domenica 18 dicembre 2022

La responsabilità del medico dipende dalla difficoltà dell'intervento

La Corte di Cassazione è tornata ad affrontare, di recente, la responsabilità medica, ribadendo alcuni principi che caratterizzano questa materia, ed in particolare la responsabilità del medico per colpa grave nell'esecuzione dell'intervento che possa portare danni gravi al paziente.

Sotto questo profilo, il provvedimento che potete leggere di seguito chiarisce che nel caso di intervento errato, in quanto eseguito con imperizia dal medico, ai fini della dichiarazione della sua responsabilità per il danno occorso al paziente, risulta necessario accertare il grado di difficoltà dell'operazione.

Chiarisce il Giudice di legittimità che: "Il criterio di colpa del professionista, quindi, varia a seconda della  in realtà la colpa è lieve non quando la patologia sia grave, ma quando la sua cura sia difficile. E' la difficoltà di intervento che rende la colpa meno grave, giudicabile con minor rigore. L'accertamento della gravità della colpa, dunque, avrebbe dovuto svolgersi dunque con riferimento alla difficoltà dell'intervento piuttosto che con riferimento alla gravità della patologia.".

In termini più semplici, il principio generale ribadito dalla Suprema Corte è che il criterio di determinazione della colpa - lieve o grave - dipende da quanto risulti difficile e particolare l'intervento che deve essere eseguito dal medico, e quindi tanto più è semplice la diagnosi e il successivo intervento, tanto è più grave la condotta del medico che con imperizia cagiona il danno al paziente.

Per contro, può escludersi la responsabilità professionale del medico nel caso in cui l'intervento sia di particolare difficoltà e il risultato non sia raggiunto così come prospettato, a meno che non sia accertata una condotta gravemente negligente del medico.

Corte di Cassazione - sentenza n. 4905/2022


Corte di Cassazione Sent. n. 4905/2022 

Sentenza sul ricorso iscritto al n. 33977- 2019 R.G. proposto da A.A., S.G. e F. A., rappresentati e difesi dagli avvocati A.F. e A.R., e domiciliati in Roma, via Tiburtina, 352 presso lo studio dell'avv. M. D.; - ricorrenti - contro Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Iannini e Gabrielli, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. E. Ponte, in Catanzaro, via Torcia 12/D; - controricorrente - contro Dott. F.T., rappresentato e difeso dall'avvocato A. C. E Unipol Assicurazioni spa, in persona del legale rappresentate pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. S. S. del Foro di Catania, ed elettivamente domiciliato in Catanzaro via Greco n. 6, presso lo studio dell'Avv. N. M., avverso la sentenza della sentenza della Corte di Appello dì Catanzaro, sezione III" civile, n. 1588 del 2019, depositata il 24.7.2019; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13.12.2021 dal Consigliere G. CRICENTI 

FATTI DI CAUSA 

1.- A.A. e S. G., in proprio, nonché quali genitori legali rappresentanti di F. A., con atto di citazione del marzo 2006, hanno citato in giudizio la ASL n. 1 di Paola, poi diventata ASP di Cosenza, nonché i dottori F.T. e G.M.. La ragione della citazione in giudizio è la seguente. §.- Il 26.8.2001 è nata, nell'Ospedale di Paola, F. A., a cui, dopo un paio di mesi, è stata diagnosticata una displasia congenita dell'anca bilaterale, per la cui cura, il medico che l'ha diagnosticata ha prescritto l'applicazione della cosiddetta mutandina di Già, per due mesi, trascorsi i quali, il medesimo medico ha richiesto la consulenza del dott. F.T.: costui, dopo una radiografia, ha curato la bambina con mutandina rigida e con un divaricatore, per diversi mesi, fino a quando ha ritenuto necessario un intervento chirurgico destinato a ridurre la displasia, ed a ripristinare il normale rapporto tra testa femorale e acetabolo. L'intervento è stato eseguito senza narcosi, per le carenze dell'Ospedale in quel momento, ma senza risultati positivi, anzi, con un aggravamento della displasia iniziale: i genitori hanno dunque portato la bambina in cura a Genova, ed in seguito, presso l'Ospedale Rizzoli di Bologna dove è stato cambiato il trattamento sanitario, liberando le anche dalla gessatura permanente, e dove sono stati eseguiti quattro interventi chirurgici, che hanno consentito alla bambina, all'età ormai di tre anni, di cominciare a camminare. §.- Per queste ragioni i genitori di F. A., anche per conto di quest'ultima, hanno citato in giudizio la ASL di Paola, poi inglobata nella ASP di Cosenza, il dott. F. T. ed altro sanitario, il dott. A. M., che contemporaneamente quasi a quello, si era dedicato alle cure della bambina. La ASP di Cosenza ed il dott. T. hanno chiamato in giudizio la Unipol Ass.ni, con la quale avevano un contratto di garanzia assicurativa, mentre il dott. M. ha chiamato in giudizio la Fondiaria spa. Ciascuna di queste compagnie si è costituita in giudizio con argomenti difensivi tesi al rigetto della domanda. §.- Con la citazione a giudizio, gli attori hanno fatto valere la responsabilità dei convenuti, per l'invalidità temporanea della bambina, che per i primi anni non ha potuto camminare, oltre al danno da invalidità permanente dovuto comunque all'iniziale mancato tentativo di ridurre la displasia, che ha comportato una invalidità del 20%, consistente nella residuata diversa lunghezza di un arto rispetto all'altro. Per loro conto, i convenuti hanno contestato la pretesa degli attori osservando che alcuna colpa era da ascriversi al loro comportamento, ma alla particolare gravità della patologia congenita. 

