domenica 28 maggio 2017

Uber - a che punto siamo?

I fogli d’informazione giuridica online, alla caccia dell’ultima pronuncia depositata in cancelleria, hanno dato notevole risalto (sottolineiamo: forse troppo) alle (scontate) inibitorie dei “servizi auto Uber” sul territorio italiano, pronunciate a macchia di leopardo da vari tribunali (v. tribunale di Milano, nonchè di Roma e Torino).

Invero, il giudice romano ha deciso di riabilitare parzialmente il servizio di Uber (Uber black) con la recente ordinanza del 26 maggio 2017 che potete leggere in fondo a questo intervento.

Esulando, per un momento, dal merito di queste pronunce, ci pare più opportuno fare riflettere i lettori sul modello economico applicato dalla società Uber, più che sul settore di mercato su cui opera ed insiste (nel caso di specie, il trasporto urbano) e sulle vicende ultime di “cronaca giudiziaria” di più immediato clamore. In altre parole, vorremmo proporre una breve disamina del modello di economia condiviso che, da diverso tempo, si sta diffondendo in vari paesi occidentali e che, spesso, è poco compreso od esaminato dalle istituzioni.

- Il quadro generale: la "sharing economy"
Cosa significa “sharing economy” (e parole somiglianti come “peer to peer” o “collaborative economy”)? L’espressione è molto utilizzata da quando nei paesi occidentali il wi-fi si è diffuso capillarmente e società pioniere hanno inventato e diffuso, in rete, piattaforme di condivisione: dapprima facebook, dal 2004, ha messo in contatto sullo spazio virtuale milioni di persone istantaneamente; quindi altre imprese, esaminando le opinioni e i gusti delle persone, hanno predisposto, a loro volta, delle piattaforme di scambio e condivisione in tempo reale di beni e servizi su internet.

L’aspetto più interessante ed inedito del fenomeno è che per la prima volta si utilizza in modo massiccio internet per creare dei veri e propri “mercati virtuali”. Questo sistema, se vogliamo molto semplice, è stato poi “riversato”, in modo ricorrente per concetto, nei più disparati settori di mercato: dal trasporto in automobile urbano (v. Uber) a quello nazionale ed internazionale in auto (v. Blablacar); dal settore dell’intermediazione immobiliare (v. Airbnb) a quello del mercato bancario e creditizio (v. Paypal, social lending).

In altre parole, è sufficiente per l’impresa individuare uno specifico settore di mercato, meglio se con alta densità di domanda e offerta, ed inserirsi lanciando una piattaforma che costituisce un “luogo di incontro” e di “intermediazione” tra le persone alla pari.

Dal punto di vista giuridico, l’impresa che offre lo spazio nel quale le parti trattano e concludono contratti svolge una mera attività di mediazione o, meglio, offre uno spazio nel quale sono le parti a trattare e concludere contratti; pertanto, tende a non rispondere per gli inadempimenti contrattuali delle parti contraenti.


- I servizi di Uber

Uber Technlogy Inc. è una società creata nel 2009 che ha sviluppato un particolare modello di economia collaborativa, predisponendo un'applicazione che consente di collegare colui che offre un servizio di trasporto con i potenziali clienti.

Uber  è famoso per aver previsto una sorta di servizio taxi alternativo offerto da soggetti privi di qualifica, ingenerando molte polemiche da parte di coloro che offrono tale servizio seguendo la normativa nazionale.

Le applicazioni Uber sono tre:

  • Uber black: è il più famoso e consiste in un servizio di noleggio con autista attraverso la prenotazione con applicazione (trattasi di servizio di noleggio con conducente);
  • Uber x: servizio meno famoso, sempre di noleggio con conducente, ma con veicoli ordinari;
  • Uber POP: è il servizio di trasporto di privato verso privato, ove un privato che percorre un tratto può, al fine di dividere le spese, offrire un posto auto ad altro privato che percorre lo stesso percorso.

- Interrogativi sul "car sharing"
Il “sistema di condivisione” descritto fino ad ora per sommi capi è molto innovativo: non colpisce che siano espanse così rapidamente imponenti imprese multinazionali e con forti barriere all’ingresso. Il loro punto di forza sta nell’avere individuato prima di altri la redditività del modello, di averlo applicato su larga scala, di avere introdotto delle barriere per non consentire ad altre imprese di replicare il loro sviluppo e, nella specie, di avere modeste immobilizzazioni materiali, limitate ad uffici e sedi operative.

