domenica 13 gennaio 2019

La cucina presenta dei difetti? errori da evitare per ottenere il risarcimento del danno

Questa domenica torniamo ad affrontare un tema molto caro ai consumatori, ossia il diritto ad ottenere il risarcimento del danno, nel caso in cui un mobile (esempio cucina, armadio od altro) presenti dei vizi e/o difetti di conformità.

Molti ritengono che in tali casi, ossia in ipotesi di difetto di conformità ex artt. 128 e seguenti del Codice del Consumo, la società venditrice sia chiamata a rispondere in via automatica alla richiesta di risarcimento del danno avanzata dal consumatore.

A ben vedere, le regole che disciplinano la materia non prevedono alcun automatismo in favore del consumatore nel caso di difetto di conformità.

L'art. 130 comma 2 del Codice del Consumo dispone che il consumatore, nel caso di difetto di conformità,  ha diritto al ripristino della conformità (ossia il venditore deve riparare il bene consentirne l'uso per il quale è stato acquistato), oppure all'indennizzo in favore del cliente (riduzione del prezzo) o, ipotesi più estrema, alla risoluzione del contratto.

La risoluzione del contratto (restituzione dei soldi + risarcimento del danno) è ipotesi residuale ed estrema, ossia ricorre solo quando non sono percorribili le altre ipotesi e, in ogni caso, nel caso di grave inadempimento o volontà del venditore di non provvedere alla riparazione o indennizzo (vedasi art. 130 comma 7 Codice del Consumo).

E questo è il caso affrontato dal Tribunale di Savona, al quale si è rivolto una consumatrice ligure per chiedere la risoluzione del contratto, con conseguente restituzione del prezzo e risarcimento del danno.

Nel caso di specie, la consumatrice aveva acquistato una cucina da una grossa società venditrice, la quale aveva consegnato il mobile con notevole ritardo.

All'atto del montaggio, erano emersi alcuni gravi difetti/carenze tali da rendere la cucina non conforme a quella pattuita tra le parti, presentando anche errori e, secondo quanto lamentato dall'acquirente, non montata a regola d'arte.

La consumatrice si era rivolta al Tribunale di Savona, chiedendo la risoluzione del contratto di acquisto e il risarcimento dei danni sofferti a causa degli errori in cui erano incorsi il venditore e il produttore.

Il Giudice ligure ha ritenuto che, nonostante l'evidente inadempimento da parte del venditore, la consumatrice non potesse ottenere la risoluzione del contratto per difetto di conformità del bene.

Il discutibile ragionamento seguito dal giudice, prende le mosse dall'art. 130 del Codice del Consumo che prevede una gradazione delle soluzioni previste in questi casi: "il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all'art. 130 appena menzionato, i quali, però sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: costui potrà, in primo luogo, proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene (rimedi primari) e, solo in secondo luogo, nonchè alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere la risoluzione del contratto (rimedi secondari).

L’art. 130 cod. cons. preferisce, quindi, gli strumenti correttivi o sostitutivi, quali la riparazione o la sostituzione, rispetto alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione. Il legislatore, in sostanza, manifesta il suo favor per la conservazione del rapporto obbligatorio originariamente costituito. Trattasi di una soluzione equilibrata che salvaguarda le opposte esigenze: l’interesse del compratore di avere un bene conforme e quello del venditore di far salvo l’affare concluso e di liberarsi dall’obbligazione assunta.".

E quindi, secondo il ragionamento seguito dal giudice, il venditore deve proporre all'acquirente la seguente griglia di soluzioni al difetto di conformità:

1. riparazione della cucina (entro un termine congruo);
2. riduzione del prezzo (indennizzo);
3. risoluzione del contratto.

Nel caso affrontato dal Tribunale di Savona, la consumatrice non aveva seguito tale criterio, sicché nel momento in cui il venditore si era offerto per la riparazione della cucina (entro due giorni dalla consegna) si era limitata a respingere tale soluzione, chiedendo invece l'immediata risoluzione del contratto.

