un elevato grado di pericolosità del prodotto finanziario oggetto di negoziazione, deve informare in modo preciso ed appropriato il cliente e, ritenuto il grado di inadeguatezza dello strumento finanziario rispetto al risparmiatore, può spingersi a non vendere il prodotto finanziario.
La Cassazione torna a trattare l'argomento "adeguatezza dell'investimento" spiegando, in un passaggio della sentenza n. 1376/2016, che "In tal senso si
è, peraltro, già da tempo espressa la giurisprudenza di questa Corte,
laddove ha affermato che, in tema di servizi di investimento, la banca
intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l'obbligo di fornire
all'investitore un'informazione adeguata in concreto, tale cioè da
soddisfare le specifiche esigenze dei singolo rapporto, in relazione
alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del
cliente, e, a fronte di un'operazione non adeguata, può darvi corso
soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall'investitore
in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (cfr.
Cass. 17340/2008; Cass. 22147/2010).
A
tal fine, si è - tuttavia - osservato che la dichiarazione resa dai
cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in
ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni
ricevute, della rischiosità dell'investimento suggerito e sollecitato
dalla banca (nella specie in "bond" argentini) e della inadeguatezza
dello stesso rispetto al suo profilo d'investitore, non può - di certo
-costituire dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla
formulazione di un giudizio e non all'affermazione di scienza e verità
di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012). Tale dichiarazione può, al più,
comprovare l'avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione
incombenti sull'intermediario, sempre che sia corredata da una, sia pure
sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione
al profilo dell'investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da
poterne sconsigliare l'acquisto, come nel caso in cui venga indicato
nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da
soggetto in gravi condizioni finanziarie (Cass. 4620/2015).".
E quindi, non è sufficiente la mera dichiarazione di informativa sulla inadeguatezza dell'investimento fornita dal cliente alla banca, per liberare quest'ultima dal dovere di valutazione di adeguatezza dell'investimento.
La banca, spiega la Corte, può anche arrivare a non dare seguito all'ordine di investimento inadeguato al cliente, laddove il livello del rischio, e ci permettiamo di aggiungere il livello delle informazioni a disposizione dello stesso intermediario, siano tali da suggerire anche il recesso dal contratto di borsa.
La Cassazione, sul punto, è chiara nella sua esposizione evidenziando che nell'ipotesi di vendita di bond argentini, oggetto della sentenza, se vi sono specifici rischi devono essere resi noti al cliente e solo dopo vi potrà essere una valutazione di adeguatezza, come spiegato dal giudice in questo passaggio "1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del suo emittente (precisandosi, in particolare, se si tratta di uno Stato, di un ente locale, o di una società privata), non essendo sufficiente la mera indicazione che si tratta di un "Paese emergente"; 3) il rating nel periodo di esecuzione dell'operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali situazioni di grey market, ovverosia di carenza di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo; 5) l'avvertimento circa il pericolo di un imminente default dell'emittente; è configurabile la responsabilità dell'intermediario finanziario che abbia dato corso ad un ordine, ancorché vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso, dal momento che la professionalità del primo, su cui il secondo abbia ragionevolmente fatto affidamento in considerazione dello speciale rapporto contrattuale tra essi intercorrente, gli impone di valutare comunque l'adeguatezza di quell'operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà di recedere dall'incarico, per giusta causa, ai sensi degli artt. 1722, comma 1, n. 3, 1727, comma 1, cod. civ. e 24, comma 1, lett. d) del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (nel testo applicabile ratione temporis), qualora non ravvisi tale adeguatezza"".
Qui di seguito, la sentenza della Corte di Cassazione n. 1376/2016