2.- Il Tribunale di Paola ha accolto la domanda nei confronti della Asp di Cosenza e del dott. T., riconoscendo sia una colpa professionale in capo a quest'ultimo che colpa contrattuale in capo alla Asp, per la mancanza di una organizzazione utile a far svolgere adeguatamente l'intervento chirurgico. Ha invece rigettato la domanda nei riguardi del dott. M. per assenza di colpa. 

    2.1.- Questa sentenza è stata appellata con due distinti atti, dalla Unipol Sai e dal dott. F.T., e ciascuno dei due ha fatto valere motivi propri: la prima, in particolare, ha censurato la decisione quanto alla ritenuta efficacia della copertura assicurativa, che invece, secondo la Unipol Sai era da escludersi, e quanto al danno morale liquidato in proprio ai genitori; per [...] contro, il dott. T. ha contestato la decisione nel punto in cui gli ha addebitato colpa professionale nel trattamento della displasia. I due appelli sono stati riuniti. 

    2.2.- Si sono costituiti in appello sia la ASP Cosenza la quale, oltre a ribadire la copertura assicurativa, ha altresì insistito per l'assenza di colpa professionale dei medici, che i genitori della bambina, che invece hanno chiesto il rigetto del gravame. 2.3.- La Corte di Appello ha ritenuto che la ASP Cosenza, "concludendo per la riforma della sentenza impugnata, ha implicitamente proposto appello incidentale, che tuttavia deve ritenersi inammissibile", perché tardivo, ed ha tuttavia accolto l'appello di Unipol Sai e del dott. T., rigettando così la domanda di risarcimento: i giudici di secondo grado hanno, sulla base della CTU, ipotizzato solo una colpa lieve del sanitario, non rilevante ai sensi dell'articolo 2236 c.c. 

3.- Avverso questa decisione hanno fatto ricorso A.A. e S. G., genitori di F. A. che ha agito in proprio, essendo diventata nel frattempo maggiorenne. Si è costituito il solo dott. T. che, con controricorso, ha chiesto il rigetto della impugnazione. Le parti hanno depositato memorie. Il PM ha chiesto l'accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso. I motivi di ricorso sono quattro. 

RAGIONI DELLA DECISIONE 

4.- Primo e secondo motivo di ricorso possono scrutinarsi insieme. 

    4.1.- Il primo motivo fa valere nullità della sentenza per violazione dell'articolo 132 c.p.c., e dunque per difetto di motivazione: secondo i ricorrenti, la Corte di Appello, pur dopo aver dichiarato inammissibile l'appello incidentale della ASP di Cosenza, ha tuttavia, accogliendo l'appello del dott. T., respinto la domanda degli attori non solo nei confronti di quest'ultimo, ma altresì della stessa ASP Cosenza, che invece era stata ritenuta responsabile dei danni per un titolo autonomo, vale a dire per le carenze organizzative. Secondo i ricorrenti, i giudici di appello non hanno chiarito perché, avendo dichiarato inammissibile l'appello della ASP Cosenza, non hanno conseguentemente preso atto che il capo di decisione che quest'ultima impugnava - la sua responsabilità per carenze organizzative- passava di conseguenza in giudicato: ed invece lo hanno accolto, in accoglimento dell'appello del dott. T.. 