Tale condotta non può, come si legge nella sentenza, essere tenuta dal consumatore, il quale può ottenere la riparazione o l'eventuale riduzione del prezzo da parte del venditore: solo in ipotesi estreme, il consumatore può richiedere la risoluzione del contratto solo dopo essersi invano rivolto al venditore per ottenere le altre due soluzioni "conservative del contratto".

La sentenza è chiara nell'indicare la strada che deve seguire il consumatore, il quale "[…] non potrà derogare a questa gerarchia, perché, nelle intenzioni del legislatore, la sostituzione o la riparazione dovrebbero già integralmente risarcirlo dei danni subiti per il difetto di conformità: il risarcimento per equivalente potrà quindi essere richiesto o in funzione integrativa rispetto ai rimedi in forma specifica, per i danni che non potessero essere da questi risarciti, ovvero contestualmente alla richiesta di risoluzione o di riduzione del prezzo, una volta accertata l'impossibilità o l'eccessiva onerosità di procedere alla riparazione o alla sostituzione.

Per questa ragione, cioè per tale identità funzionale esistente tra i rimedi primari ed il risarcimento, si deve ritenere che l’azione di risarcimento possa essere liberamente esperita, solo dopo la richiesta di sostituzione o di riparazione, con gli stessi limiti dell’azione di risoluzione o in caso di danni persistenti in caso di riparazione o sostituzione (cioè di quei danni che non sarebbero eliminati da tali rimedi), di ritardo o rifiuto da parte del venditore.[…]".

Per tale ragione, non avendo la consumatrice seguito lo schema sopra proposto, la domanda di risarcimento è stata respinta dal Tribunale di Savona.

Cosa fare nel caso di difetti del mobile acquistato o di ritardo nella consegna?

A) rivolgersi al venditore chiedendo i rituali chiarimenti ed eventualmente evidenziando sin da subito i difetti riscontrati;
B) successivamente, inviare comunicazione scritta con la quale chiedere la sostituzione del prodotto difettato e/o una riduzione del prezzo;
C) nel caso in cui il venditore non si attivi in modo tempestivo per riparare il prodotto, si potrà eventualmente chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.


Qui di seguito, la sentenza del Tribunale di Savona dello scorso 15 settembre 2018.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI SAVONA

In persona del giudice unico dott. Fabrizio Pelosi
ha pronunciato la seguente
sentenza
nella causa tra:
M. N., difesa dall’avv.to XXXXXX per delega in calce alla citazione.
Attore
CONTRO
B.M. rappresentata dall’avv. XXXXXX per delega allegata alla comparsa.
Convenuto
E CONTRO
L. Industries srl, difeso dall’avv. XXXX e dall’avv. XXXXX per procura allegata alla comparsa
convenuto



