La recente "vicenda botulino" ci ha portato ad analizzare la questione sotto il profilo giuridico, al fine di comprendere le conseguenze penali che possono colpire il ristoratore in vicende analoghe a quella oggetto della cronaca recente.
Occorre premettere che non è necessario che il cibo avariato finisca nel piatto del consumatore per far scattare la responsabilità penale del professionista e questo principio è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione - sezione penale - con la sentenza n. 22632 del 17 giugno 2025, sentenza che torna a mettere al centro il tema della sicurezza alimentare e della responsabilità di chi gestisce esercizi pubblici, quali supermercati, ristoranti e simili.
- Controllo NAS ed accertamento dell'alimento avariato non posto in commercio
Il caso riguarda un controllo dei NAS che ha portato alla scoperta di alimenti in cattivo stato di conservazione nei locali di un esercente.
Quegli alimenti — va detto — non erano ancora stati messi in vendita o serviti al pubblico, così come accertato durante l'indagine, ma anche la sola detenzione di prodotti alimentari mal conservati è bastata, secondo i giudici, a far scattare la responsabilità penale.
Invero, non stiamo parlando di un principio nuovo, ma questa pronuncia ribadisce con forza un principio importante: quando parliamo di salute e sicurezza dei consumatori, la legge non aspetta che il danno si verifichi.
In questi casi, siamo di fronte ad un reato di pericolo, sicché si interviene prima, già in presenza di una condotta potenzialmente pericolosa, senza attendere che si possa verificare il danno.
- Responsabilità penale e sanzioni amministrative
Come anticipato in precedenza, questo tipo di comportamento configura, nel nostro ordinamento, un reato di pericolo, ossia il cattivo stato di conservazione degli alimenti è condotta penalmente rilevante senza che l'avventore di un bar, o il cliente di un ristorante si senta male a causa di cibo avariato o che il prodotto sia stato venduto.
In termini più semplici, ai fini del reato è sufficiente la semplice detenzione del prodotto non conforme alle norme igienico-sanitarie per far scattare le conseguenze:
- Sul piano penale, il titolare dell’attività può essere denunciato e perseguito per violazione delle norme in materia di sicurezza alimentare;
- Sul piano amministrativo, spesso si affiancano sanzioni pesanti come multe, sequestri della merce e, nei casi più gravi, la sospensione temporanea o definitiva dell’attività.
E non è una questione puramente teorica. Gli accertamenti degli enti di controllo — come NAS, ASL e autorità sanitarie — sono frequenti e le sanzioni, quando si ravvisano irregolarità, non tardano ad arrivare.
- Bene per i consumatori: una tutela concreta
Per noi consumatori questa sentenza rappresenta una garanzia importante: il sistema di controllo pubblico funziona ed interviene prima che il rischio si concretizzi, impedendo che prodotti potenzialmente pericolosi arrivino nei banchi vendita o nei piatti dei clienti.
Ma ciò non è sufficiente, in quanto anche il consumatore può (deve) contribuire a garantire che non siano messi in commercio alimenti scaduti ed avariati:
- Segnalare eventuali irregolarità ai NAS o all’ASL se nota situazioni sospette nei locali (ad esempio cattivo odore, prodotti mal conservati, condizioni igieniche scadenti).
- Verificare l’igiene dei locali prima di acquistare o consumare.
- Ricordare che la salute parte dalla prevenzione, non solo dalla repressione a danno ormai fatto.
In un contesto normativo come quello italiano, dove la tutela della salute è un valore costituzionale (art. 32 Cost.), non si può ragionare, dal profilo del venditore, in termini di "ci penserò dopo" o "tanto non lo vendo".
Cassazione penale - Sez. III^ - sentenza n. 22632/2025