domenica 10 gennaio 2021

Formaggio DOP - limiti alla riproduzione di una indicazione se inganna il consumatore

Capita, ogni tanto, di uscire dal territorio del consumatore, affrontando tematiche che solo all'apparenza sembrano lontano dalla tutela del contraente debole. 

Questa domenica segnaliamo la recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, chiamata a pronunciarsi in merito alla possibilità di riprodurre un immagine di denominazione d'origine protetta (DOP) e la tutela del consumatore dall'inganno.

La Corte ha, in buona sostanza, ribadito il principio di divieto per il venditore di riprodurre con l'immagine la forma e aspetto di un prodotto DOP, laddove possa indurre in errore il consumatore finale.

Il principio, che potete trovare nella causa decisa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza 17 dicembre 2020 nella causa C-490/19 intercorsa tra l'associazione per la tutela del formaggio Morbier (Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier) e la società Fromagère du Livradois, ha un fine di tutela dell'utente finale e, in ultima istanza, della provenienza e creazione del prodotto offerto sul mercato.

Nel caso di specie, dei prodotti caseari presentavano una immagine simile a quella del prodotto DOP locale (francese), pur non rispettando i presupposti di produzione del formaggio idonei per poterlo classificare come prodotto territoriale.

La vicenda è arrivata avanti alla Corte di giustizia, la quale ha stabilito il divieto della riproduzione della forma o dell'aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, nel caso in cui tale opera possa indurre in errore il consumatore, convinto che si tratti di un prodotto a denominazione registrata. 

La valutazione in merito, ossia se vi sia stata una violazione del divieto, viene lasciata al  giudice nazionale che deve operare una serie di controlli volti ad accertare se quel prodotto sia presentato e commercializzato al pubblico in modo corretto e idoneo a non indurre in inganno il consumatore finale.

 Qui di seguito, la sentenza della Corte di Giustizia UE (C - 490/2019)

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

17 dicembre 2020 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Agricoltura – Protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari – Regolamento (CE) n. 510/2006 – Regolamento (UE) n. 1151/2012 – Articolo 13, paragrafo 1, lettera d) – Prassi che può indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti – Riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto la cui denominazione è protetta – Denominazione d’origine protetta (DOP) “Morbier”»

Nella causa C‑490/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia), con decisione del 19 giugno 2019, pervenuta in cancelleria il 26 giugno 2019, nel procedimento

Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier

contro

Société Fromagère du Livradois SAS,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan, presidente di sezione, K. Lenaerts, presidente della Corte, facente funzione di giudice della Quinta Sezione, M. Ilešič, C. Lycourgos e I. Jarukaitis (relatore), giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: M. Krausenböck, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 giugno 2020,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier, da J.-J. Gatineau, avocat;

–        per la Société Fromagère du Livradois SAS, da E. Piwnica, avocat;

–        per il governo francese, da C. Mosser e A.-L. Desjonquères, in qualità di agenti;

–        per il governo ellenico, da G. Kanellopoulos, E. Leftheriotou e I.-E. Krompa, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da D. Bianchi e I. Naglis, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 settembre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2006, L 93, pag. 12), e dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2012, L 343, pag. 1).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier (associazione per la tutela del formaggio Morbier; in prosieguo: il «Syndicat») e la Société Fromagère du Livradois SAS, in merito a una violazione della denominazione d’origine protetta (DOP) «Morbier» e ad atti di concorrenza sleale e parassitaria contestati a quest’ultima.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        I considerando 4 e 6 del regolamento n. 510/2006, abrogato dal regolamento n. 1151/2012, enunciavano quanto segue:

«(4)      Di fronte alla grande varietà di prodotti commercializzati e alla moltitudine di informazioni al loro riguardo il consumatore dovrebbe disporre di un’informazione chiara e succinta sull’origine del prodotto, in modo da potersi meglio orientare nella scelta.

(...)

(6)      È opportuno prevedere un approccio comunitario per le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche. Un quadro normativo comunitario che contempli un regime di protezione consente di sviluppare le indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine poiché garantisce, tramite un approccio più uniforme, condizioni di concorrenza uguali tra i produttori dei prodotti che beneficiano di siffatte diciture, migliorando la credibilità dei prodotti agli occhi dei consumatori».

4        L’articolo 13, paragrafo 1, di tale regolamento era così formulato:

«Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a)      qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare la reputazione della denominazione protetta;

b)      qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione” o simili;

c)      qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sull’origine;

d)      qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti.

