Fonte: Fatto Quotidiano 4-5-2017 |
È vero che gl'italiani hanno un'idiosincrasia per le tasse. Ma è giustificata l'irritazione di un piccolo risparmiatore colpito da un'imposta a fronte di un rendimento nullo, se non peggio. Sopra i 5.000 euro si paga infatti il bollo dello 0,2% annuo su titoli di Stato, obbligazioni, azioni ecc. Subiscono tale balzello per esempio i Btp 1-5-2019 con un rendimento netto a scadenza già negativo, ai prezzi attuali. Ma il bollo viene applicato anche su conti correnti, libretti ecc., in particolare nella misura fissa di 34,2 euro l'anno, sempre a prescindere dagli eventuali costi di tenuta conto. Su seimila euro tale patrimoniale abbatte quindi il capitale dello 0,57%, cioè praticamente quanto l'odiatissimo prelievo del Governo Amato.
Fermo restando che gli impieghi sicuri offrono ormai tassi bassissimi o negativi, pochi sanno che esiste un modo per evitare almeno che i risparmi accantonati risultino decurtati dall'imposta di bollo, oltre all'ovvia e ragionevole alternativa di tenerli in contanti. Tale soluzione è offerta dai buoni fruttiferi postali (BFP), usando l'accortezza di riscattarli prima della scadenza qualora gli interessi maturati non coprano almeno i bolli.
La cosa è poco nota, anche perché affermano il contrario sedicenti consulenti e associazioni di consumatori; persino molti impiegati delle Poste allargano sconsolati le braccia, ammettendo (a torto!) che è così: al bollo del 2 per mille non si sfugge neppure a fronte di interessi nulli. Invece si sfugge, perché una clausola nei regolamenti delle emissioni di BFP considera appunto l'eventualità che il valore di riscatto risulti inferiore al capitale versato proprio a causa dei bolli. E in tal caso le Poste integrano quanto basta per evitare la seppur minima perdita nominale. All'occorrenza basterà quindi monetizzare i buoni anche solo pochi giorni prima della scadenza.
Non esiste invece nessuna analoga clausola di salvaguardia per i libretti postali né tanto meno per i conti correnti bancari.
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