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domenica 6 luglio 2025

Sanzionato il negozio se in vetrina il prodotto è privo di prezzo

 La Corte di Cassazione ha confermato un principio fondamentale per tutti i consumatori:

"il prezzo di ogni prodotto esposto al pubblico deve essere chiaramente visibile"

Ed invece, accade che guardando una vetrina vediamo i capi, ma non sempre compare il prezzo di vendita, oppure c'è il cartellino ma è nascosto il prezzo.

Ed il caso sottoposto alla Suprema corte parte da un controllo della Guardia di Finanza in una nota boutique, ove viene riscontrato che i prezzi dei capi erano nascosti dentro le tasche dei vestiti o chiusi nelle borse.

A seguito del controllo, l'Amministrazione comunale eleva una sanzione amministrativa di oltre euro 1.000,00, provvedimento che viene impugnato dal venditore che si rivolge al Giudice di Pace, il quale annulla il provvedimento comunale.

A seguito di impugnazione avanti al Tribunale, che ribalta la decisione, la vicenda finisce infine alla Cassazione, la quale ha dato ragione all’amministrazione: il prezzo deve essere ben visibile, non solo “presente”.

La Cassazione richiama la normativa, in primo luogo, l’art. 14 del D.lgs. 114/1998, norma che prevede che ogni prodotto in vendita deve riportare il prezzo in modo chiaro e immediatamente visibile al pubblico.

Tale norma trova applicazione anche per i negozi self-service: se il cliente può toccare il prodotto, il prezzo deve essere ancora più facilmente percepibile.

Come evidenzia il giudice di legittimità, tale regola trova applicazione anche ai negozi "del lusso", i quali non si possono sottrarre all'obbligo di chiara esposizione del prezzo: 

E noi facciamo nostro l'insegnamento dei giudici e diciamo: “La trasparenza vale per tutti. Non esistono deroghe per il lusso.

Ma quali sono i diritti del consumatore?

Questa sentenza ribadisce un concetto chiave: nessuno può vendere un prodotto nascondendo il prezzo.

Si tratta di una tutela essenziale, che garantisce:

  • Scelta libera e consapevole
  • Parità di trattamento tra clienti
  • Prevenzione di pratiche commerciali scorrette

Cosa fare quando il prezzo non è visibile?

Il consumatore può adottare i seguenti comportamenti:

  • Chiedi spiegazioni al personale
  • Se non ti mostrano il prezzo, puoi rifiutarti di acquistare.
  • Documenta l’irregolarità (Una semplice foto del prodotto privo di prezzo può bastare).
  • Segnala l’abuso alla Polizia Municipale (Ufficio Commercio del Comune) oppure all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)

Quali norme devono essere tenute in considerazione?










Corte di Cassazione - Sez. II^ Civ. sentenza n. 14286/2025 (visibile con browser Opera - VPN attivo).

venerdì 17 maggio 2024

Gas: un modello di spesa comune alternativo

Il nostro intervento odierno è volto alla sintetica trattazione di un modello di consumo critico ed alternativo fondato sul risparmio etico e su base generalizzata

Stiamo parlando del GAS (Gruppo Acquisto Solidale), realtà ormai consolidata e compresa tra i modelli di sviluppo provenienti "dal basso", vale a dire dalla gente comune.

Il GAS, infatti, costituisce un momento di aggregazione e condivisione tra amici e conoscenti, colleghi di lavoro che vogliono riflettere sui propri consumi e valutare scelte alternative, tema di attualità alla luce della perdurante crisi economica, che ha cambiato, almeno in parte, le abitudini alimentari degli italiani.

Con il presente contributo vogliamo presentare al lettore la realtà dei gruppi di acquisto solidale, illustrando alcuni aspetti che riguardano questo tipo di modello e segnalando altri modelli esistenti e funzionanti.

 

1)  Che cos’è il progetto GAS?

Il gruppo di acquisto solidale è dato dall’unione di persone che si organizzano allo scopo di acquistare prodotti alimentari, e non, direttamente dal produttore mediante un unico ordine cumulativo indirizzato a quest’ultimo.

La costituzione di questi gruppi permette di soddisfare il binomio fra risparmio e qualità, quale ricerca sempre ambita da parte del consumatore stesso, che consente anche allo stesso tempo di salvaguardare l’ambiente.

Facciamo un esempio: un gruppo di amici o di vicini dello stesso quartiere si organizza per acquistare dal contadino locale un unico stock di frutta e verdura. 

I vantaggi sono svariati: risparmio sui costi di trasporto, conoscenza della provenienza e della produzione della materia prima, rispetto dell’ambiente, creazione di fiducia tra produttore e consumatore e, perché no, instaurazione di nuove relazioni.

 

2) GAS: Come funziona?

La L. n. 244/2007 definisce questi gruppi come: “soggetti associativi senza scopo di lucro costituiti al fine di svolgere attività di acquisto collettivo di beni e distribuzione dei medesimi, senza applicazione di alcun ricarico, esclusivamente agli aderenti, con finalità etiche, di solidarietà sociale e di sostenibilità ambientale, in diretta attuazione degli scopi istituzionali e con esclusione di attività di somministrazione e di vendita.

I GAS, quindi, possono avere la forma giuridica di un’associazione senza scopo di lucro, in quanto non producono profitto, e in particolare sussistono due forme:

  • ASP (Associazione Senza Profitto);
  • ODV (Organizzazione di Volontariato).

L’attività di questi gruppi non ha una natura commerciale, ma ha un fine etico e solidale e, di conseguenza, risulta esente dal pagamento di tasse, quali IVA e imposte sul reddito. 

Altra caratteristica, inoltre, è che per sussistere tali associazioni devono avere una determinata organizzazione e regolarità negli acquisti condivisi. Di conseguenza, non si possono limitare ad acquisti sporadici, ma devono essere continuativi nel tempo.

Un ulteriore elemento che caratterizza questo tipo di soggetti giuridici è l’apporto volontario dei partecipanti, i quali devono cooperare assieme senza un fine di lucro personale rispetto al gruppo. 