(...)».

5        I considerando 18 e 29 del regolamento n. 1151/2012 così recitano:

«(18)      La protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche persegue gli obiettivi specifici di garantire agli agricoltori e ai produttori un giusto guadagno per le qualità e caratteristiche di un determinato prodotto o del suo metodo di produzione, e di fornire informazioni chiare sui prodotti che possiedono caratteristiche specifiche connesse all’origine geografica, permettendo in tal modo ai consumatori di compiere scelte di acquisto più consapevoli.

(...)

(29)      È opportuno tutelare i nomi iscritti nel registro allo scopo di garantirne un uso corretto e di evitare le pratiche che possano indurre in errore i consumatori (...)».

6        Ai sensi dell’articolo 4 di tale regolamento, intitolato «Obiettivo»:

«È istituito un regime di denominazioni di origine protette e di indicazioni geografiche protette al fine di aiutare i produttori di prodotti legati a una zona geografica nei modi seguenti:

a)      garantendo una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti;

b)      garantendo una protezione uniforme dei nomi in quanto diritto di proprietà intellettuale sul territorio dell’Unione;

c)      fornendo ai consumatori informazioni chiare sulle proprietà che conferiscono valore aggiunto ai prodotti».

7        L’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), di detto regolamento, che riprende sostanzialmente la formulazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 510/2006, così dispone:

«Ai fini del presente regolamento, “denominazione di origine” è un nome che identifica un prodotto:

a)      originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati;

b)      la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani (...)».

8        La formulazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del medesimo regolamento riprende, in sostanza, quella dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006. Vi è stata aggiunta unicamente, alla fine delle lettere a) e b), l’espressione «anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente».

9        In applicazione del regolamento (CE) n. 2400/96 della Commissione, del 17 dicembre 1996, relativo all’iscrizione di alcune denominazioni nel Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette di cui al regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU 1996, L 327, pag. 11), come modificato dal regolamento (CE) n. 1241/2002 della Commissione, del 10 luglio 2002 (GU 2002, L 181, pag. 4), la denominazione «Morbier» è stata iscritta come DOP nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette, che figura in allegato a tale regolamento.

10      La descrizione del prodotto contenuta nel disciplinare, fornita dal regolamento di esecuzione (UE) n. 1128/2013 della Commissione, del 7 novembre 2013, recante approvazione di una modifica minore del disciplinare di una denominazione registrata nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette [Morbier (DOP)] (GU 2013, L 302, pag. 7), è la seguente:

«Il “Morbier” è un formaggio prodotto con latte crudo vaccino, a pasta pressata, non cotta, di forma cilindrica piatta a facce piane e scalzo lievemente convesso, con diametro da 30 a 40 cm, altezza da 5 a 8 cm e peso da 5 a 8 kg.

Esso presenta al centro una striscia nera orizzontale, unita e continua lungo tutto il taglio.

La crosta è naturale, strofinata, di aspetto regolare, ammuffita, segnata dalla trama dello stampo, di un colore che va dal beige all’arancione, con sfumature aranciate tendenti al marrone, al rosso e al rosa. La pasta è omogenea, di un colore che va dall’avorio al giallo pallido e presenta spesso un’occhiatura sparsa del diametro di un ribes o bollicine appiattite. Essa è morbida al tatto, burrosa e tenera, poco collosa al palato, a grana liscia e sottile. Il gusto è schietto, con note lattiche, di caramello, vaniglia e frutta; i sapori sono equilibrati e, con la stagionatura, la gamma aromatica si arricchisce di note tostate, speziate e vegetali. Il contenuto di grassi è di almeno 45 g/100 g dopo completa essiccazione. Il tasso di umidità nel formaggio scremato deve essere compreso tra il 58% e il 67%. La stagionatura del formaggio dura almeno 45 giorni a partire dal giorno di produzione, senza interruzione del ciclo».

 Diritto francese

11      L’articolo L. 722-1 del code de la propriété intellectuelle (codice della proprietà intellettuale), nella versione applicabile al procedimento principale, dispone quanto segue:

«Qualsiasi danno arrecato a un’indicazione geografica fa sorgere la responsabilità civile del suo autore.

Ai fini dell’applicazione del presente capo, per “indicazione geografica” si intendono:

(...)

b)      le denominazioni d’origine protette e le indicazioni geografiche protette previste dalla normativa comunitaria relativa alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli o alimentari;

(...)».