CONCLUSIONI DELLE PARTI

PER PARTE ATTRICE: “Piaccia al Tribunale di Savona, contrariis reiectis, in accoglimento di quanto affermato in narrativa dalla conchiudente, previa ammissione delle istanze istruttorie dedotte, nonché previa acquisizione degli atti relativi alla procedura di ATP n. 829/2016 .R.G. Trib. Savona e previa reiezione dell’eccezione di tardività della denuncia dei vizi: 1) accertare e dichiarare l’esistenza dei vizi riscontrati dal CTU geom. M.G. nella procedura di ATP n. 829/2016 RG Trib. Savona, all’interno dell’immobile sito in Spotorno (SV) alla Via L. 33/4 di proprietà della dott.ssa M. N., adibito a uso abitativo, con particolare riferimento alla cucina e al mobilio di marca L. oggetto della presente causa; 2) accertare e dichiarare il grave inadempimento di C. – B.M. S.r.l. di Savona e della L. Industries S.r.l. e, conseguentemente, dichiarare la risoluzione del contratto di fornitura e posa dei beni mobili di cui alla scrittura del 09.11.2015 stipulata tra la conchiudente e C. – B.M. S.r.l. di Sa-vona, venditore autorizzato L. Industries S.r.l.; 3) dichiarare tenuti e, conseguentemente, condannare C. – B.M. S.r.l. di Savona e la L. Industries S.r.l. per i motivi meglio visti in narrativa, anche a titolo di risarcimento del danno, al rimborso delle somme tutte pagate dall’attrice per la procedura di ATP n. 829/2016 R.G. Trib. Savona, per spese legali pari a € 2.048,70, di consulenza tecnica d’ufficio pari a € 1.268,19, nonché per perizia di parte pari a € 444,08 per una somma complessiva paria a € 3.760,97, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; 4) dichiarare tenuti e, conseguentemente, condannare C. – B.M. S.r.l. di Savona e la L. Industries S.r.l. per i motivi meglio visti in narrativa, al pagamento di tutti i danni patiti e patiendi, anche morali, dalla sig.ra M. N., nella misura emergenda in corso di causa e, comunque, stabiliti in via equitativa, per l’inutilizzabilità della cucina per cui è causa collocata nell’immobile di lei proprietà sito in Spotorno alla Via L. 33/4, a causa dei gravi vizi, della difformità del materiale fornito nonché della mancata consegna di alcuni elettrodomestici, di cui in narrativa, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; 5) dichiarare tenuti e, conseguentemente, condannare C. – B.M. S.r.l. di Savona e la L. Industries S.r.l. alla refusione nei confronti della dott.ssa N. delle somme dalla stessa versate ai tecnici e professionisti intervenuti presso la di lei abitazione al fine dello smontaggio della cucina L., quanti-ficati in € 2.340,52 salvo errori e/o omissioni, nonché alla refusione delle somme inerenti il deposito della cucina per cui è causa presso un magazzino a far data dal marzo 2017 sino all’effettivo sgombero dello stesso per ritiro della cucina ad opera delle controparti, canone di locazione / occupazione stimabile in € 500,00 mensili, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; 6) protestate spese, diritti ed onorari".


PER B.M.: “Voglia l’Ill.mo Tribunale di Savona, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, Accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva della B.M. srl con riferimento qualsiasi danno eventualmente provato da parte attrice con riferimento alla fase di trasporto e montaggio della cucina componibile L.;
In via istruttoria, ammettere la prova per interpello e testi sui capitoli di prova dedotti nelle memorie ex art. 183 VI comma n. 2 e n. 3 c.p.c. con relativa indicazione dei testimoni.
Nel merito, respingere qualsiasi domanda formulata da parte attrice e assolvere B.M. srl da qualsiasi pretesa avversaria.
Respingere, quindi, la domanda di risoluzione del contratto;
Respingere tutte le domande di qualsiasi risarcimento dei danni e di rimborso spese avanzate da parte attrice, comprese quelle di ATP.
In ogni caso, accertare e dichiarare quanto previsto dall’art. 1227 c.c. e respingere ogni domanda attorea.
Condannare parte attrice al pagamento delle spese di causa e competenze professionali a favore della B.M. srl


PER L.: “Voglia codesto Tribunale, disattesa ogni contraria istanza, rigettare in tutto, o, eventualmente, in parte, le domande proposte contro L. Industries s.r.l. per le ragioni tutte di cui ai suoi atti difensivi; vittoria di spese e competenze di causa”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il 9 novembre del 2015, M. N. acquistò da B.M. srl una cucina fornita da L. Industries srl, per il prezzo complessivo di euro 17.900,00.

Nell’ordine, fu specificato che la consegna sarebbe intervenuta tra il 26 dicembre del 2015 ed il gennaio del 2016.

La cucina fu, poi, consegnata e montata il 13 febbraio del 2016.

La sig.ra N. ha lamentato che la cucina non era conforme a quanto da lei acquistato e che presentava una serie di difetti e, comunque, non era stata montata a regola d’arte, secondo quanto meglio descritto nella ctp prodotta e, poi, nell’atp cui aveva dato corso.