 Possono sussistere e cooperare nella medesima zona anche più gruppi di acquisto solidale, dando così vita ad un Distretto di Economia Solidale (DES).

sabato 23 marzo 2024

Antitrust sanziona Tik Tok

Fonte: comunicato stampa
14 marzo 2024
Risultano inadeguati i controlli della società sui contenuti che circolano sulla piattaforma, in particolare quelli che possono minacciare la sicurezza di soggetti minori e vulnerabili. Inoltre questi contenuti vengono sistematicamente riproposti agli utenti a seguito della loro profilazione algoritmica, stimolando un uso sempre crescente del social network.

 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato una sanzione di 10 milioni di euro in solido a tre società del gruppo Bytedance Ltd, ovvero l’irlandese TikTok Technology Limited, la britannica TikTok Information Technologies UK Limited e l’italiana TikTok Italy Srl.

venerdì 28 aprile 2023

Tutela consumatore on line - arrivano le nuove norme con il D. Lgs. n. 26/2023

Lo scorso 7 marzo 2023 è stato approvato il Decreto Legislativo n. 26/2023, entrato successivamente in vigore, con le nuove norme previste per la tutela dei consumatori nelle operazioni commerciali on line.

Il legislatore italiano ha, con il provvedimento del 7 marzo 2023, dato attuazione in Italia della Direttiva UE 2019/2161 (c.d. "Direttiva Omnibus") finalizzata a garantire nuove forme di difesa per i consumatori sempre più coinvolti nell'era digitale.

Da più parti è stato rilevato che la norma comunitaria nasce già vecchia e, sotto molti aspetti, non riesce ad approntare quelle auspicate garanzie per i consumatori anche perché, a nostro parere, è pensata in modo tradizionale e non adeguato ad una realtà nuova ed in continua evoluzione.

Uno degli aspetti più contestati da parte dei commentatori è, infatti, la concreta applicabilità delle norme comunitarie e quindi l'effettività delle regole introdotte con la Direttiva 2019/2161.

Ad ogni buon conto, nei prossimi mesi potremo apprezzare gli effetti benefici delle nuove norme introdotte anche in Italia e che, di seguito, ci limitiamo ad analizzare.

- Sconto on line e tutela del consumatore 
La novità più interessante, e discussa, riguarda gli annunci di riduzione del prezzo applicato nella vendita di un prodotto e/o servizio on line.

Nel caso di ulteriore riduzione, il professionista deve indicare il prezzo ribassato la prima volta e quello applicato con il secondo sconto.

La novità normativa prevede, peraltro, due grosse eccezioni, nel senso che tale norma non trova applicazione per le vendite sottocosto e in ipotesi di prezzo applicato al lancio di un prodotto.

- Nuove fattispecie di pratiche commerciali scorrette nelle vendite on line
Il Decreto Legislativo n. 26/2023 affronta, inoltre, il tema delle pratiche commerciali scorrette, introducendo importanti novità all'articolo 21 del Codice del consumo degne di essere sinteticamente richiamate.

Occorre premettere che è evidente l'intento perseguito dal legislatore di porre un limite alle condotte scorrette on line, che stanno dilagando, introducendo nuovi divieti a condotte che possano indurre in errore il consumatore, alterando la sua volontà nell'acquisto di un bene on line.

Tra le condotte oggetto di divieto vi sono:
    - Dual quality: è la pratica, vietata, con la quale un stesso prodotto (medesima marca e medesimo packaging) viene commercializzato come identico anche se è di diversa qualità.

Nello specifico, la pratica commerciale viene considerata scorretta quando viene messo in vendita un bene come identico a un prodotto commercializzato in altri Stati membri dell’Unione, quando in realtà ha una composizione o caratteristiche significativamente diverse (cd. “Dual Quality”). 

    - Pubblicità e motore di ricerca: viene imposto l'obbligo ai motori di ricerca di indicare in modo esplicito che, tra i risultati di una ricerca, alcuni siano introdotti come pubblicitari. Viene introdotta una nuova norma, l'art. 49 bis del Codice del consumo, la quale prevede una serie di obblighi in capo ai provider di mercati online, tutti introdotti con il fine specifico di garantire una maggior trasparenza per i consumatori in relazione alla provenienza e affidabilità delle recensioni di prodotti e servizi, specialmente per le vendite tramite marketplace.

    - Secondary ticketing: viene ribadita, ed aggravata nelle sanzioni, la rivendita di biglietti acquistati on line tramite tecnologie automatizzate (c.d. bot).

- Nuove sanzioni
Con il decreto sono aumentate le sanzioni previste sia per le condotte commerciali scorrette che per le clausole vessatorie, consentendo all'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato di poter intervenire e sanzionare direttamente il professionista per ogni clausola vessatoria (fino a 1.000.000,00 euro).

Alleo stesso tempo, nel caso in cui sia accertato il carattere abusivo delle clausole introdotte nel contratto concluso con i consumatori, questi ultimi possono chiedere il risarcimento del danno subito a causa della condizione contrattuale vessatoria.

domenica 17 ottobre 2021

Vizio di conformità: quando il consumatore può ottenere il risarcimento del danno

L'acquisto di un prodotto difettoso è esperienza vissuta da molti consumatori, i quali sono erroneamente convinti di disporre di tutti i diritti previsti dal Codice del Consumo.

L'art. 129 prevede l'obbligo da parte del venditore di consegnare all'acquirente un "prodotto conforme" che al comma 2° viene così definito:"
a) sono idonei all'uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello;
c) presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull'etichettatura;
d) sono altresì idonei all'uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti.".

Nel caso di difetto di conformità, il consumatore dispone di una serie di rimedi che può richiedere al professionista, al fine di riequilibrare il rapporto con la controparte.

Può chiedere la riparazione del bene, la riduzione del prezzo o la restituzione della somma versata alla controparte: sarà quest'ultima a decidere quale soluzione adottare verso il contraente debole.