12      Il formaggio Morbier gode di una una denominazione d’origine controllata (DOC) a partire dal décret du 22 décembre 2000 relatif à l’appellation d’origine contrôlée «Morbier» (decreto del 22 dicembre 2000, relativo alla denominazione d’origine controllata «Morbier») (JORF n. 302 del 30 dicembre 2000, pag. 20944), poi abrogato, che ha definito una zona geografica di riferimento, nonché le condizioni necessarie per ottenere tale denominazione d’origine, e ha previsto, all’articolo 8, un periodo transitorio per le imprese situate al di fuori di tale zona geografica che producevano e commercializzavano formaggi con la denominazione «Morbier» in modo continuativo, al fine di consentire loro di continuare a utilizzare tale denominazione senza la menzione «DOC», fino alla scadenza di un termine di cinque anni dalla pubblicazione della registrazione della denominazione d’origine «Morbier» a titolo di DOP.

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

13      Conformemente al decreto del 22 dicembre 2000, la Société Fromagère du Livradois, che produceva formaggio morbier dal 1979, è stata autorizzata a utilizzare la denominazione «Morbier», senza la menzione DOC, fino all’11 luglio 2007, data a partire dalla quale essa ha sostituito la denominazione con «Montboissié du Haut Livradois». La Société Fromagère du Livradois ha inoltre depositato, il 5 ottobre 2001, negli Stati Uniti, il marchio americano «Morbier du Haut Livradois», che ha rinnovato nel 2008 per dieci anni e, il 5 novembre 2004, il marchio francese «Montboissier».

14      Contestando alla Société Fromagère du Livradois il fatto di arrecare danno alla denominazione protetta e di commettere atti di concorrenza sleale e parassitaria, producendo e commercializzando un formaggio che riprende l’aspetto visivo del prodotto protetto dalla DOP «Morbier», al fine di creare confusione con quest’ultimo e di sfruttare la notorietà dell’immagine ad esso associata, senza doversi conformare al disciplinare della denominazione d’origine, il Syndicat l’ha citata in giudizio, il 22 agosto 2013, dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia), affinché fosse condannata a cessare qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto della denominazione della DOP «Morbier» per prodotti da essa non protetti, ogni usurpazione, imitazione o evocazione della DOP «Morbier», ogni altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto con qualunque mezzo che possa indurre in errore sull’origine del prodotto, ogni altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, e in particolare un qualsiasi uso di una striscia nera che separi due parti del formaggio, e a risarcire il danno subito.

15      Tali domande sono state respinte con sentenza del 14 aprile 2016, confermata dalla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) con sentenza del 16 giugno 2017. Quest’ultima ha dichiarato che non costituiva un illecito la commercializzazione di un formaggio che presentava una o più caratteristiche contenute nel disciplinare del formaggio Morbier e che si avvicinava quindi a quest’ultimo.

16      In tale sentenza, dopo aver dichiarato che la normativa sulla DOP è diretta a tutelare non l’aspetto di un prodotto o le sue caratteristiche descritte nel suo disciplinare, ma la sua denominazione, di modo che essa non vieta la fabbricazione di un prodotto mediante le stesse tecniche definite nelle norme applicabili all’indicazione geografica, e dopo aver considerato che, in mancanza di un diritto esclusivo, la riproduzione dell’aspetto di un prodotto si inserisce nella sfera della libertà di commercio e d’industria, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha dichiarato che le caratteristiche evocate dal Syndicat, in particolare la striscia blu orizzontale, rientrano in una tradizione storica, in una tecnica antichissima presente in formaggi diversi dal Morbier, applicate dalla Société Fromagère du Livradois ancor prima del riconoscimento della DOP «Morbier» e non basate su investimenti che il Syndicat o i suoi membri avrebbero effettuato. Essa ha ritenuto che, se è vero che il diritto di utilizzare il carbone vegetale è conferito al solo formaggio protetto da tale DOP, è anche vero che la Société Fromagère du Livradois, per conformarsi alla legislazione statunitense, ha dovuto sostituirlo con polifenoli d’uva, cosicché i due formaggi non possono essere assimilati a causa di tale caratteristica. Rilevando che la Société Fromagère du Livradois aveva fatto valere altre differenze tra il formaggio Montboissié e il formaggio Morbier relativamente, in particolare, all’utilizzo di latte pastorizzato per il primo e di latte crudo per il secondo, essa ha considerato che i due formaggi erano distinti e che il Syndicat tentava di estendere la protezione della DOP «Morbier» in base a un interesse commerciale illegittimo e in contrasto con il principio di libera concorrenza.