Ha, quindi, promosso il presente giudizio, citando in giudizio sia B.M. che L., sostenendo la responsabilità del venditore alla luce della normativa di cui al codice del consumo, in quanto questi aveva consegnato un bene non conforme.

Ha chiesto, quindi, la risoluzione del contratto di acquisto.

L’attrice, inoltre, ha chiesto il risarcimento dei danni subiti sia nei confronti di B.M. che nei confronti della L., in quanto indotta all’acquisto dalla serietà e dalla notorietà dell’impresa fornitrice della cucina la quale aveva indicato il negozio di B.M. quale proprio punto vendita.

Entrambi i convenuti si sono costituiti in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande proposte nei loro confronti.

La causa è stata istruita unicamente con prove documentali.

All’esito, le parti hanno precisato le conclusioni come in epigrafe.

1.      La domanda di risoluzione del contratto di acquisto della cucina 
Risulta pacifico che:

a.      L’attrice è da qualificarsi consumatrice;
b.     La cucina è un bene di consumo;
c.      La B.M. è venditore ex art. 128, co. 2 lett. b), Dlgs 206/05;
d.     I difetti denunciati e riscontrati dal ctu in sede di atp sono riconducibili al difetto di conformità.

In estrema sintesi, quindi, non è dubbio che, nel caso di specie, sia applicabile la disciplina posta dal titolo III, capo I del Dlgs 206/05, normativa invocata da parte attrice.

L’art. 130 del cod. cons. prevede che “il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi 3, 4, 5 e 6, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi 7, 8 e 9”.

Il comma 7 prevede, poi, quanto alla risoluzione, che questa può essere richiesta “ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 5; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore”.

Dalla lettura della normativa sopra richiamata emerge, in sostanza, un ordine gerarchico tra i rimedi utilizzabili dal compratore in caso di difetto di conformità del bene.

Dunque, il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all'art. 130 appena menzionato, i quali, però sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: costui potrà, in primo luogo, proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene (rimedi primari) e, solo in secondo luogo, nonchè alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere la risoluzione del contratto (rimedi secondari).

L’art. 130 cod. cons. preferisce, quindi, gli strumenti correttivi o sostitutivi, quali la riparazione o la sostituzione, rispetto alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione. Il legislatore, in sostanza, manifesta il suo favor per la conservazione del rapporto obbligatorio originariamente costituito. Trattasi di una soluzione equilibrata che salvaguarda le opposte esigenze: l’interesse del compratore di avere un bene conforme e quello del venditore di far salvo l’affare concluso e di liberarsi dall’obbligazione assunta.

Questo significa che solo quando la sostituzione o la riparazione siano impossibili o eccessivamente onerose, oppure il venditore non abbia riparato o sostituito il bene in un congruo termine dalla richiesta, o, da ultimo, quando la sostituzione o la riparazione effettuata abbia arrecato notevoli inconvenienti al consumatore, questi può richiedere, sempre a sua scelta, la risoluzione del contratto (o in alternativa la riduzione del prezzo).

Se il consumatore non rispetta l’ordine gerarchico dei rimedi, proponendo sin da subito la domanda di risoluzione, la conseguenza è l’inammissibilità della domanda proposta, ove eccepita dal convenuto (Trib. Trani, 21/03/2017, n. 615 in Leggid’Italia; Trib. Roma Sez. III, 22-02-2016, in Pluris/Cedam, 2017; Trib. Prato Sez. Unica, 14-04-2014, in Pluris/Cedam, 2017; Trib. Piacenza, 14-01-2014, in Pluris/Cedam, 2017; Trib. Genova 29 dicembre 2008, in Nuova giur. ligure, 2009, I, 22 Trib. Milano 8 settembre 2008, in Arch. loc. e cond., 2009, 382).

L’eccezione di parte convenuta non può certo dirsi tardiva in quanto non proposta nel procedimento di atp, come sostenuto da parte attrice: infatti, tale procedimento non produce alcuna preclusione nel successivo giudizio di merito.