Ma il consumatore può ottenere un risarcimento del danno derivante dal prodotto difettoso?

La Suprema Corte di Cassazione ha dato risposta positiva con una pronuncia del 2020 (Cassazione n. 1082/2020) che potete leggere di seguito.

I giudici di legittimità, infatti, erano stati investiti su una questione avente ad oggetto la vendita di un bene difettoso (o meglio affetto da vizio di conformità), ove il consumatore aveva chiesto la rimozione del prodotto difettoso o, in via subordinata, il risarcimento del danno.

La vicenda, finita davanti alla Cassazione, si è conclusa con il riconoscimento del risarcimento del danno del prodotto non conforme nel caso in cui non sia possibile adottare i rimedi previsti dal Codice del Consumo sopra richiamati, ovvero non sia possibile la riparazione e la sostituzione del bene sia eccessivamente onerosa, come nel caso per cui è causa.

In tali casi, il consumatore ha diritto ad un risarcimento del danno che supera i rimedi di cui all’art. 130, comma 2 del Codice del Consumo, al fine di consentire al contraente debole di trovarsi nella posizione in cui si sarebbe trovato laddove avesse ricevuto un bene integro e privo di vizi.

E' chiaro, sul punto, l'intervento dei giudici secondo i quali: Tra i diritti che competono al consumatore, nel caso di difetto di conformità, sebbene il comma 2 dell'art. 130 Cod. Consumo non annoveri il diritto al risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento, ciò non significa che il consumatore che abbia ricevuto un bene non conforme al contratto non possa esercitare, nei confronti del professionista, delle pretese risarcitorie: il diritto al risarcimento del danno rientra, infatti, fra i “diritti” attributi al consumatore da “altre norme dell'ordinamento giuridico” italiano.”.

La Cassazione, quindi, integra il Codice del Consumo prevedendo un ulteriore diritto per il consumatore che può, laddove sussistano i presupposti, ottenere un risarcimento compensativo volto a supplire al pregiudizio sofferto con il bene viziato.

In termini più semplici, la pronuncia in esame è meritevole di segnalazione in quanto la Corte di Cassazione chiarisce che al consumatore sono riconosciuti, dal Codice del Consumo, una serie di rimedi che non sostituiscono quelli previsti dal diritto comune, ma li integrano, consentendo al contraente debole di poter ottenere anche il risarcimento del danno, laddove ne sussistano i presupposti.

Il consumatore vede, in ultima istanza, rafforzata la tutela della propria posizione nei confronti dell'operatore professionale. 

Di seguito, la sentenza n. 1082/2020 della Corte di Cassazione, Seconda sezione civile.

domenica 7 marzo 2021

Le tutele del consumatore valgono anche nel caso di acquisto di una casa

Questa domenica vi proponiamo la recente ordinanza della Corte di Cassazione (497/2021) che ha ad oggetto l'applicabilità delle tutele previste in favore del consumatore anche nel contratto di acquisto di un immobile.

I giudici di legittimità sono stati chiamati a decidere una controversa sorta tra un consumatore (acquirente immobile) e un professionista (società costruttrice dell'immobile), valutando la compatibilità delle tutele previste dal Codice del Consumo nel caso di compravendita immobiliare.

Nel caso di specie, l'attenzione della Cassazione si è concentrata sulla validità della clausola compromissoria, norma contrattuale con la quale le parti avevano deciso di devolvere ogni controversia sorta dalla vendita alla decisione di un collegio arbitrale.

Tale clausola era stata inserita nel contratto preliminare, predisposto con un formulario della società venditrice, ed in assenza di una specifica trattativa tra le parti conclusa con  specifica firma ed adesione dell’acquirente.

La Corte di Cassazione, smentendo il giudice di merito che aveva ritenuto inapplicabile la tutela del consumatore a questo tipo di contratti, ha statuito il principio secondo il quale la disciplina del Codice del Consumo debba trovare applicazione anche nella compravendita immobiliare, ed anche all'appalto per la costruzione e manutenzione di un immobile.

Assume rilievo centrale, e prevalente, la circostanza che la conclusione del contratto sia tra il professionista e il consumatore, al fine dell'introduzione delle norme dei consumatori, e non può essere esclusa, a tale fine, la norma consumeristica dalla circostanza che la tutela del consumatore sia riconosciuta nel contratto attraverso la d.lgs. n. 122 del 2005 (tutela nel caso di immobili in costruzione).

Corte di Cassazione - Ordinanza n. 497/2021.

venerdì 28 giugno 2019

Travel box nullo - GLM deve cancellare l'iscrizione a New Club Elite

Il Tribunale di Monza, seguendo i propri precedenti interventi (vedi qui), ha ancora una volta deciso di dichiarare il modello contrattuale di GLM privo di validità, liberando due consumatori monzesi dall'iscrizione al club inglese New Club Elite, ove risultavano iscritti sin dal lontano anno 2011 (per maggiori informazioni, scrivi a info@consumatoreinformato.it).

I consumatori, come in altri casi, erano stati avvicinati da un promotore della società e avevano concluso, ad un incontro presso una struttura alberghiera vicina a Milano, il contratto di acquisto del prodotto "Travel Box".

Orbene, il Tribunale di Monza ha dichiarato tale contratto come generico e contrario alle norme del Codice del Consumo, e quindi completamente invalido

Vogliamo segnalare, in particolare, un passaggio del provvedimento adottato dal Tribunale di Monza, dove il giudice rileva che il contratto contiene informazioni parziali e contrarie allo stesso regolamento del Club, cosicché da non consentire agli acquirenti di comprendere la natura del diritto vacanza.