17      Il Syndicat ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) dinanzi al giudice del rinvio, la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia). A sostegno del suo ricorso, esso afferma, anzitutto, che una denominazione d’origine è protetta contro qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto e che, statuendo, invece, che è vietato il solo utilizzo della denominazione della DOP, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) avrebbe violato i rispettivi articoli 13 dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012. Il Syndicat afferma poi che limitandosi a rilevare, da un lato, che le caratteristiche da esso evocate rientravano in una tradizione storica e non si basavano su investimenti effettuati dal medesimo e dai suoi membri e, dall’altro, che il formaggio Montboissié, commercializzato dal 2007 dalla Société Fromagère du Livradois, presentava differenze rispetto al formaggio Morbier, senza esaminare, come le era stato chiesto, se le prassi della Société Fromagère du Livradois, in particolare la copia della «striscia centrale» caratteristica del formaggio Morbier, potessero indurre o meno in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, la cour d’appel (Corte d’appello) ha privato la sua decisione di fondamento normativo con riferimento agli stessi testi di legge.

18      Dal canto suo, la Société Fromagère du Livradois sostiene che la DOP tutelerebbe i prodotti provenienti da un territorio delimitato, che sarebbero gli unici a potersi avvalere della denominazione protetta, ma non vieterebbe ad altri produttori di fabbricare e di commercializzare prodotti simili, a condizione che non inducano a ritenere che essi beneficino della denominazione di cui trattasi. Dal diritto nazionale si evincerebbe che è vietato qualsiasi uso del segno che costituisce la DOP per designare prodotti simili che non vi abbiano diritto, vuoi che essi non provengano dalla zona delimitata, vuoi che provengano da quest’ultima senza presentare le proprietà richieste, ma che non sarebbe vietato commercializzare prodotti simili, purché tale commercializzazione non sia accompagnata da alcuna prassi idonea a ingenerare confusione, in particolare mediante l’usurpazione o l’evocazione di detta DOP. Essa sostiene inoltre che una «prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti», ai sensi dei rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, dovrebbe necessariamente riguardare l’«origine» del prodotto e che dovrebbe quindi trattarsi di una prassi che induca il consumatore a ritenere di trovarsi in presenza di un prodotto che benefici della DOP di cui trattasi. Essa ritiene che tale «prassi» non possa derivare dal semplice aspetto del prodotto in quanto tale, al di fuori di ogni indicazione sul suo imballaggio che faccia riferimento alla provenienza protetta.

19      Il giudice del rinvio afferma che il ricorso per cassazione di cui è investito pone la questione, inedita dinanzi ad esso, se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata o se debbano essere interpretati nel senso che essi vietano anche la presentazione di un prodotto che possa indurre in errore il consumatore sulla sua vera origine, anche qualora la denominazione registrata non venga utilizzata da un terzo. Rilevando in particolare che la Corte non si è mai pronunciata su tale questione, esso ritiene che sussista un dubbio sull’interpretazione dell’espressione «altra prassi» contenuta in tali articoli, che costituisce una forma particolare di pregiudizio a una denominazione protetta qualora possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.

20      Secondo il giudice del rinvio, si pone dunque la questione se la riproduzione delle caratteristiche fisiche di un prodotto protetto da una DOP sia idonea a costituire una prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, vietata dai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, di tali regolamenti. Detta questione equivarrebbe a stabilire se la presentazione di un prodotto protetto da una denominazione d’origine, in particolare la riproduzione della forma o dell’aspetto che lo caratterizza, possa costituire un danno per tale denominazione, nonostante la mancata riproduzione della stessa.

21      In tale contesto, la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata o se debbano essere interpretati nel senso che essi vietano la presentazione di un prodotto protetto da una denominazione d’origine, in particolare la riproduzione della forma o dell’aspetto che lo caratterizzano, che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, anche se la denominazione registrata non viene utilizzata».

 Sulla questione pregiudiziale

 Sulla prima parte della questione

22      Con la prima parte della sua questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata.

23      Dalla formulazione di tali disposizioni risulta che le denominazioni registrate sono tutelate contro diversi comportamenti, vale a dire, in primo luogo, l’impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata, in secondo luogo, l’usurpazione, l’imitazione o l’evocazione, in terzo luogo, l’indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi al prodotto considerato nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sull’origine del prodotto e, in quarto luogo, qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.