    4.2.- Il secondo motivo è sulla stessa questione del primo, che viene prospettata secondo un diverso vizio: i ricorrenti infatti ritengono violati gli articoli 329, 342, 103, 112 e 99 c.p.c., nel senso che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che sulla responsabilità della ASP di Cosenza, per l'autonoma condotta consistente nella mancanza di organizzazione idonea a fare eseguire correttamente l'intervento, si era formato il giudicato, una volta dichiarato inammissibile l'appello incidentale della ASP: e si osserva, tra l'altro, che la ASP nemmeno aveva impugnato, a dirla tutta, quel capo di sentenza. Con la conseguenza che, rigettando anche la domanda nei confronti della ASP, i giudici di secondo grado, hanno escluso tale responsabilità decidendo comunque nel merito. I due motivi sono fondati. Dalla lettura della sentenza di primo grado, cui questa Corte può ovviamente accedere, risulta che il Tribunale ha accertato un inadempimento della Asp insito nelle carenze organizzative necessarie a quel tipo di intervento e di cura. Scrive infatti il giudice di merito che "non è dimostrato, in ogni caso, che presso l'Ospedale di Paola vi fosse un reparto ortopedico infantile o un "letto specializzato" di tipo pediatrico, pure utili nel trattamento della piccola F.. L'inadempimento della prestazione terapeutica, dunque, va ascritto non solo all'erroneità delle scelte terapeutiche del dr. T., ma anche a deficienze strutturali dell'Ospedale San F. di Paola" (p.6). L'accertamento in questione, fondato o meno che fosse, ha costituito autonoma ragione di condanna della ASP, la cui responsabilità, in dispositivo, viene ritenuta concorrente con quella del medico: si tratta quindi di un capo autonomo di decisione, che avrebbe dovuto essere impugnato autonomamente, e che non può ritenersi appellato attraverso l'impugnazione dell'altro capo, ossia di quello che ha affermato la responsabilità del medico. Del resto, è perfettamente configurabile una responsabilità autonoma e propria della struttura verso il paziente, a prescindere dalla condotta del medico, e consistente in carenze di carattere organizzativo rilevanti (Cass. 21090/ 2015). L'appello della ASP di Cosenza, anche ad ammettere che abbia avuto ad oggetto quel capo di decisione, è stato tuttavia dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello, con la conseguenza che il capo di decisione che ha accertato la responsabilità propria della ASP per difetto organizzativo, è diventato definitivo e non poteva essere riformato in accoglimento dell'appello del medico, che peraltro non risulta abbia riguardato quel capo di decisione e che, del resto, non poteva riguardarlo non essendovi interesse del medico a contestare la responsabilità dell'ente per le carenze strutturali addebitate: è significativo peraltro che il dott. T., nel controricorso, non si cura affatto di contestare questi due motivi di ricorso, proprio perché non lo riguardano, attenendo essi, come si è visto, ad una condotta autonoma della ASP. Peraltro, ed è ragione del primo motivo, non è speso alcun argomento per sostenere che, pur essendo inammissibile l'appello della ASP, il capo di sentenza che la ha riguardata, andasse comunque riformato. Invero, i giudici di appello, a pagina 12 danno atto che i ricorrenti, allora appellati, avevano eccepito il passaggio in giudicato di quel capo di sentenza, in conseguenza della tardiva costituzione della ASP. Il che avrebbe dovuto comportare una qualche motivazione per escludere quel giudicato, nonostante l'inammissibilità dell'appello della parte condannata in primo grado. Ne deriva di conseguenza che sulla responsabilità dell'Ospedale per condotta propria, consistente nella mancata predisposizione di attrezzatura idonee a far svolgere correttamente l'intervento, è da ritenersi formatosi il giudicato. 