Più precisamente, il giudice osserva la differenza sostanziale tra il contratto (dove il diritto vacanza è addirittura trasmissibile agli eredi) e il regolamento del Club dove la durata è fino al 2053:"l’unico che risulta sottoposto ai ricorrenti, non è indicato che la domanda di partecipazione al club inglese New Club Elite Ltd avrebbe dovuto essere sottoposta all’approvazione del Consiglio Direttivo “a suo insindacabile giudizio”, che la possibilità di fruire delle strutture del club sarebbe stata condizionata alla disponibilità delle stesse e che la durata dell’iscrizione sarebbe stata fino all’anno 2053 (nel modulo si parla invece di trasmissibilità agli eredi)".

E' emerso, dal controllo dei documenti operati dal Tribunale di Monza, che la prenotazione di ogni periodo vacanza presso le strutture convenzionate non era riservata alla volontà dei consumatori, ma alla volontà del club e alla disponibilità nel periodo richiesto.

Lo stesso certificato, inviato successivamente alla conclusione del contratto, non consentiva agli acquirenti di comprendere la tipologia di iscrizione a New Club Elite.

Il giudice, per tali ragioni, ha condannato GLM a cancellare i consumatori monzesi da New Club Elite.

domenica 10 marzo 2019

Automobile & garanzia - difetto di conformità e responsabilità del venditore

La sentenza che vi proponiamo questa domenica, emessa il 9 aprile 2015 dal Tribunale di Roma, offre il destro per affrontare una tematica sempre attuale nel campo del consumo, ossia il difetto di conformità dell’autovettura, con particolare riguardo ai soggetti responsabili per il danno sofferto dall'acquirente.
  
Il caso affrontato dal giudice romano ha ad oggetto la vendita di un veicolo usato, a condizioni economiche vantaggiose, da parte di una concessionaria ad una persona disabile. 

Nonostante il non eccessivo utilizzo, il veicolo, nel periodo successivo, si arresta a causa di un guasto di non lieve entità. 

L'acquirente porta l'auto alla concessionaria, la quale visiona il mezzo è ritiene che il guasto sia dovuto alla pessima qualità dell’olio motore utilizzato dal nuovo proprietario e, quindi, nessuna garanzia poteva essere invocata da quest'ultimo.

Al contrario, l’officina di fiducia del consumatore ha ritenuto che l’automobile presentasse un grave difetto già prima della firma del contratto, e celato dal venditore all'acquirente. 

La vicenda arriva davanti al Tribunale di Roma, il quale viene chiamato a valutare diverse  responsabilità (contrattuali e non) nei confronti di più soggetti, a partire dalla concessionaria venditrice fino alla casa produttrice.

Ebbene, talora accade che il compratore, complice la premura, agisca alla rinfusa, interpellando soggetti che, in realtà, sarebbero da escludere.

Nelle cause contrattuali di risarcimento del danno per il malfunzionamento dell’autovettura, il primo tassello è costituito dalla corretta individuazione del soggetto contro il quale indirizzare la propria azione legale.

Ad avviso del Tribunale di Roma, è necessario ricordare che l’automobile si inserisce dentro una “catena di vendita”: essa comprende diversi anelli che procedono dalla produzione alla distribuzione, e dalla distribuzione alla rivendita. A volte, l’anello conclusivo è composto da due o più rivenditori intermedi.

A livello contrattuale, però, il compratore instaura il rapporto soltanto con il proprio venditore: vale a dire, il concessionario che ha consegnato l’automobile e le chiavi. 

Questo significa anche che ogni inadempimento che riguarda il contratto di compravendita (e l’attivazione delle garanzie) deve riguardare sempre il venditore; sarà quest’ultimo, poi, a rivalersi nei confronti del distributore o del concessionario.

Operata tale doverosa premessa, risulta altresì importante comprendere come impostare una domanda di risarcimento del danno da difetto di conformità.

Si pongono, a questo punto, diversi problemi d’interpretazione che, se interessano di più avvocati e giudici, hanno comunque risvolti pratici molto evidenti: tra questi, decadenza e prescrizione della domanda ed onere della prova.

Per quanto qui d’interesse, va anzitutto precisato che l’articolo 129 e ss. del codice del consumo prevede un vero e proprio obbligo di fornire un bene conforme al contratto (sul punto, puoi approfondire qui). 

Il complesso ed articolato sistema di tutele e garanzie previsto dal codice del consumo, poi, costituisce una specificazione delle tutele previste dal codice civile (art. 1490 e ss.). 

Senza dilungarci oltre su aspetti di pura dottrina, andiamo ai punti nevralgici della sentenza in commento.

Di particolare interesse la conclusione, per la quale “pur nel silenzio della disciplina del TU Consumo, si ritiene ammissibile la domanda risarcitoria per danni conseguenti alla non conformità del prodotto venduto; inoltre anche detta domanda deve ritenersi soggetta allo stesso termine di decadenza e di prescrizione previsto dal citato art. 132 TU Consumo e non a quello previsto dall’art. 1495 c.c. per la vendita in generale ed allo stesso criterio di imputazione della responsabilità.

Dunque, una volta verificata l’ammissibilità della domanda risarcitoria, (…) esigenza di uniformità deve riguardare anche il merito e i presupposti stessi della domanda risarcitoria, con la conseguenza che la responsabilità risarcitoria del venditore deve ritenersi caratterizzata dalla natura sostanzialmente oggettiva e deve prescindere dall’accertamento della colpa del venditore, così come previsto per gli altri strumenti di tutela contemplati dall’art. 130 dello stesso codice; quindi in questi casi, diversamente da quanto previsto dall’art. 1494 c.c.il risarcimento del danno deve ritenersi non regolato dai principi generali in tema di inadempimento contrattuale.

L’obbligo risarcitorio a carico del venditore pertanto sussiste indipendentemente da ogni considerazione circa il criterio di imputazione della responsabilità e circa la conoscenza o conoscibilità dei vizi accertati; quindi è necessario e sufficiente che il consumatore provi, in base a conferente allegazione, l’esistenza dei difetti di conformità lamentati, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre.”

In definitiva, il consumatore, per impostare correttamente una domanda di risarcimento del danno, deve indicare nell’atto i punti sopra evidenziati, evitando ogni automatismo. 