24      Dette disposizioni contengono dunque un elenco graduato di comportamenti vietati (v., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2019, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego, C‑614/17, EU:C:2019:344, punto 27). Mentre i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 vietano l’impiego diretto o indiretto di una denominazione registrata per i prodotti che non sono oggetto di registrazione, in una forma che sia identica o fortemente simile dal punto di vista fonetico e/o visivo (v., per analogia, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 29, 31 e 39), i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettere da b) a d), di tali regolamenti vietano altri comportamenti contro i quali le denominazioni registrate sono tutelate e che non utilizzino né direttamente né indirettamente le denominazioni stesse.

25      Pertanto, l’ambito di applicazione dei rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 deve necessariamente distinguersi da quello relativo alle altre norme sulla protezione delle denominazioni registrate di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettere da b) a d), di tali regolamenti. In particolare, i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera b), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 vietano comportamenti che, a differenza di quelli di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera a), di tali regolamenti, non utilizzino né direttamente né indirettamente la denominazione protetta stessa, ma la suggeriscano in modo tale che il consumatore sia indotto a stabilire un sufficiente nesso di prossimità con detta denominazione [v., per analogia, per quanto riguarda l’articolo 16 del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio (GU 2008, L 39, pag. 16), sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punto 33].

26      Per quanto riguarda, più nello specifico, la nozione di «evocazione», il criterio determinante è quello di accertare se il consumatore, in presenza di una denominazione controversa, sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, la merce protetta dalla DOP, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare tenendo conto, se del caso, dell’incorporazione parziale di una DOP nella denominazione controversa, di una similarità fonetica e/o visiva di tale denominazione con tale DOP, o ancora di una somiglianza concettuale tra detta denominazione e detta DOP (v., per analogia, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punto 51).

27      Inoltre, nella sua sentenza del 2 maggio 2019, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego (C‑614/17, EU:C:2019:344), la Corte ha dichiarato che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006 deve essere interpretato nel senso che l’evocazione di una denominazione registrata può derivare dall’uso di segni figurativi. Per pronunciarsi in tal senso, la Corte ha in particolare considerato, al punto 18 di tale sentenza, che la formulazione di tale disposizione può essere intesa come riferita non solo ai termini con cui una denominazione registrata può essere evocata, ma anche a qualsiasi segno figurativo che possa richiamare nella mente del consumatore i prodotti che beneficiano di tale denominazione. Al punto 22 di detta sentenza, essa ha rilevato che, in linea di principio, non si può escludere che segni figurativi siano in grado di richiamare direttamente nella mente del consumatore, come immagine di riferimento, i prodotti che beneficiano di una denominazione registrata, a motivo della loro vicinanza concettuale con siffatta denominazione.

28      Per quanto riguarda i comportamenti di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera c), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, occorre rilevare che tali disposizioni estendono, rispetto alle lettere a) e b) di tali articoli, il perimetro protetto, incorporandovi in particolare «qualsiasi altra indicazione», vale a dire le informazioni fornite ai consumatori usate sulla confezione o sull’imballaggio del prodotto considerato, nella pubblicità o sui documenti relativi a tale prodotto, che, pur non evocando l’indicazione geografica protetta, siano qualificabili come false o ingannevoli in considerazione dei collegamenti del prodotto con quest’ultima. L’espressione «qualsiasi altra indicazione» si estende a informazioni che possono apparire in qualsivoglia forma sulla confezione o sull’imballaggio del prodotto considerato, nella pubblicità o sui documenti relativi a tale prodotto, in particolare sotto forma di un testo, di un’immagine o di un contenitore idoneo a fornire informazioni in merito alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto (v., per analogia, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 65 e 66).

29      Per quanto riguarda i comportamenti di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, dall’espressione «qualsiasi altra prassi» utilizzata in tali disposizioni risulta che queste ultime sono dirette a includere qualsiasi comportamento che non rientri già nell’ambito di applicazione delle altre disposizioni dei medesimi articoli e, pertanto, a completare il regime di protezione delle denominazioni registrate.

30      Pertanto, dalle considerazioni che precedono deriva che i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non si limitano a vietare l’uso della denominazione registrata in quanto tale, essendo il loro ambito di applicazione più ampio.