Non rileva, poi, che il c.c. preveda la risoluzione come rimedio esperibile in via primaria.

Infatti, laddove ricorrano i presupposti per l'applicazione della disciplina sulla vendita dei beni di consumo di cui al D.Lgs. n. 205/2006, si deve far riferimento a tale disciplina – per quanto da essa previsto espressamente- e non a quella della vendita in generale, di cui agli artt. 1490 ss. c.c., costituendo la prima norma speciale rispetto alla seconda.

In altri termini, va esclusa la possibilità per il consumatore di scegliere di volta in volta la disciplina da applicare, secondo le convenienze del caso concreto, dovendo sempre trovare applicazione la disciplina speciale in materia di contratti di vendita di beni di consumo, salva la possibile integrazione con le norme del codice civile in caso in cui manchi su un punto particolare una specifica regolamentazione (Trib. Roma Sez. III, 10-09-2012, in Pluris/Cedam).

Tale conclusione è stata criticata da una parte della dottrina, sul presupposto che, in tal modo, si creerebbe una disciplina speciale più sfavorevole per il consumatore rispetto a quella ordinaria prevista dal c.c.

Inoltre, l’interpretazione qui proposta sarebbe incompatibile con il disposto dell’art. 135 cod. cons. che stabilisce che le disposizioni sopra richiamate “non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico”, tra cui, quindi, andrebbe ricompresa l’azione di risoluzione esperibile liberamente.

Tuttavia, tali critiche non convincono.

Non sussiste alcun indebolimento della tutela dell’acquirente da parte della normativa speciale nell’assoggettare l’esperimento dell’azione di risoluzione alla riparazione o alla sostituzione, ove si consideri che il cod. cons. prevede un rimedio ulteriore rispetto a quelli previsti dal c.c., quale l’azione di esatto adempimento sotto forma di riparazione o sostituzione, azioni non esperibili in materia di vendita ordinaria.

Quanto, poi, all’imposizione al consumatore di attendere prima la riparazione o la sostituzione e solo dopo poter esperire l’azione di risoluzione, a ben vedere, si tratta di una specificazione del dovere di buona fede ex art. 1375 c.c.: se il compratore può, comunque, ottenere un bene non difettoso, proprio grazie ai rimedi speciali, non c’è alcuna valida ragione per cui questi debba sciogliere il contratto.

Inoltre, non è estranea al c.c. la previsione della possibilità per il debitore inadempiente di avere una seconda chance per evitare lo scioglimento del rapporto: si pensi all’art. 1454 c.c.

In sostanza, il legislatore ha contemplato il ripristino della conformità come rimedio idoneo alla salvaguardia degli interessi di entrambe le parti, salvaguardia cui entrambe le parti sono tenute, nella misura in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrifico del proprio interesse contrattuale.

Inoltre, l’art. 135, co. 1, del cod. cons. non indebolisce l’interpretazione qui proposta.

Tale disposizione, infatti, si riferisce a quei diritti diversi da quelli riconosciuti dalla normativa speciale e non riguarda, quindi, il diritto alla risoluzione, come confermato dal co. 2 dell’art. 135 cod. cons., secondo cui la disciplina del c.c. verrà in rilievo per i diritti disciplinati dal titolo in commento solo per quanto non previsto da tale normativa.

La conclusione è, inoltre, pienamente conforme all'art. 8, 1° co., dir. 99/44/CE: il legislatore europeo, infatti, aveva avuto cura di precisare che tale normativa non avrebbe dovuto pregiudicare “l'esercizio di altri diritti”, necessariamente diversi da quelli già disciplinati con la direttiva e relativi, in particolare, alla responsabilità contrattuale od extracontrattuale, appunto priva di regolamentazione specifica nell'ambito della direttiva.

Nel caso di specie, con e mail del 15 febbraio del 2016 (allegata alla memoria ex art. 183 n. 2 c.p.c.), l’attrice richiese alla venditrice di intervenire per eliminare i difetti.