E, sia chiaro, questo onere non può ridursi a semplici doglianze o lamentele che, nel merito, non permettono di risalire ad addebiti più dettagliati, ma deve essere caratterizzato dall'indicazione precisa delle contestazioni sollevate verso il venditore e l'effettiva causalità rispetto al malfunzionamento lamentato.

Di seguito, la sentenza per esteso. 

domenica 13 gennaio 2019

La cucina presenta dei difetti? errori da evitare per ottenere il risarcimento del danno

Questa domenica torniamo ad affrontare un tema molto caro ai consumatori, ossia il diritto ad ottenere il risarcimento del danno, nel caso in cui un mobile (esempio cucina, armadio od altro) presenti dei vizi e/o difetti di conformità.

Molti ritengono che in tali casi, ossia in ipotesi di difetto di conformità ex artt. 128 e seguenti del Codice del Consumo, la società venditrice sia chiamata a rispondere in via automatica alla richiesta di risarcimento del danno avanzata dal consumatore.

A ben vedere, le regole che disciplinano la materia non prevedono alcun automatismo in favore del consumatore nel caso di difetto di conformità.

L'art. 130 comma 2 del Codice del Consumo dispone che il consumatore, nel caso di difetto di conformità,  ha diritto al ripristino della conformità (ossia il venditore deve riparare il bene consentirne l'uso per il quale è stato acquistato), oppure all'indennizzo in favore del cliente (riduzione del prezzo) o, ipotesi più estrema, alla risoluzione del contratto.

La risoluzione del contratto (restituzione dei soldi + risarcimento del danno) è ipotesi residuale ed estrema, ossia ricorre solo quando non sono percorribili le altre ipotesi e, in ogni caso, nel caso di grave inadempimento o volontà del venditore di non provvedere alla riparazione o indennizzo (vedasi art. 130 comma 7 Codice del Consumo).

E questo è il caso affrontato dal Tribunale di Savona, al quale si è rivolto una consumatrice ligure per chiedere la risoluzione del contratto, con conseguente restituzione del prezzo e risarcimento del danno.

Nel caso di specie, la consumatrice aveva acquistato una cucina da una grossa società venditrice, la quale aveva consegnato il mobile con notevole ritardo.

All'atto del montaggio, erano emersi alcuni gravi difetti/carenze tali da rendere la cucina non conforme a quella pattuita tra le parti, presentando anche errori e, secondo quanto lamentato dall'acquirente, non montata a regola d'arte.

La consumatrice si era rivolta al Tribunale di Savona, chiedendo la risoluzione del contratto di acquisto e il risarcimento dei danni sofferti a causa degli errori in cui erano incorsi il venditore e il produttore.

Il Giudice ligure ha ritenuto che, nonostante l'evidente inadempimento da parte del venditore, la consumatrice non potesse ottenere la risoluzione del contratto per difetto di conformità del bene.

Il discutibile ragionamento seguito dal giudice, prende le mosse dall'art. 130 del Codice del Consumo che prevede una gradazione delle soluzioni previste in questi casi: "il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all'art. 130 appena menzionato, i quali, però sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: costui potrà, in primo luogo, proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene (rimedi primari) e, solo in secondo luogo, nonchè alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere la risoluzione del contratto (rimedi secondari).

L’art. 130 cod. cons. preferisce, quindi, gli strumenti correttivi o sostitutivi, quali la riparazione o la sostituzione, rispetto alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione. Il legislatore, in sostanza, manifesta il suo favor per la conservazione del rapporto obbligatorio originariamente costituito. Trattasi di una soluzione equilibrata che salvaguarda le opposte esigenze: l’interesse del compratore di avere un bene conforme e quello del venditore di far salvo l’affare concluso e di liberarsi dall’obbligazione assunta.".

E quindi, secondo il ragionamento seguito dal giudice, il venditore deve proporre all'acquirente la seguente griglia di soluzioni al difetto di conformità:

1. riparazione della cucina (entro un termine congruo);
2. riduzione del prezzo (indennizzo);
3. risoluzione del contratto.

Nel caso affrontato dal Tribunale di Savona, la consumatrice non aveva seguito tale criterio, sicché nel momento in cui il venditore si era offerto per la riparazione della cucina (entro due giorni dalla consegna) si era limitata a respingere tale soluzione, chiedendo invece l'immediata risoluzione del contratto.

Tale condotta non può, come si legge nella sentenza, essere tenuta dal consumatore, il quale può ottenere la riparazione o l'eventuale riduzione del prezzo da parte del venditore: solo in ipotesi estreme, il consumatore può richiedere la risoluzione del contratto solo dopo essersi invano rivolto al venditore per ottenere le altre due soluzioni "conservative del contratto".

La sentenza è chiara nell'indicare la strada che deve seguire il consumatore, il quale "[…] non potrà derogare a questa gerarchia, perché, nelle intenzioni del legislatore, la sostituzione o la riparazione dovrebbero già integralmente risarcirlo dei danni subiti per il difetto di conformità: il risarcimento per equivalente potrà quindi essere richiesto o in funzione integrativa rispetto ai rimedi in forma specifica, per i danni che non potessero essere da questi risarciti, ovvero contestualmente alla richiesta di risoluzione o di riduzione del prezzo, una volta accertata l'impossibilità o l'eccessiva onerosità di procedere alla riparazione o alla sostituzione.

Per questa ragione, cioè per tale identità funzionale esistente tra i rimedi primari ed il risarcimento, si deve ritenere che l’azione di risarcimento possa essere liberamente esperita, solo dopo la richiesta di sostituzione o di riparazione, con gli stessi limiti dell’azione di risoluzione o in caso di danni persistenti in caso di riparazione o sostituzione (cioè di quei danni che non sarebbero eliminati da tali rimedi), di ritardo o rifiuto da parte del venditore.[…]".

Per tale ragione, non avendo la consumatrice seguito lo schema sopra proposto, la domanda di risarcimento è stata respinta dal Tribunale di Savona.

