giovedì 21 aprile 2011

Beppe Scienza: «Tassazione sui fondi comuni: solo briciole dal nuovo regime»

«Tassazione sui fondi comuni:

La Repubblica, 21-03-2011, Affari & Finanza, p. 22



La conversione in legge del cosiddetto decreto Milleproroghe ha abolito la particolare tassazione dei fondi comuni di diritto italiano. Una modifica richiesta da tempo dalle società di gestione e spacciata come vantaggiosa in generale per risparmiatori. Peccato che non sia vero. Peccato anche che, come al solito, i loro pretesi difensori non abbiano battuto ciglio.

Bisogna sapere che dal luglio 1998 è in vigore per i fondi d’investimento una normativa specifica, studiata dall’allora ministro Vincenzo Visco per garantire ai risparmiatori un trattamento fiscale quanto più equo possibile. Questa è la realtà, questo dimostrano i numeri e conferma ciò il fatto che inizialmente gli stessi gestori si erano affrettati a presentarla (a ragione) come uno dei vantaggi del risparmio gestito rispetto al fai-da-te.

Da qualche anno hanno però scoperto che, enfatizzando su qualche esempio estremo, tale normativa poteva diventare il capro espiatorio su cui scaricare le colpe dei loro risultati deludenti e hanno iniziato una campagna contro di essa.

Nella sostanza il meccanismo è semplice. Se uno ha 100 euro in un fondo e questo in un certo periodo rende l’8%, il suo investimento netto non sale a 108 ma solo a 107, perché l’aliquota fiscale del 12,5% viene applicata in modo automatico. Analogamente con una perdita dell’8% non scende a 92 bensì solo a 93 euro, perché l’Erario gli riconosce subito il credito d’imposta sulla perdita, senza che rischi di non riuscire a recuperarlo, come spesso capita. In altri termini i debiti e i crediti fiscali vengono computati già prima che il risparmiatore disinvesta. Per questo si parla di tassazione sul maturato, contrapposta a quella sul realizzato che vale per azioni, reddito fisso ecc., come pure per fondi o simili di diritto estero.

Proprio questa sarebbe la profonda ingiustizia per i clienti dei fondi italiani, sanata solo ora. In effetti la nuova forma di tassazione, in vigore dal 1-7-2011, spesso cambierà pochissimo, in alcuni rari casi fortunati converrà ai risparmiatori e non di rado li danneggerà.

 
Dati sul passato. Merita calcolare l’incidenza dell’attuale sistema di tassazione, tanto vituperato, dalla sua introduzione a fine 2010. Se un meccanismo è pernicioso, nell’arco di 12 anni e mezzo lo si deve vedere. Invece si scopre che con la tassazione sul realizzato i clienti dei fondi comuni italiani avrebbero ottenuto mediamente uno 0,811% anziché lo 0,806% annuo netto. Ma un risparmio annuo dello 0,005% è impercettibile: su 100 mila sono pochi spiccioli (5 euro l’anno), a fronte per altro di costi e minus di gestione di migliaia di euro.

Per giunta ciò varrebbe in assenza di passaggi da un fondo a un altro, frequentissimi in particolare nelle costose e opache gestioni patrimoniali in fondi (gpf); e in tutti i casi di perdita il recupero del credito d’imposta spesso sarebbe andato perso.

Uno sguardo al futuro. Vogliamo essere ottimisti e ipotizzare per esempio un rendimento del 4% lordo composto per cinque anni o addirittura una performance complessiva dell’80% (!) in dieci anni (vedi tabella). Ebbene il vantaggio della nuova tassazione sul realizzato ammonterebbe a un irrisorio 0,03% o a un modestissimo 0,15% annui, numeri sempre molto inferiori ai minori rendimenti o maggiori perdite subiti dai clienti dei fondi comuni. 

Altre ingiustizie. Fermo restando che la normativa in vigore per i fondi italiani era ottima (e alcuni problemi come i crediti cumulati si potevano risolvere senza buttarla a mare), altre sarebbero le iniquità fiscali da eliminare, bellamente ignorate dai tanti sedicenti paladini dei consumatori-risparmiatori. Ne possiamo citare due nell’ambito la previdenza integrativa. La prima riguarda chi riscuote il capitale finale, c.d. montante, di un fondo pensione con una perdita fiscalmente non recuperata, come è capitato a molti andati in pensione a fine 2008 o nel 2009. Ebbene, l’imposta relativa a tale perdita lui non la recupererà in nessun modo, perché non gli viene riconosciuto nessun credito.

La seconda tocca chi incassa il capitale a scadenza di una polizza vita, ottenendo meno di quanto versato. Anche a lui non viene neanche riconosciuto un credito d’imposta da scalare a fronte di guadagni successivi. La normativa specifica (Legge n. 482 del 26-9-1985) risale infatti alle polizze rivalutabili, non esposte al rischio di minusvalenze nominali, a meno di un crac della compagnia d’assicurazione. Ma da anni con le polizze index-linket o unit-linked le perdite sono frequenti.

In entrambi casi è evidente l’ingiustizia rispetto a chi mette i propri risparmi in titoli di stato, azioni ecc. o anche in fondi o gestioni.




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