Successivamente, con la missiva prod. 5 di parte attrice, datata 26 febbraio 2016, la donna chiese la restituzione di quanto pagato, considerando il contratto già sciolto.

Seguì la risposta di Brescia Immobili (datata 3 marzo 2016) che si dichiarò pronta ad intervenire, fornendo gli utensili e gli elettrodomestici non consegnati e sostituendo i pezzi difettosi (prod. 4 di parte convenuta).

Non sappiamo se Brescia mobili rispose alla e mail del 15 febbraio.

In comparsa, comunque, Brescia mobili ha sostenuto che erano necessari 2 giorni per provvedere al montaggio della cucina, ma che i montatori erano stati cacciati dopo un solo giorno, per cui nessun inadempimento era configurabile; ha, poi, affermato di aver cercato di recarsi presso l’abitazione attorea, nei giorni immediatamente successivi alla consegna, per porre rimedio alle problematiche denunciate, fissando anche un appuntamento a tal fine, ma di aver ricevuto l’opposizione della donna che si era da subito rivolta ad un legale.

Quanto dichiarato da parte convenuta deve essere posto a fondamento della presente decisione ex art. 115 c.p.c., essendosi parte attrice limitata a ribattere sul punto, in memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c., che “non è di certo che con qualche piccolo e bonario intervento B.M. S.r.l. sarebbe riuscita a porre rimedio ai gravi danni della cucina, già oggetto di ATP”.

Questo significa che parte attrice ha sì chiesto la sostituzione o la riparazione, ma non ha consentito a parte convenuta di provvedervi in un congruo lasso di tempo.

A prescindere dalla questione se la richiesta di cui sopra debba o meno essere necessariamente giudiziale, come sostenuto da parte della dottrina, in ogni caso, l’azione di risoluzione proposta è inammissibile in quanto esercitata in violazione sostanziale della scansione dei rimedi prevista dall’art. 130 cod cons.

Neppure ricorrono le condizioni di cui all’art. 130, co. 7, cod. cons. in quanto non è dimostrato che la riparazione fosse impossibile (circostanza sostenuta da parte attrice ma non corroborata da alcun elemento e contestata da parte convenuta) o, comunque, tale da arrecare un danno eccessivo al consumatore.

I difetti riscontrati, per quanto numericamente significativi, non impediscono l’utilizzo della cucina.

2 La domanda di risarcimento danni nei confronti di Brescia mobili
Si deve decidere in ordine alla domanda di risarcimento danni proposta da parte attrice.

Questa ha chiesto il risarcimento dei danni consistiti nel mancato utilizzo della cucina, nelle spese di smontaggio e, infine, nelle spese sostenute per ricoverare la cucina medesima in un magazzino.

Quanto ai primi danni, non è stato dimostrato che la cucina fosse del tutto inutilizzabile. Non c’è prova, in sostanza, che ciò di cui parte attrice chiede il risarcimento altro non sia che costituito da dei semplici disagi, come tali non meritevoli di risarcimento, in quanto il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi determinati dalla legge, e, cioè, oltre che in ipotesi di reato (art. 185 c.p.) e nelle altre ipotesi espressamente previste da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali, solo in caso di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione (in tal senso, Cass. 26972/08).

La giurisprudenza è costante nell’affermare l’irrisarcibilità di quei pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale.

Per quanto riguarda gli altri danni, si discute se l’azione di risarcimento debba essere preceduta, così come l’azione di risoluzione, dalla richiesta di sostituzione o riparazione.

La risposta è certamente negativa quando vengano in rilievo danni indiretti, causati dal bene di consumo alla persona del consumatore o al suo patrimonio, quali, ad es., quelli di cui all’art. 1494 co. 2 c.c.

Più complesso è, invece, il discorso per quanto riguarda i danni diretti causati dal difetto (come, ad es., il minor valore del bene difettoso, il lucro cessante, le spese di riparazione, ecc., diversi quindi, dai danni indiretti cagionati dal bene difettoso alla persona del compratore o ad altri suoi beni).

