La sentenza in commento, emessa dalla Corte di Appello dell’Aquila il 22 novembre 2017, presenta il tema della gradualità dei rimedi di cui dispone il viaggiatore, nel caso in cui l’organizzatore gli rovini la vacanza, non per questo addivenendo alla rottura dei rapporti.
Non è infrequente che il consumatore, per il sol fatto di avere subito un sopportabile disagio, colga il pretesto per intentare cause dispendiose.
A nostro avviso, il caso in esame prende le mosse da una lettura particolare (e forse non completa) dei fatti che hanno caratterizzato la vicenda: a fronte di un contratto di viaggio e di coupon che prevedevano la villeggiatura stabile presso una sola struttura vacanziera, i ricorrenti hanno contestato di avere soggiornato “nella stessa struttura due giorni in una stanza doppia con giardino, un giorno in camera doppia senza giardino e per il residuo periodo, nel bungalow con giardino” senza che la sistemazione fosse loro riferita.
Se è pur vero che diverse disposizioni, anche di derivazione comunitaria, impongono di valutare la gravità dell’inadempimento, tuttavia tale valutazione va contestualizzata: e, per certo, non costituisce il pretesto per condotte opportunistiche, prive di ragionevolezza e lealtà di giudizio.
Tale conclusione, oltre ad essere una norma di buon senso, è quello che si ricava dal principio di buona fede contrattuale (art. 1175 cod. civ.), il quale nella lettura offerta dal giudice impone, tra l’altro, di valutare qual è l’interesse dell’altro contraente e di evitare di risolvere il contratto quando il soddisfacimento del proprio può essere raggiunto tramite un rimedio che non metta a repentaglio il rapporto contrattuale.
L’applicazione di tale elementare principio viene svolta dalla Corte di Appello attraverso il seguente ragionamento: “Nel caso di specie, quindi, anche laddove quanto lamentato da parte appellante, ossia che la sistemazione fosse prevista, come da giornale di viaggio, nella medesima struttura ma in tre diverse e temporalmente successive collocazioni, ciò non avrebbe potuto rappresentare il lamentato fatto di inadempimento, poiché in ogni caso l'esistenza delle circostanze che individuano l'inadempimento deve valutarsi, comunque, nei termini di diritto comune, e, quindi, con riferimento alla gravità delle mancanze nell'ambito della valutazione comparativa dei rispettivi interessi delle parti contraenti.
Conseguentemente, mentre si sarebbe potuta valutare in termini di grave inadempimento l'originaria prospettazione di un cambio di struttura alberghiera nel periodo del soggiorno, giacché il disagio connesso allo spostamento tra diverse strutture e diverse sistemazioni pur nella medesima località turistica incideva, negativamente ed in maniera apprezzabile, sulla fruizione e, soprattutto, sull'organizzazione del tempo ricreativo nell'ambito di una particolare vacanza qual è la luna di miele, non altrettanto poteva dirsi per gli spostamenti dedotti nel giornale di viaggio - peraltro affatto indicati nell'unico titolo abilitativo per la fruizione dei servizi, il voucher né nella proposta sottoscritta dalla C.P.A. - che avrebbero causato un disagio per niente predicabile in termini di effettivo pregiudizio risarcibile né, men che mai, di inadempimento.”
In definitiva, e a chiusura di tale condivisibile massima, non è mai errato ricordare che, a fronte del disagio patito all’interno di una struttura vacanziera, la contestazione dell’inadempimento contrattuale e la richiesta del risarcimento del danno costituisce un rimedio estremo, proprio di rapporti contrattuali irrimediabilmente deteriorati.
Diverso è il servizio alberghiero prestato al di fuori di personali aspettative: in tal caso, tuttavia, il rimedio più equilibrato è costituito dal reclamo.
Di seguito, la sentenza in lettura.