Uber è tra quelle multinazionali che rientrano in pieno nello schema e che, dal 2010, operano nel settore automobilistico, con diverse sedi operative in stati europei e, con polemiche e controversie giudiziarie a valle, anche in Italia.

Tanto premesso, è opportuno porsi questo interrogativo: fino a che punto la “sharing economy”, come modello, può diffondersi liberamente in settori di mercato già regolamentati e stabilizzati?
La domanda non ha chiare risposte, e un esempio lo può dimostrare facilmente.

Pensiamo alla questione di Uber, la quale, per i tribunali italiani, insiste chiaramente sul settore del traporto automobilistico già coperto dai taxi. Da un lato, quindi, vi sono i tassisti italiani: notoriamente, per prestare il servizio di taxi di linea, la legge italiana impone oneri assicurativi obbligatori, requisiti di competenza e professionalità certificati e la licenza; dall’altro lato, vi sono “autisti Uber” che svolgono il servizio, di fatto, con continuità e senza alcun onere assicurativo o requisito professionale (anzi, in Uber si svolgono perlopiù servizi ripetitivi e ad immediata domanda del consumatore).

Nell’esempio appena delineato, si osservano almeno due cose.

(1)  Una distinzione poco chiara tra chi è il professionista e chi è il consumatore: l’autista Uber, infatti, si contraddistingue perché risponde alle esigenze immediate e di breve termine del consumatore. Peraltro, la piattaforma predisposta da Uber è munita di pagine per il riscontro e l’apprezzamento dell’autista da parte del consumatore (i c.d. feedback). In altre parole, sono gli stessi utenti a stabilite chi ha operato con professionalità e, quindi, a divulgare informazioni nel mercato. Questo sistema, in qualche modo, è potenzialmente in grado di sopperire alle famose “asimmetrie informative” e a “bypassare” un compito in generale demandato allo stato o alle associazioni di categoria.

(2)
  Un abbassamento, nel complesso, dei costi e delle tariffe, anche se, talora,  a discapito delle garanzie offerte a posteriori nell’espletamento del servizio. Si assiste, insomma, ad una “corsa verso il basso” del prezzo che, da un lato, giova per il risparmio del consumatore ma, dall’altro, gli toglie garanzie che parzialmente vengono raggiunte tramite il feedback (v. sopra).


Si ritiene, pertanto, che la questione non debba essere esaminata soltanto dal punto di vista degli interessi cogenti di coloro che già operano con una rendita di posizione (è il caso classico del tassista che “acquista” la licenza dal Comune: in questo modo, si costituisce inevitabilmente una barriera all’ingresso di ulteriori tassisti) quanto, piuttosto, dell’interesse aggregato (si badi bene: aggregato) del consumatore-produttore di un servizio condiviso online e trasferito nell’economia reale.

- Il punto della giurisprudenza di merito
Alla luce della disamina svolta, è possibile inquadrare con più consapevolezza le recenti pronunce del Tribunale di Roma e, da ultimo, di Torino, le quali, com’è già noto, confermano la linea della sospensiva ed inibitoria del servizio Uber, già calcata dal Tribunale di Milano nel 2015 (v. Ordinanza Tribunale di Milano, relatore Marangoni).

  • Tribunale di Roma - ordinanza del 7 aprile 2017

Veniamo alla recente Ordinanza del Tribunale di Roma, emessa dalla IX sezione civile il 07/04/2017 (di seguito l’ordinanza) su ricorso ex art. 700 c.p.c. avanzato dalle Associazioni di categoria rappresentative dei tassisti. 

Il quadro normativo di riferimento “fotografato” dal Tribunale di Roma (il quale da subito chiarisce che il suo compito non è quello di regolare od implementare la concorrenza in un settore che andrebbe regolato in senso più concorrenziale, quanto quello di applicare il diritto vigente) è ancora quello rappresentato dalla legge quadro n. 21/1992, non potendosi applicare al caso di specie le successive modifiche intercorse, poiché ritenute sospese.

In tal senso, il taxi di linea e di noleggio con conducente costituiscono due tipologie di servizio di trasposto alternative a quello pubblico, la cui organizzazione è demandata al Comune o alla Regione.

Con riguardo ai tassisti, è il Comune ad individuare, con bando pubblico e attribuzione della licenza, i soggetti che dispongono di requisiti  certificati di professionalità (superamento di appositi esami) e che dispongono della copertura assicurativa; quindi assegna autorimesse e postazioni fisse per i taxi. L’ambito di azione dei taxi è intra urbano.

