mercoledì 25 maggio 2011

Vita dura per la class action italiana - ancora inammissibile l'azione collettiva

E' trascorso più di un anno dall'avvio in Italia dell'azione collettiva  per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori/utenti, introdotta con la  Legge 23 luglio 2009, n. 99 (art. 49).

Questo mezzo di tutela dei diritti dei consumatori quali risultati ha prodotto fino ad oggi? 

Le poche azioni collettive avviate sono state dichiarate inammissibili dai tribunali italiani, i quali non hanno ritenuto in molti casi meritevole di tutela di classe gli interessi oggetto della domanda avanzata dal c.d. "attore collettivo".  


Le recenti ordinanze pronunciate dai giudici di Roma e Torino hanno evidenziato la difficoltà che le associazioni dei consumatori hanno incontrato per vedere riconosciuti i diritti degli associati, in quanto le domande collettive sono state respinte perché considerate inammissibili.

Una delle più recenti azioni collettive avviate è quella introdotta al Tribunale di Roma, dove una associazione dei consumatori ha proposto una class action contro BAT Italia (soggetto che raggruppa i grossi produttori di sigarette), sostenendo la tesi della nocività delle sigarette e degli evidenti danni sofferti dai soggetti fumatori. Tale domanda era finalizzata, così sosteneva l'associazione, a contrastare i rischi del tabacco ed in particolar modo le pratiche di inserimento di additivi per favorire la dipendenza.

Il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile la domanda sostendo la discutibile tesi della consapevolezza che vi sarebbe nei fumatori  dei rischi per la salute che si assumerebbero nel momento in cui fumano "la bionda". 

Sostiene il Tribunale di Roma che "Va rilevato che inequivocabilmente qualsiasi fumatore è pienamente consapevole sia dei rischi per la salute indotti dal fumo, sia della dipendenza da questo creata. Inoltre va escluso, sulla base degli studi e delle conoscenze scientifiche ormai consolidate, che la dipendenza da nicotina determini l'annullamento o la seria compromissione della volontà del fumatore nella forma di costrizione al consumo, tale da inibirgli in modo assoluto qualsiasi facoltà di scelta tra la continuazione del fumo e l'interruzione dello stesso. Nè gli effetti della nicotina, alla luce delle ricerche e dei risultati medici e scientifici, sono paragonabili alle droghe pesanti quali l'eroina o la cocaina e di tale influenza sulla volontà del fumatore da renderlo affatto incapace di smettere di fumare".
Il Giudice romano giustifica anche gli additivi inseriti nelle sigarette in quanto "L'utilizzazione degli additivi trova ragion d'essere nell'intento di attribuire al prodotto un sapore specifico e tipizzato, come tale indispensabile perchè la casa produttrice sia competitiva sul mercato», ma «non hanno effetti assuefacenti nè esplicano alcuna funzione ai fini dell'esaltazione del rapporto di dipendenza del fumatore alla nicotina".


Il Tribunale di Torino, investito di altra domanda collettiva, si è pronunciato in senso contrario rispetto ai consumatori, dichiarando inammissibile la class action proposta contro una banca per le condizioni contrattuali applicate nei confronti dei clienti per le operazioni sul conto corrente.

Con Ordinanza del 7 aprile 2011, il Tribunale ha considerato inammissibile la domanda collettiva in quanto l'attore non ha dimostrato di tutelare adeguatamente gli interessi della classe per cui agisce ed in particolare di poter adempiere all'obbligo di pubblicità dell'azione collettiva, così come previsto dall'art. 140 bis, comma 9 del Codice del Consumo.

Insomma, secondo il Tribunale di Torino l'attore collettivo che non dimostri di disporre dei denari per poter sostenere le spese dell'azione non sarebbe rappresentativo dell'interesse della classe.

La sentenza lascia non pochi dubbi e dimostra, ancora una volta, che le norme introdotte in materia di azione collettiva sono estremamente rigide ed improduttive, allo stato attuale, di reali risultati in favore dei consumatori.

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