Cosa fare nel caso di difetti del mobile acquistato o di ritardo nella consegna?

A) rivolgersi al venditore chiedendo i rituali chiarimenti ed eventualmente evidenziando sin da subito i difetti riscontrati;
B) successivamente, inviare comunicazione scritta con la quale chiedere la sostituzione del prodotto difettato e/o una riduzione del prezzo;
C) nel caso in cui il venditore non si attivi in modo tempestivo per riparare il prodotto, si potrà eventualmente chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.


Qui di seguito, la sentenza del Tribunale di Savona dello scorso 15 settembre 2018.

domenica 6 gennaio 2019

Promuovere un prodotto via internet non qualifica il venditore occasionale come professionista

In questo blog abbiamo affrontato, con una certa frequenza, la definizione di consumatore proprio con il fine di accertare l'applicabilità delle norme comunitarie (e quelle del Codice del Consumo) a colui che acquista per finalità che esulano dalla propria attività commerciale - professionale.

E' risaputo, per altro verso, che le norme volte a tutelare il contraente debole debbano trovare sempre applicazione laddove vi sia un professionista (venditore professionale) che offra i suoi servizi, anche attraverso le nuove tecnologie.

Quando, però, un venditore può essere definito professionista e quando deve adeguarsi alle norme previste dal Codice del Consumo?

l'Art. 2, lettera b) della Direttiva 2005/29/CE definisce il professionista come "qualsiasi persona fisica o giuridica che […] agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome e per conto di un professionista".

E quindi, offrire i propri prodotti on line, attraverso annunci digitali, configura attività commerciale o artigianale, trasformando in professionista il venditore?

La Corte di Giustizia si è espressa di recente sul punto, evidenziando che la semplice proposta/sollecitazione on line, anche attraverso annunci attraverso le principali piattaforme, non trasforma un venditore in professionista secondo i principi previsti dalle norme comunitarie.

Il quesito posto alla Corte era sostanzialmente il seguente: "Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, da un lato, se una persona fisica che pubblica su un sito Internet, contemporaneamente, un certo numero di annunci per la vendita di beni nuovi e d’occasione possa essere qualificata come «professionista» ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2005/29 e, dall’altro, se un’attività del genere costituisca una «pratica commerciale», ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di tale direttiva.".

Il Giudice comunitario, dopo aver richiamato la normativa comunitaria e i presupposti volti a definire il professionista (per tutelare il consumatore/contraente debole), chiarisce che per qualificare come professionista colui che vende on line, non è sufficiente considerare l'eventuale pubblicità dei prodotti, ma bisogna valutare altri elementi tali da qualificare tutta la sua attività come professionale.

Elementi quali la struttura di vendita, la presenza di una partita IVA, l'organizzazione aziendale etc.… Se tali elementi difettano, il venditore non potrà essere qualificato come professionista e sottoposto alle regole previste in materia.

Tale aspetto, tutt'altro che secondario, deve allertare il consumatore che nel caso di acquisto attraverso una  piattaforma on line da parte di un operatore non professionista non potrà giovarsi delle tutele previste dal Codice del consumo, ed in primo luogo il diritto di recesso.

Qui il provvedimento della Corte di Giustizia.

domenica 30 dicembre 2018

L'avvocato non è un consumatore

In questo blog abbiamo affrontato in più circostanze la definizione di consumatore, i suoi limiti e ambito di applicazione delle norme del Codice del Consumo.

Abbiamo anche potuto notare come a livello comunitario, la tutela del consumatore viene estesa anche a soggetti che non rientrano nella figura classica di colui che "agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale o professionale eventualmente svolta".

A livello nazionale, nonostante le aperture comunitarie, vi è sempre stato un atteggiamento conservativo, volto a limitare l'estensione delle tutele previste dal Codice del Consumo, in particolare da parte della giurisprudenza di legittimità.

La Suprema Corte di Cassazione si è, di recente, espressa in materia affrontando la vicenda di un avvocato che aveva concluso un contratto di telefonia per la propria utenza professionale e, dopo aver subito dei disservizi da parte della compagnia telefonica, conveniva in giudizio la società per chiedere la condanna al risarcimento del danno, utilizzando il foro del consumatore.

La società, costituendosi in giudizio, ha sollevato l'eccezione di incompetenza territoriale, facendo valere il foro del convenuto, non potendo trovare applicazione la normativa prevista in materia di consumatore.

La vicenda giunge davanti alla Corte di Cassazione, la quale ha chiarito i motivi per i quali al professionista non possono essere previste le tutele garantite al consumatore, in primis il foro del consumatore. 

La Cassazione ha chiarito, richiamando la propria giurisprudenza, che il contratto concluso dal professionista all'interno della propria attività professionale, esclude di per sé l'applicazione delle norme previste per il consumatore.

L'avvocato non può essere considerato, secondo la discutibile tesi della Cassazione, contraente debole  meritevole di tutela e che il contratto per l'utenza telefonica deve essere considerato un atto professionale tale da escludere l'applicazione della normativa consumeristica.

L' avvocato non è consumatore quando, ad esempio:
- acquista riviste giuridiche in abbonamento o programmi informatici per la gestione dello studio;
- conclude un contratto di apertura di credito in nome proprio e abbia ottenuto il finanziamento non per sé, ma in favore della società di cui è amministratore;

- avvia un contratto per la fornitura di un servizio di massa (telefonia, gas, energia elettrica etc.….) collegato all'esercizio della sua attività professionale.

In tutti questi rapporti, l'atto svolto dall'avvocato è di natura squisitamente professionale tale da non consentirgli di potersi giovare delle garanzie previste per il consumatore, con una soluzione che non condividiamo pienamente.

Qui di seguito l'Ordinanza n. 22810/2018 della Corte di Cassazione - Sez. III^ Civ..

domenica 5 agosto 2018

Pagare le rate del finanziamento per un prodotto che non funziona? no, ecco perché...