Il sistema di comunicazione radio dei tassisti è gestito, perlopiù, dagli organi competenti, come pure le tariffe, che sono determinate in via amministrativa.

Con riguardo al sistema di noleggio con conducente, l’autorizzazione è data dalla Regione ai soggetti che abbiano il mezzo, nonché requisiti di professionalità di legge. In questo caso, tuttavia, le tariffe sono concordate al dettaglio e il servizio può essere prestato senza limiti territoriali.

Tanto premesso, il Tribunale di Roma ha evidenziato che il servizio Uber si orienta verso la stessa platea di consumatori del servizio di taxi di linea e di noleggio con conducente; non solo, Uber non svolgerebbe soltanto un ruolo di intermediario, ma definirebbe indirettamente le tariffe per il trasporto con finalità di lucro proprio, nonché del conducente affiliato ad Uber.
Infine, la corte romana sottolinea come il servizio Uber, a fronte di costi ridotti, non presti le medesime garanzie assicurative proprie dei tradizionali servizi di taxi o a noleggio con conducente.

In conclusione, ravvisa la fattispecie di concorrenza sleale cui all’art. 2598, n. 3 c.c. e, per l’effetto, sospende l’attività di Uber sul territorio.

  • Tribunale di Roma - ordinanza del 26 maggio 2017
Il giudice romano ha, con il recentissimo provvedimento che potete leggere di seguito, riabilitato Uber black, evidenziano la carenza dei presupposti per il provvedimento di urgenza con blocco del servizio offerto dalla società americana.

L'aspetto più rilevante del provvedimento è quello ove viene evidenziata la necessità di un intervento da parte del legislatore volto a colmare un chiaro vuoto legislativo, contemperando le diverse esigenze in campo: "l'esigenza di un (urgente) intervento del legislatore finalizzato ad una riforma complessiva del settore in oggetto, che tenga conto sia dell'interesse del consumatore all'incremento dell'offerta - sotto il profilo quantitativo e qualitativo e in relazione alla possibile riduzione dei prezzi dei servizi - reso possibili dai fenomeni di allargamento e diversificazione della relativa offerta, derivanti anche dallo sfruttamento delle nuove tecnologie, sia dall'interesse dei titolari di licenze per l'esercizio del servizio taxi ad evitare pregiudizi di carattere economico in relazione alla perdita del valore dei titoli abilitativi che conseguirebbe ad un'eventuale apertura del mercato a nuovi soggetti, oltre che dal legislatore del 2017, anche dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato [...]".

Il Tribunale di Roma ha individuato, in ultima istanza, il difficile punto di mediazione dei diversi interessi che, in questa vicenda, si sono  posti in contrasto, e che solo il nostro legislatore può risolvere. 

- Considerazioni finali
Come si è più volte affermato nel corso dell’intervento, la giurisprudenza che si pronuncia a macchia di leopardo con inibitorie è la prevedibile e logica conseguenza della lentezza da parte del legislatore di regolare il fenomeno, cogliendone l’essenza.

La giurisprudenza, d’altronde, non può che applicare la disciplina che regola il settore dei taxi e del trasporto con conducente, la quale è pressoché ferma agli anni novanta e, se vogliamo, risente di un’impostazione dirigistica che, tuttavia, non sempre tutela la qualità e l’economicità del servizio.

Ben vengano, dunque, nuove forme di trasporto (e di sistema di economia).

La questione, infatti, non è tanto quella di costituire una ennesima categoria “protetta” tramite barriere all’ingresso, con limiti e modalità di esercizio, quanto quella di riuscire ad assecondare la diffusione di questo modello di incontro della domanda ed offerta, prevenendo la formazione di concentrazioni e monopoli. È apodittico, infatti, che il monopolio o la concentrazione contraddirebbero la ragione stessa di questo modello di economia condiviso, poiché sarebbe il monopolista a stabilire quali tratte coprire e quali soglie di prezzo imporre, e ciò a danno del consumatore.

Si ritiene, pertanto, che il dettato normativo debba inevitabilmente tenere conto, da un lato, di assecondare la naturale tendenza dell’economia condivisa e, dall’altro, prevenire che la tradizionale formazione di monopoli, a danno dello stesso consumatore.

Per il resto, resta evidente che la questione non può ridursi a semplici e reiterate inibitorie da parte della corte di merito di turno, replicabili in tutti quei settori ove una multinazionale che adotta il modello di economia condivisa vada ad intaccare in Italia un settore regolamentato.

Qui il provvedimento del Tribunale di Roma.

Uber black - Tribunale di Roma by Consumatore Informato on Scribd

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