domenica 15 novembre 2020

Credito al consumo: no alla distinzione tra costi frontali e ricorrenti

La pronuncia in commento oggi, questa volta un’ordinanza del Tribunale di Torino del 22 settembre 2020, uscita nel bel mezzo di una azione di classe contro un grande gruppo bancario, ci consente di inquadrare cosa sta accadendo da quando è stata pubblicata, né più né meno di un anno fa, la sentenza Lexitor (vedi). 

Possiamo dire che la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (leggila qui) ha sollevato il vaso di Pandora su una pratica che, almeno tra le banche italiane, andava avanti almeno dal 2010

Si tratta di un esempio abbastanza evidente di come, nel corso degli anni, il settore bancario abbia complicato e annacquato una norma di per sé adamantina come l’articolo 125 sexies Testo Unico Bancario, travisandone il contesto e la finalità, col risultato di sottoporre ai clienti moduli molto analitici nel descrivere in anticipo i costi del credito al consumo, ma molto meno chiari nel commisurare l’entità dei rimborsi in caso di estinzione anticipata. 

Il diavolo si nasconde nei dettagli, perché a poco serve fornire allegati e tabelle con millimetriche sui costi, se non si spiega al cliente quali sono quelli che verranno rimborsati, se egli estinguerà in anticipo il suo finanziamento.

Ma procediamo con ordine, poiché le circostanze richiedono una fedele ricostruzione storica.  

- 2008: arriva la novità legislativa per il credito al consumo

Tutto ha inizio con la c.d. “seconda direttiva” (2008/48/CE) con la quale L’Unione Europea è entrata a gamba tesa nel settore del credito al consumo. 

Questo mercato, di solito, non prevede meccanismi di finanziamento a lungo termine: ragione per cui il legislatore comunitario, al fine di elevare la protezione i consumatori dai soprusi delle banche, ha imposto all’Italia di prevedere, in caso di rimborso anticipato, il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito, comprendendo i costi e gli interessi dovuti per la restante durata del contratto (vedi art. 16, paragrafo 1, della direttiva). 

E, si noti, già prima dell’entrata in scena di questa direttiva era previsto che il consumatore avesse diritto ad una “equa riduzione del credito”: in altre parole, la seconda direttiva ha precisato e arricchito la tutela già esistente. 

Con consueto ritardo, l’Italia ha recepito la direttiva nell’agosto 2010, e con il Decreto Legislativo 141 del 2010 ha introdotto l’articolo 125 sexies, comma 1, Testo Unico Bancario, disposizione che si applica al credito al consumo in genere (oltre alle cessioni contro il quinto dello stipendio o della pensione). 

Vale la pena, questa volta, di riportare per esteso la norma italiana: “il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”. 

Ancora, l’articolo 121 del medesimo TUB, nel fornire la definizione di “costo totale del credito”, fa riferimento a tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il soggetto concedente il credito è a conoscenza, escluse le spese notarili

- La pratica delle banche: costi frontali/costi di durata......e il consumatore paga!

Benché tali norme siano una fedele traduzione di quanto stava scritto nella seconda direttiva, il sistema bancario italiano ha presto travisato sia il contesto che gli obiettivi che l’Unione Europea si era prefissata con questa direttiva: quello di imprimere una maggiore accelerazione nell’erogazione di crediti di entità non eccessiva. 

Come abbiamo appena evidenziato, il credito al consumo è un mercato con finanziamenti “di corto respiro”, nel quale i costi dovrebbero essere noti sin dal principio, e non determinabili a posteriori. Peraltro, spesso i grandi gruppi bancari non hanno l’interesse a rivolgersi ad intermediari e internalizzano i costi di commercializzazione dei loro contratti, come pure i servizi di assicurazione. 

In altre parole, nel credito al consumo la distinzione tra costi frontali (costi di istruttoria, premi assicurativi, provvigioni per gli intermediari etc.) e costi di durata, ossia quelli che ricorrono durante la vita del finanziamento e si manifestano al pagamento delle singole rate: tale differenza di oneri, oltre a risultare un nominalismo, si è rivelato un espediente per salvaguardare i margini di profitto delle banche. 

Non sfuggirà, infatti, che le banche hanno potuto, con questo stratagemma, fissare costi di istruttoria molto alti all’inizio e rimborsare poco o nulla in caso di estinzione anticipata, perseguendo così disegni palesemente elusivi delle norme comunitarie. 

- Gli effetti della sentenza Lexitor

Diviene così comprensibile il giudizio operato dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza Lexitor. Al di là degli appigli cercati dalle banche nel sminuire la portata innovativa di questa sentenza (queste ultime sono persino arrivate a mettere in dubbio la traduzione in italiano), rimane fermo un dato: se deve essere ridotto il costo totale del credito, tale riduzione non può essere riferita solo ad alcune componenti del credito, cioè a quelle spese non ancora maturate nell’arco della durata del contratto. Deve trattarsi di una riduzione “proporzionale alla durata residua del contratto”, cioè relativa a tutte le componenti di costo. E ciò emerge, a chiare lettere, dagli articoli 121 e 125 del Testo Unico Bancario. 

Tra l’altro, la sentenza Lexitor, essendo stata emanata all’esito di un giudizio vòlto ad interpretare il contenuto della direttiva seconda, quest’ultima trasposta nell’ordinamento italiano, ha dispiegato efficacia retroattiva. 

Questo significa, per i non addetti ai lavori, che la sentenza ha dato modo di colpire tutti quei contratti di credito al consumo nei quali, da agosto 2010 ad oggi, sono stati previsti meccanismi di elusione del rimborso dei costi totali. E, tra questi, sono annoverati quelli del gruppo bancario al quale si riferisce l’ordinanza in commento: il giudice, infatti, ha condannato la banca a comunicare a tutti i clienti, oltre che su almeno tre quotidiani a tiratura nazionale, la possibilità di ottenere ulteriori rimborsi, oltre a quelli preventivati in allora. 

Vedremo, poi, in ulteriori uscite della giurisprudenza in che modo vengono concretamente calcolati i rimborsi. 

Di seguito, trovi in lettura la pronuncia. 

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