Hai acquistato un prodotto difettoso con i soldi della finanziaria? ti ritrovi costretto a rimborsare la finanziaria nonostante tu non sia soddisfatto del bene acquistato?

Il commento della sentenza del Tribunale di Milano, che trovi di seguito, può esserti di aiuto e comprendere quali sono i tuoi diritti e come comportarti in questo tipo di situazione.

Ti consigliamo, vista la complessità della vicenda, di affidarti ad un professionista in questi casi, ma non rinunciare ai tuoi diritti e quindi, interrompere il pagamento delle rate del finanziamento, nonché chiedere il rimborso di quelle già versate.

1. Ho acquistato un elettrodomestico difettoso: posso chiedere il rimborso alla finanziaria?
In corrispondenza della pausa estiva, abbiamo deciso di tornare a trattare un argomento sensibile per i consumatori, e l'occasione ci viene offerta dalla sentenza della 1° sezione civile - Tribunale di Milano del 28 novembre 2014, ove è stato affrontato il tema della garanzia legale e il collegamento con il finanziamento necessario per l'acquisto

Il caso che stiamo trattando - tutt'altro che raro e tuttavia delicato - riguarda l'ipotesi in cui l'elettrodomestico (o altro prodotto) non funzioni in modo proprio o comunque presenti un difetto da non renderlo idoneo all'utilizzo.

Il consumatore, in questi casi, si rivolge al venditore (produttore) rivolgendo richieste di sostituzione o di rimborso che rimangono, parzialmente o totalmente, non soddisfatte.

Ed ecco che il consumatore paga le rate del finanziamento (credito al consumo) per un prodotto non sfruttato. E' giusto? che fare?

2. Il caso
Una famiglia ha acquistato un purificatore dell'acqua di grosse dimensioni, necessario per le esigenze del nucleo, avvalendosi della finanziaria proposta dal venditore per il pagamento.

Tuttavia, fin da subito il purificatore si è guastato e, nonostante diverse chiamate, il venditore né l'ha sostituito né ha rimborsato il prezzo. Pure la finanziaria si è tirata indietro e, appellandosi pretestuosamente al contratto, ha affermato di non avere un patto di esclusiva col il venditore.

3. La questione
A questo punto, se è pur vero che la finanziaria fornisce i propri servizi in modo indistinto e seriale a moltissimi venditori, resta il fatto che il consumatore, molto spesso, si ritrova con un elettrodomestico rotto e nessuno fa fronte al suo interesse: quello di essere rimborsato.

4. Il Tribunale di Milano - il consumatore non deve pagare le rate del finanziamento!
Investito dal caso di specie, il Tribunale di Milano ha rilevato che vi sono sia un contratto di compravendita che quello di finanziamento e, aspetto su cui concentrarsi, è "comune volontà di tutte le parti la causa della operazione creditizia". 

Questo significa che, dal momento che il venditore ha con sé i moduli di finanziamento da proporre al consumatore per acquistare, potenzialmente, tutti gli articoli e gli elettrodomestici del negozio (e non altro), allora il finanziamento nasce solo ed esclusivamente per agevolare il venditore, prima, ed il finanziatore dopo.

Gli aspetti appena evidenziati servono per sottolineare che, tra contratto di finanziamento e quello di compravendita esiste il c.d. collegamento negoziale: vale a dire che il finanziamento non viene erogato una tantum, bensì che tra finanziatore e venditore vi sono accordi preventivi affinché quest'ultimo, per concludere le vendite, raccolga quante più domande di finanziamento possibile.

Il collegamento negoziale, come dice la stessa parola, implica che i contratti tra loro connessi partecipino delle vicende che li riguardano: se, ad esempio, il contratto di compravendita è nullo oppure risolto, le conseguenze della invalidità si trasmetteranno anche al finanziamento e, per l'effetto, il consumatore otterrà la restituzione delle rate versate.

Ebbene, nel caso che ci riguarda, il Tribunale di Milano ha individuato almeno tre motivi concreti per ravvisare il collegamento negoziale.

(A) il modulo prestampato nelle mani del venditore;

(B) l'annotazione della specifica compravendita da parte del venditore sul contratto di finanziamento;


(C) la circostanza che la finanziaria eroga sempre il prestito direttamente al venditore e mai nelle mani del consumatore

5. Il patto di esclusiva 
Nelle aule di giustizia, una delle eccezioni più frequenti da parte delle finanziarie è quella di avere inserito nel contratto una clausola la quale dichiara che tra finanziaria e venditore non vi è patto di esclusiva: questo accorgimento serve in genere a scongiurare che il consumatore sospetti che vendita e finanziamento sono intimamente connessi tra loro, fino a partecipare delle rispettive vicende. 

Tuttavia, non sempre tali clausole resistono al vaglio del giudice: ed infatti, in questo caso il Tribunale di Milano ha fatto una semplice considerazione fondata sulla buona fede. In altre parole, non può essere, a detta dei giudici milanesi, che il compratore rimanga con un elettrodomestico non sostituito e che, al contempo, finanziaria e venditore continuino a beneficiare dell'affare concluso. Ragioni di opportunità, dunque, impongono di riequilibrare questo rapporto; ed infatti, tale clausola è stata disapplicata (per approfondire il punto, vi invitiamo alla lettura della recente sentenza della Cassazione). 

6. Risvolti pratici
Se vi trovate nella vicenda rappresentata in alto, non dovete disperare. 

Anzitutto, prendete i contratti che avete concluso, prestando particolare attenzione a quello di finanziamento. Se noterete che questo modulo riporta i dati del venditore, il riferimento assai preciso all'affare concluso e, soprattutto, al fatto che la finanziaria verserà la somma finanziata nelle mani del venditore, allora è molto probabile che vi sia intimo collegamento tra l'operazione della vendita e quella del finanziamento. 

Ad ultimo, non vi fate spaventare da clausole che cercano di escludere l'esistenza di esclusive o collegamenti negoziali: anzi, in questi casi vale il ragionamento opposto. Proprio perché il contratto di finanziamento esclude l'esclusiva vi è da ritenere, piuttosto, che venditore e finanziatore siano in strettissimi rapporti. 