5.-11 terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 1218, 1176, 2236, 2697, 2727 e 2043 c.c., oltre che 115 c.p.c. La tesi è la seguente. Il giudice di appello ha rigettato la domanda di risarcimento nei confronti del medico, dott. T., assumendo che, in base alle prove raccolte, ed in particolare alla CTU, era emersa tutt'al più una colpa lieve nel trattamento della displasia: colpa di imperizia dovuta alla particolare difficoltà del caso. Questa conclusione sarebbe dovuta ad un'erronea interpretazione della CTU e ad una erronea interpretazione delle regole sull'onere della prova: la Corte di Appello ha in sostanza ritenuto la colpa lieve pur dopo avere preso atto che una diagnosi precoce era stata fatta e che in caso di diagnosi precoce, il problema si dimostra risolto nel 96% dei casi; e già questo avrebbe dovuto comportare la conclusione che, il mancato risultato non è dovuto a colpa lieve, bensì grave. Inoltre, il giudice di appello avrebbe ritenuto di particolare gravità la condizione della bimba, non ostante quanto detto prima, sulla scorta delle risultanze della CTU e degli altri elementi di prova, da cui peraltro era emerso che v'è stato bisogno, in seguito di numerosi interventi per giungere ad una parziale guarigione. In sostanza, il senso del motivo è in una sorta di illogicità di questa deduzione: se la diagnosi precoce consente una guarigione completa nel 96% dei casi, e se la diagnosi è stata, per l'appunto, precoce, come pacifico, allora non si può dedurre l'assenza di colpa (o una colpa lieve) bensì si deve dedurre una colpa grave. Il motivo è fondato. Premessa, ovviamente, la nota regola di questa Corte in tema di colpa lieve: vale ad escludere responsabilità quando l'intervento medico sia di particolare difficoltà e solo ove si tratti di imperizia, non già di negligenza o imprudenza, casi questi ultimi in cui anche la colpa lieve è fondamento di responsabilità (almeno da Cass. 4152 del 1995 in poi). Se la Corte di Appello si spinge a discutere di colpa lieve, è perché questa ipotesi è adombrata dal CTU, il quale, dalla circostanza che il medico non ha saputo indicare una diversa causa del persistere della displasia, della mancata guarigione, ne deduce che quel mancato risultato gli è imputabile per colpa lieve: la Corte di Appello prende atto di tale indicazione del CTU quale mera ipotesi: "in sostanza il consulente di ufficio ha ritenuto sussistente la "colpa lieve" del dott. T. non già per aver positivamente riscontrato una colpa medica, ma perché, in base alle regole di riparto dell'onere della prova che connotano la responsabilità contrattuale, doveva addossarsi al T. il fallimento delle terapie incruenti , con un criterio di colpa da valutarsi come lieve, non essendo stata dimostrata la corretta centratura delle teste dei femori nelle anche quando è stata ingessata la piccola" (p. 19). Questa ratio si espone a due rilievi: il primo è che la invenzione della colpa lieve è fatta consistere in un difetto di prova, ossia della "corretta centratura delle teste dei femori", rispetto a cui vale il rilievo che quel difetto dimostra semmai una colpa tout court , vale a dire una erronea manovra medica, difforme da come imposto dalle regole della medicina, e nient'altro; che sia lieve o grave quella difformità di condotta rispetto a quella imposta è questione che richiede un ulteriore criterio, diverso dal mero insuccesso in sé. Ed infatti, il secondo rilievo è di avere ricavato, in altra parte della motivazione, la lievità della colpa dalla gravità della patologia ("tenuto conto della particolare complessità della condizione patologica congenita della minore, che, nonostante i corretti trattamenti medici somministrati, non è regredita, ed è, anzi, evoluta in lussazione delle anche") (p. 19): in realtà la colpa è lieve non quando la patologia sia grave, ma quando la sua cura sia difficile. E' la difficoltà di intervento che rende la colpa meno grave, giudicabile con minor rigore. L'accertamento della gravità della colpa, dunque, avrebbe dovuto svolgersi dunque con riferimento alla difficoltà dell'intervento piuttosto che con riferimento alla gravità della patologia. 

6.- quarto motivo fa valere violazione degli articoli 112 e 132 c.p.c. e ritiene che la Corte di Appello ha omesso di pronunciare sul primo motivo di appello della Unipol Sai che era rivolto verso la statuizione con cui il Tribunale, ritenuta la nullità della clausola claims made, ha affermato la efficacia della copertura assicurativa a vantaggio della ASP. Il motivo è inammissibile. Della omissione si può dolere solo la Unipol Sai, il cui motivo di appello sarebbe stato trascurato: non si vede che interesse abbiano i ricorrenti a lamentarsene loro, né tale interesse deriva dalla condanna in solido, in primo grado, della ASP Cosenza e della Unipol Sai, anche ove tale condanna debba rivivere, per l'accoglimento dei primi due motivi, ed anzi, ancor più difetta interesse a cagione di tale accoglimento. 

7.- Vanno dunque accolti i primi tre motivi di ricorso, con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione. 

P.Q.M. 

La Corte accoglie i primi tre motivi, dichiara inammissibile il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per le spese. Così deciso in Roma , il 13 dicembre 2021.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...