La recente Ordinanza del 5 marzo 2024, n. 5922 della Suprema Corte di Cassazione, provvedimento che potete trovare in calce, è tornata a tratteggiare i limiti che riguardano il riparto dell’onere della prova in materia di responsabilità sanitaria.
La questione è tutt'altro che secondaria, in quanto molti consumatori ritengono certo il risarcimento del danno nei casi di malasanità, ignorando che esiste un obbligo di prova a carico della parte che chieda giustizia.
Il provvedimento del Giudice di legittimità chiarisce come deve essere suddivisa la prova nel caso in cui il paziente subisca un danno a seguito di una prestazione medica, ottenuta in un ospedale (come nel caso di specie), oppure presso un ambulatorio, come nel caso di intervento odontoiatrico o di chirurgia estetica.
Occorre premettere, peraltro, che la sentenza affronta un caso precedente alle nuove norme introdotte con la riforma Gelli - Bianco (legge n. 24/2017), le quali hanno, di fatto, legalizzato principi giurisprudenziali già consolidati, introducendo alcune importanti modifiche.
Dal 2017, infatti, la responsabilità del professionista in ambito sanitario è, a seguito dell'entrata in vigore della citata riforma, guidata dai principi aquiliani, sicché nel caso di errore medico, quest'ultimo risponderà ex art. 2043 c.c..
Diversamente, per la struttura sanitaria trova applicazione la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., sul presupposto che tra il paziente/consumatore e il professionista si crea un rapporto contrattuale, violato da quest'ultimo.
Ma come deve suddividersi la prova tra paziente e professionista nel caso di responsabilità medica per i casi precedenti al 2017? Cosa deve provare il primo e cosa deve provare l'ospedale?
Il provvedimento della Suprema Corte ha chiarito principi evidenziando alcuni punti che qui vogliamo richiamare:
a.- i principi di ripartizione della prova sono quelli della responsabilità contrattuale (valido prima della legge Gelli - Bianco)
La Cassazione ribadisce che i casi antecedenti alla legge n. 24/2017 sono regolati dalla prova da responsabilità contrattuale: "Il criterio di riparto dell'onere della prova in siffatte fattispecie non è pertanto quello che governa la responsabilità aquiliana (nell'ambito della quale il danneggiato è onerato della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito ascritto al danneggiante) ma quello che governa la responsabilità contrattuale, in base al quale il creditore che abbia provato la fonte del suo credito ed abbia allegato che esso sia rimasto totalmente o parzialmente insoddisfatto, non è altresì onerato di dimostrare l'inadempimento o l'inesatto adempimento del debitore, spettando a quest'ultimo la prova dell'esatto adempimento".
b.- il paziente deve dimostrare che il danno subito sia conseguenza della condotta inadempiente del medico
La Cassazione chiarisce che il paziente che subisce un danno conseguente a malasanità dovrà dimostrare il danno e il nesso causale del pregiudizio subito e i comportamenti del professionista.
Il danneggiato deve dimostrare quali danni siano conseguenza degli errori del medico, e quindi quali menomazioni abbia sofferto a causa dell'operazione.
Il nesso causale rappresenta il collegamento tra le condotte contestate e i danni sofferti dal paziente e, come noto, la causalità può essere provata seguendo il principio del "più probabile che non": deve esistere una buona probabilità che il danno subito dal paziente sia diretta conseguenza degli inadempimenti del medico.
"In particolare, con precipuo riferimento alle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni professionali - tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica - questa Corte ha da tempo chiarito che è onere del creditore-attore dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del professionista è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno lamentato (Cass. 07/12/2017, n.29315; Cass. 15/02/2018, n. 3704; Cass. 20/08/2018, n. 20812)".
c.- l'ospedale e il medico devono dimostrare di aver tenuto delle condotte corrette o che l'eventuale inadempimento sia stato causato da evento imprevedibile e inevitabile
La struttura ospedaliera e il medico sono chiamati a provare di aver adottato tutte le condotte corrette e trasparenti nell'esecuzione dell'atto medico, o comunque che il danno non sia conseguenza dei propri comportamenti.
In primis, il professionista deve dimostrare di aver adottato tutti i comportamenti previsti dagli standard medici e quindi, in ultima istanza, di aver adempiuto a tutte le condotte previste.
In secondo luogo, il professionista può altresì provare che l'eventuale inadempimento sia avvenuto per causa di un impedimento imprevedibile o inevitabile che abbia causato la condotta contestata e quindi oggettivamente non contestabile al medico.
"è onere del debitore dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza, e dunque sia oggettivamente non imputabile all'agente (ex aliis, tra le più recenti, Cass. 29/03/2022, n.10050; Cass.27/02/2023, n. 5808).".
Qui di seguito, il provvedimento della Corte di Cassazione Sez. III^ Civ. - Ordinanza n. 5992/2024
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