domenica 28 giugno 2020

Il prodotto difettoso: chi ne risponde come e quando

La sentenza oggi in commento - resa dal Tribunale di Belluno l’8 febbraio 2017 - ci consente di affrontare, a grandi linee, il tema della responsabilità per il prodotto difettoso, chiarendo bene di che cosa si tratta, anche perché l’attore, tra le altre cose, si è visto respingere la richiesta di risarcimento per avere montato un miscelatore con le pinze, senza però seguire le istruzioni della casa costruttrice.

1) Il prodotto sicuro: questione di usi e informazioni

L’Unione Europea ha inteso garantire che, all’interno dei propri confini, circolino “prodotti sicuri”: sono quelli che rispettano la salute e la sicurezza dei consumatori.


Bisogna capire che cosa si intende per sicurezza e, per spiegarlo, ricorreremo ad un esempio. Pensiamo alla candeggina nel detersivo per i pavimenti: di per sé, è un prodotto chimico che non presenta rischi, soprattutto se viene utilizzata per lavare i pavimenti: tuttavia, se venisse bevuta – e nessuno si sognerebbe di farlo - diventerebbe pericolosa per la salute.

Da questo esempio comprendiamo che un prodotto non è pericoloso di per sé, bensì se viene utilizzato in modo anomalo e contrario al fine per il quale viene messo in commercio.

Un uso è anomalo o meno in base alle informazioni preventive che si hanno sul prodotto.

2) Il prodotto difettoso e dannoso
La sicurezza, dunque, è almeno in parte garantita dalle informazioni che vengono date su come si usano i prodotti in commercio, perché queste ultime creano nel consumatore, se non delle certezze, almeno delle “aspettative”. Alla luce di tutto questo, il difetto sussiste quando, nonostante il prodotto sia impiegato nel modo indicato, esso procura un danno tangibile, cioè alla persona o al suo patrimonio. 

3) Il soggetto responsabile: il produttore o, in alternativa, il venditore
Poiché il prodotto, come suggerisce la parola stessa, è il risultato di una filiera che coinvolge più soggetti (produttore, importatore, distributore, fornitore e, ad ultimo, il venditore) e non si può certo pretendere che il consumatore individui il punto da cui è partito il difetto, allora la responsabilità, di buona norma, viene attribuita (o, per meglio dire, presunta) al produttore.


Si noti, non s’intende soltanto chi fabbrica il prodotto, ma anche chi eventualmente lo importa, lo mette in commercio col proprio marchio e, se proprio non si possono trovare questi soggetti, allora si può considerare il fornitore. 

Il danneggiato non deve provare la colpa del produttore, bensì tre elementi:

1. il difetto: come abbiamo detto sopra, la circostanza che il prodotto non sia all’altezza dello standard garantito per il suo utilizzo;
2. il danno (la Cassazione sulla prova del danno);
3. il collegamento (nesso di causa) tra il difetto e il danno (ovvero, il danno che subisce il consumatore deve essere conseguenza del difetto del prodotto) (puoi approfondire con la Cassazione).


D’altro canto, il produttore può liberarsi da ogni addebito, ma deve dimostrare:

1. di non avere messo in circolazione il prodotto;
2.se lo ha messo in circolazione, che non era prevedibile, in base alle conoscenze scientifiche e tecniche di quel momento, che avrebbe presentato dei difetti.

4) Quando “scade” la responsabilità del produttore
Bisogna prestare particolare attenzione a queste scadenze perché il consumatore, certamente, è ben tutelato contro i rischi dei prodotti difettosi ma, pur avendo un’arma molto poderosa, deve utilizzarla in tempi abbastanza contenuti.

Anzitutto, da quando il consumatore viene a conoscenza di difetto, danno e identità del produttore, egli ha tre anni di tempo per chiedere il risarcimento (termine di decadenza).

Inoltre, il produttore ha dalla sua un particolare termine di prescrizione: egli non risponde dei danni dei prodotti immessi sul mercato da dieci anni.