In questo secondo caso, ammettere l’esperibilità dell’azione di risarcimento, a prescindere dal previo tentativo di riparazione o di sostituzione del bene, significherebbe scardinare tutto l'impianto normativo di cui al citato art. 130 TU Consumo, basato sulla rigorosa gerarchia dei rimedi, di cui si è detto.

Quelle esigenze di conservazione del contratto perseguite dal legislatore, il quale, evidentemente, intende salvaguardare il contratto originario riportando il sinallagma in una posizione di equilibrio, optando, fin dove possibile, per azioni manutentive del contratto che ricostituiscano un equo rapporto di scambio, infatti, verrebbero evidentemente frustrate se si consentisse al consumatore, come nel caso della vendita in generale, di chiedere subito ed in via autonoma il risarcimento del danno subito, senza aver instato per la sostituzione o la riparazione del bene.

Inoltre, la soluzione qui avversata non considera adeguatamente che la sostituzione e la riparazione del bene altro non sono che una forma di risarcimento in forma specifica.

Il consumatore, allora, non potrà derogare a questa gerarchia, perché, nelle intenzioni del legislatore, la sostituzione o la riparazione dovrebbero già integralmente risarcirlo dei danni subiti per il difetto di conformità: il risarcimento per equivalente potrà quindi essere richiesto o in funzione integrativa rispetto ai rimedi in forma specifica, per i danni che non potessero essere da questi risarciti, ovvero contestualmente alla richiesta di risoluzione o di riduzione del prezzo, una volta accertata l'impossibilità o l'eccessiva onerosità di procedere alla riparazione o alla sostituzione.

Per questa ragione, cioè per tale identità funzionale esistente tra i rimedi primari ed il risarcimento, si deve ritenere che l’azione di risarcimento possa essere liberamente esperita, solo dopo la richiesta di sostituzione o di riparazione, con gli stessi limiti dell’azione di risoluzione o in caso di danni persistenti in caso di riparazione o sostituzione (cioè di quei danni che non sarebbero eliminati da tali rimedi), di ritardo o rifiuto da parte del venditore. In questi termini, si vedano Trib. Genova Sez. I, 22/02/2011, in Pluris/Cedam, 2017 e Tribunale Trani, sez. I, 21/03/2017, n. 615 in Leggid’italia.

Tale conclusione risponde, del resto, anche alla previsione di cui all’art. 1227 c.c.

I costi di smontaggio e di ricovero della cucina sarebbero stati evitati, ove fosse stata richiesta la riparazione o la sostituzione, in quanto sarebbero stati sostenuti direttamente dal venditore tenuto a provvedervi gratuitamente. Inoltre, questi avrebbe potuto provvedervi a prezzi più contenuti, ove si consideri che non avrebbe potuto lucrare su tale intervento.

3 la domanda di risarcimento danni nei confronti di L.

Tale domanda deve essere respinta.
Tra parte attrice e L. non c’è stato alcun rapporto contrattuale diretto (o almeno nel manca ogni allegazione).

Se, invece, si inquadra la fattispecie nella previsione della responsabilità extracontrattuale, mancherebbe il fatto illecito, in quanto ciò che si imputa a L. è di aver pubblicizzato, come proprio punto vendita, B.M.

Tuttavia, ciò non significa che questa facesse parte dell’organizzazione della L., per cui questa debba essere chiamata a rispondere del fatto altrui.

Le spese di lite vengono compensate tra N. e B.M. alla luce delle novità delle questioni affrontate e dei contrasti esistenti in relazione all’interpretazione dell’art. 130 e 135 cod. cons.

Nei rapporti N. L. seguono la soccombenza.

PQM

Respinge le domande attoree;
Compensa le spese di lite tra M. N. e B.M. srl;
condanna M. N. a rifondere a L. Industries srl le spese di lite, spese che liquida in euro 2.738,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Savona 15 settembre 2018.

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