Infatti, quale sarebbe la ragione per escludere con il contratto tale collegamento, se davvero nei fatti non vi fosse? Potrete proporre i vostri casi a "info@consumatoreinformato.it": riceverete risposta su come muovervi.

Qui di seguito il provvedimento (visibile con browser Opera - VPN attivo)

lunedì 16 luglio 2018

Turista informato - maggiori garanzie con il nuovo D. Lgs. n. 62/2018

Il recente Decreto Legislativo n. 62 del 21 maggio 2018 ha introdotto una serie di interessanti novità in materia, aumentando le tutele previste in favore del consumatore di vacanze.

Una delle prime novità riguarda, infatti, l'estensione dei diritti dei consumatori anche verso gli operatori che non offrono in modo professionale pacchetti vacanza (si pensi alla classica gita organizzata dalla parrocchia o dal comitato di quartiere).

Orbene, anche questi soggetti devono assolvere a tutte le norme che riguardano i consumatori, nel rispetto delle norme del Codice del Turismo e del D. Lgs. n. 206/2005.

Altra novità è il concetto di "pacchetto" turistico, in quanto viene ampliata la definizione inserendo ulteriori servizi turistici "collegati" che contribuiscono a formare l'offerta dell'agenzia o del tour operator verso il consumatore.

Questo mutamento normativo segue il nuovo indirizzo comunitario ed è chiara la finalità di ricomprendere nella normativa anche tutti quei contratti stipulati on line che in precedenza risultavano sprovvisti di valida forma di tutela.

Alla partenza, il tour operator deve consegnare a tutti i viaggiatori un modello informativo standard ove siano descritti tutti i servizi offerti, le informazioni per l'assistenza, ed ogni informazione idonea ad aiutare il viaggiatore in difficoltà.

Nel caso di recesso da parte del viaggiatore, da esercitarsi entro 14 giorni dalla firma del contratto, così come gli altri contratti conclusi fuori dai locali commerciali.

Qui di seguito, il D. Lgs. n. 62/2018.

venerdì 3 novembre 2017

Consumatori obbligati a pagare inutili sovrapprezzi - condannate società energia

Fonte: AGCM
L’Autorità ha chiuso cinque procedimenti istruttori avviati nei confronti di altrettante compagnie attive nella fornitura dei servizi energetici,  A2A, Green Network, E.ON, Edison e Sorgenia, irrogando sanzioni, per un totale complessivo di oltre 900.000 euro, per la violazione dell’art. 62 del Codice del Consumo.


L’Autorità ha accertato che, a partire dal 13 giugno del 2014, data di entrata in vigore della nuova disciplina, le predette società hanno chiesto ai consumatori il pagamento di una commissione di importo variabile, da 1 a 4 euro, in relazione a specifiche modalità di pagamento delle fatture (ad esempio, mediante bollettino postale o con carta di credito).

L’Autorità ha ritenuto che la previsione di questa commissione, in tutti i casi esaminati, fosse in contrasto con l’art. 62 del Codice del Consumo che prevede un divieto generale di imporre ai consumatori spese aggiuntive per l’utilizzo di determinati strumenti di pagamento, senza che risulti possibile, in assenza di esplicite previsioni normative, ribaltare sui consumatori alcun onere e/o costo ad essi ricollegato o ricollegabile.

lunedì 9 ottobre 2017

Royal Park Albatros - anche Brescia cancella l'iscrizione

Nuova cancellazione dell'iscrizione ad un club spagnolo a seguito di un provvedimento adottato dal giudice italiano, il quale riconosce la carenza di informazioni in merito alla tipologia del diritto venduto al consumatore. Nel caso di specie, Il Tribunale di Brescia  dichiara la nullità del contratto di acquisto del certificato presso il resort Royal Park Albatros, e il conseguente obbligo di cancellazione dei consumatori dal registro degli iscritti al club (di seguito potete trovare la tipologia di certificato "cancellata" dal giudice bresciano).

Già vi abbiamo segnalato la sorte di Park Albatros, entrato sotto il controllo di  MGM (M.G. Muthu Group) ed oggetto di una recente operazione di acquisizione entro Atlas Club (vedi).

Nel caso affrontato dal Tribunale di Brescia, il certificato era stato venduto ai consumatori in Spagna dalla società Explotacion Hotelera, mediante alcuni promotori che avevano proposto l'acquisto del titolo a turisti italiani che soggiornavano alle Canarie.

Il Tribunale di Brescia, dopo aver analizzato la vicenda oggetto di ricorso e il modello contrattuale sottoscritto dai consumatori, ha dichiarato la nullità dello stesso per genericità delle informazioni ivi contenute al suo interno.

Il giudice, in particolare, osserva che il contratto non indica in modo specifico né la natura del diritto oggetto di compravendita, né le modalità di esercizio e la tipologia di struttura (appartamento) destinata ai consumatori, né la durata del diritto e la modalità di esercizio del diritto di recesso.

La genericità del contratto, però, emerge con particolare riferimento al periodo temporale durante l'anno ove il consumatore può esercitare il proprio diritto, genericamente definito "periodo rosso" dal modello contrattuale.

Tale carenza, a parere del giudicante, rende del tutto vaga e generica la possibilità da parte del consumatore di poter esercitare il proprio diritto e, come afferma il Tribunale di Brescia "costituisce la più chiara dimostrazione della carenza di un contenuto minimo da cui poter ricavare la determinazione dell'oggetto della prestazione".

Quale conseguenza? il giudice, accertata la nullità del contratto, ha dichiarato che i consumatori non sono tenuti al versamento delle spese di gestione in favore del gestore, ed ordinato a Hotelera di provvedere alla loro cancellazione dal club.

Qui di seguito, il certificato di Royal Park  Albatros Club (RPAC) oggetto della condanna di cancellazione disposta dal Tribunale di Brescia.
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