giovedì 31 marzo 2011

Da Trentino inBlu al Blog: titoli Islanda - a che punto siamo?

Questa settimana abbiamo trattato un altro caso di default che ha causato forti perdite per i piccoli risparmiatori italiani.

La crisi islandese rappresenta un nuovo ed emblematico caso nel quale un Stato è riuscito, attraverso le proprie banche più prestigiose, a raggiungere un livello di indebitamento elevato, superiore alle capacità patrimoniali dell'intera propria popolazione.

Evoluzione storica del debito bancario islandese
Alla base della crisi sofferta dal sistema bancario islandese risiede la struttura del sistema legislativo del mercato nazionale, estremamente deregolamentato, il quale ha favorito l'attività degli speculatori, nazionali ed esteri, interessati ad utilizzare l'Islanda come bolla speculativa.

L'estrema volatilità del mercato, che negli anni '90 aveva favorito la crescita dell'economia locale, venne favorito dal Governo islandese, il quale tra il 2001 e il 2003, varò politiche di liberalizzazione del sistema bancario interno, attirando definitivamente i capitali esteri, interessati ad investire in uno Stato, l'Islanda, privo di “paletti legislativi” in materia di investimenti.

La politica liberista adottata in quegli anni venne, più o meno volontariamente, avvallata dalla Banca centrale islandese, la quale operò una politica dei tassi che, di fatto, aiutò l'arrivo di capitali esteri e l'attività speculativa internazionale attuata per mezzo dell'Islanda.

L'Islanda si ritrova, tra il 2003 e il 2007, in uno stato di apparente prosperità economica, il quale si regge su un profondo buco di debiti accumulati attraverso ingenti investimenti esteri.

Le principali banche del paese (in primis Glitnir) reinvestirono il denaro ottenuto all'estero ed accumulano ingente debito, tanto da costringere lo Stato ad emettere grossi quantitativi di obbligazioni per coprire tale debito.

Obbligazioni vendute ad investitori europei, in particolare inglesi ed olandesi ed italiani, che si sono trovati prodotti finanziari apparentemente solidi.

2008/2009: il debito dell'Isola si scioglie – il primo rifiuto del popolo islandese alla ristrutturazione del debito bancario
Il sistema islandese, fondato su equilibri fragilissimi, collassò allorché la crisi finanziaria mondiale, avviata con i mutui subprime, colpì i sistemi economici europei.

Il rapporto tra la moneta locale (la corona islandese) e le principali valute mondiali schizza immediatamente, tant'è che gli stessi islandesi cominciarono a rendersi conto di camminare su un mare di debiti. Il debito accumulato non consente al Stato islandese di garantire i servizi e pagare i dipendenti pubblici. In altri termini, l'Islanda arriva vicina alla dichiarazione di fallimento.

Nel mesi successivi, oltre agli inevitabili cambiamenti politici, si registra il primo tentativo di ristrutturazione del debito islandese, con richiesta al popolo – attraverso il referendum – di accettare le dure condizioni necessarie per garantire la salvezza dello Stato.

Lo storico voto contrario espresso dagli islandesi rispetto alla richiesta di ristrutturazione rappresenta, a parere di chi scrive, uno degli esempi più brillanti di opposizione popolare al capitalismo speculativo sviluppatosi nel mondo in questi ultimi decenni. Gli islandesi decisero, infatti, di non accollarsi un debito creato da pochi e sciagurati speculatori.

Nel frattempo, la Banca Giltnir veniva dichiarata fallita ed ogni obbligazionista veniva invitato a partecipare alla procedura fallimentare con insinuazione al passivo.


A che punto siamo?
Qualche settimana fa, gli islandesi sono stati chiamati a decidere in merito ad un piano di ristrutturazione di un'altra banca islandese fallita nel 2008, la Landsbanki, il quale prevedeva una forma di favore nel rimborso degli obbligazionisti inglesi ed olandesi.

Gli islandesi hanno risposto per la seconda volta “no” alla proposta di restituzione di quattro miliardi ai risparmiatori inglesi e olandesi colpiti dal fallimento della banca on line Icesave, controllata da Landsbanki, fallita nel 2008.

Il professor Juan Manuel Aragues ha di recente commentato l'esito del referendum affermando ”Gli islandesi l’hanno detto chiaro: che il debito lo paghi chi lo crea, che la crisi la paghi chi l’ha prodotta.” (vedasi http://www.vocidallastrada.com/2011/03/islanda-una-rivoluzione-messa-tacere.html).


Ed i piccoli risparmiatori italiani?
Purtroppo ancora una volta i piccoli risparmiatori sono rimasti colpiti dalla crisi islandese trovandosi tra le mani titoli privi di valore.

Allo stato attuale, stante il rifiuto opposto dallo Stato Islandese di rimborsare il proprio debito, l'unica strada percorribile é quella della causa contro la banca che ha venduto tali titoli, garantendone la sicurezza in quanto inclusi nella lista “obbligazioni a basso rischio” di “Patti chiari”.

Qui puoi ascoltare una parte della trasmissione dedicata ai titoli Islanda.

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