31      Di conseguenza, occorre rispondere alla prima parte della questione sollevata dichiarando che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 devono essere interpretati nel senso che essi non vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata.

 Sulla seconda parte della questione

32      Con la seconda parte della sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.

33      Prevedendo che le denominazioni registrate sono tutelate contro «qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti», i rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 non precisano i comportamenti vietati da tali disposizioni, ma riguardano in via estensiva tutti i comportamenti, diversi da quelli vietati dai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettere da a) a c), di tali regolamenti, che possano avere come risultato quello di indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi.

34      I rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 rispondono agli obiettivi enunciati ai considerando 4 e 6 del regolamento n. 510/2006 nonché ai considerando 18 e 29 e all’articolo 4 del regolamento n. 1151/2012, dai quali risulta che il regime di protezione delle DOP e delle indicazioni geografiche protette (IGP) mira in particolare a fornire ai consumatori informazioni chiare sull’origine e sulle proprietà dei prodotti, in modo da consentire loro di compiere scelte di acquisto più consapevoli, nonché di evitare le prassi che possano indurre in errore i consumatori.

35      Più in generale, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il regime di protezione delle DOP e delle IGP mira essenzialmente a garantire ai consumatori che i prodotti agricoli che beneficiano di una denominazione registrata presentino, a causa della loro provenienza da una determinata zona geografica, talune caratteristiche particolari e, pertanto, offrano una garanzia di qualità dovuta alla loro provenienza geografica, allo scopo di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi e di impedire che terzi si avvantaggino abusivamente della reputazione discendente dalla qualità di tali prodotti (v., per analogia, sentenze del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto, C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punto 82; del 20 dicembre 2017, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, C‑393/16, EU:C:2017:991, punto 38, nonché del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 38 e 69).

36      Per quanto riguarda la questione se la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata possa costituire una prassi vietata dai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, occorre osservare che, certamente, come sostenuto dalla Société Fromagère du Livradois e dalla Commissione europea, la tutela prevista da tali disposizioni ha ad oggetto, secondo i termini stessi di queste ultime, la denominazione registrata e non il prodotto che essa ha ad oggetto. Ne consegue che tale tutela non ha lo scopo di vietare, in particolare, l’utilizzo delle tecniche di fabbricazione o la riproduzione di una o più caratteristiche contemplate nel disciplinare di un prodotto protetto da una denominazione registrata, per il motivo che esse figurano in tale disciplinare, per realizzare un altro prodotto che non è oggetto della registrazione.

37      Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 27 delle sue conclusioni, una DOP è, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 1151/2012, che riprende in sostanza la formulazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento n. 510/2006, una denominazione che identifica un prodotto originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati le cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani. Le DOP sono dunque tutelate in quanto designano un prodotto che presenta determinate qualità o determinate caratteristiche. Di conseguenza, la DOP e il prodotto da essa protetto sono strettamente collegati.

38      Pertanto, tenuto conto del carattere non limitativo dell’espressione «qualsiasi altra prassi» di cui ai rispettivi articoli 13, paragrafo 1, lettera d), dei regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012, non si può escludere che la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione di dette disposizioni. Ciò si verifica quando tale riproduzione può indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi.

39      Al fine di valutare se ciò si verifichi, occorre, come indicato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 55 e da 57 a 59 delle sue conclusioni, da un lato, fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (v., per analogia, sentenze del 21 gennaio 2016, Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 25 e 28, nonché del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punto 47) e, dall’altro, tener conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, ivi comprese le modalità di presentazione al pubblico e di commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, nonché del contesto fattuale (v., in tal senso, sentenza del 4 dicembre 2019, Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, C‑432/18, EU:C:2019:1045, punto 25).

40      In particolare, per quanto riguarda, come nel procedimento principale, un elemento dell’aspetto del prodotto oggetto della denominazione registrata, occorre soprattutto valutare se tale elemento costituisca una caratteristica di riferimento e particolarmente distintiva di tale prodotto affinché la sua riproduzione possa, unitamente a tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, indurre il consumatore a credere che il prodotto contenente detta riproduzione sia un prodotto oggetto di tale denominazione registrata.

41      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla seconda parte della questione sollevata dichiarando che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 devono essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Occorre valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie.

 Sulle spese

42      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, devono essere interpretati nel senso che essi non vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata.

L’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 devono essere interpretati nel senso che essi vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Occorre valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie.

Firme

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