Questo limite temporale, oltre ad essere un normale termine di prescrizione, serve ad impedire che al produttore vengano attribuiti difetti che derivano più dalla normale usura o dalla vetustà del prodotto, che non da un difetto di fabbricazione.

5) Come si interrompe la prescrizione
Entriamo, ora, in una parte significativa – a nostro avviso quella più importante, forse più degli aspetti sostanziali - di questo argomento: dal momento che i termini di scadenza indicati sopra sono insidiosi, in che modo possono essere interrotti?

In primo luogo, occorre verificare da quando il prodotto difettoso è stato introdotto e circola nel mercato.

È importante, anzi capitale, stabilire proprio quando il prodotto è stato messo in circolazione e in vendita. Ciò si accerta, soprattutto, osservando la scheda tecnica dei prodotti in cui ci imbattiamo. Tuttavia, può essere che questa sia andata perduta, dopo diversi anni di tempo.
In tal caso, è utile individuare etichette esterne, marchi commerciali o timbrature del prodotto, dalle quali è possibile risalire al modello (specie se si osserva un pezzo meccanico). Il modello, appunto, permette di verificare quale tipo di prodotto è stato commercializzato in un determinato periodo di tempo.

Nel caso che ci riguarda, il Tribunale di Belluno ha affrontato una vicenda avente ad oggetto la rottura di un flessibile e di un miscelatore d’acqua, con conseguente allagamento dei locali.

Il flessibile, prodotto da una società spagnola, aveva lungo la sua superficie un’etichetta, sulla quale era si poteva leggere quando il prodotto è stato messo in commercio.

Il produttore spagnolo l’aveva commercializzato diversi anni prima dell’evento di danno: tuttavia, il cliente ha agito in due procedimenti (un accertamento tecnico preventivo e una causa ordinaria), senza verificare che i termini di prescrizione non fossero scaduti. E la verifica non riguardava aspetti complessi, come stiamo vedendo insieme.

Ad ogni buon conto, quando si accerta chi è il produttore e, soprattutto, quando è stato messo in commercio il prodotto, allora è possibile interrompere la prescrizione. A tale riguardo, è sufficiente un semplice “atto recettizio”, portato a conoscenza presso l’indirizzo del destinatario.

Come dice la parola stessa, un atto è recettizio quando il suo destinatario l’ha ricevuto e ne ha conosciuto il contenuto. 

Dopo aver verificato quando il prodotto è stato commercializzato, allora è opportuno attivarsi entro tre anni da quando il danno si è verificato. Ovviamente, bisogna essere sicuri che il danno sia stato provocato dal prodotto, e non da altri fattori e concause: a ciò serve, appunto, l’accertamento tecnico preventivo di cui si parla nella sentenza, o quantomeno una formale lettera di diffida, ove la controparte sia messa a conoscenza del danno e della richiesta di risarcimento entro il termine di legge (15 giorni).

E' importante osservare, a tal proposito, che il consumatore che lamenti un difetto del prodotto e non vuole incappare nella prescrizione è tenuto a comunicare al produttore il difetto del prodotto, il danno sofferto e il nesso causale attraverso un atto idoneo a metterlo a conoscenza di tale lamentale.

Evidenziamo che nel caso di specie, il produttore era una società straniera e, quindi, al fine dell’interruzione della prescrizione e per poter rivendicare ogni diritto nei suoi confronti, la lettera o l’accertamento tecnico preventivo deve essere inviato alla controparte nel rispetto delle norme europee, ossia se si tratta di un atp deve essere accompagnato da traduzione asseverata presso il tribunale (o il notaio): se infatti l’atto non è redatto nella lingua ufficiale dello stato estero o in una lingua compresa dal destinatario, si corre il rischio – se non la certezza, supportata dalla legge – che l’atto venga rifiutato e rispedito al mittente. In questo caso l’atto si dà per non ricevuto e compreso dal destinatario, per ovvie ragioni: un documento che contiene espressioni tecniche in un’altra lingua non consente alla controparte di difendersi adeguatamente e, per questo, può essere rigettato.

Qui di seguito, la sentenza del Tribunale di Belluno e commentata con questo nostro intervento.

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