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domenica 14 luglio 2024

Obbligazioni Rickmers: si al risarcimento del danno se la banca non ti informa sui rischi di investimento

Si può ottenere il risarcimento del danno nel caso in cui la banca, attraverso il promotore finanziario, non fornisce informazioni accurate e trasparenti in merito ai rischi collegati all'investimento nelle obbligazioni estere.

Questo è, in buona sostanza, quanto ha stabilito l'Arbitro per le Controversie Finanziaria a cui si è rivolta una consumatrice, rimasta "scottata" dall'investimento in titoli Rickmers 06/18 8,875% (cod. ISIN DE000A1TNA39) suggerito dal promotore di una banca e azzeratosi in seguito a causa del fallimento della società emittente.

Nel caso di specie, il titolo Rickmers 8,875% 06/2018 (Codice ISIN DE000A1TNA39) è stato proposto all'investitrice, senza renderle noti specifici rischi connessi all’investimento in bond emessi fuori dai mercati regolamentati e con un rating basso (BB).

Era peraltro emesso che l'emissione obbligazionaria proposta alla consumatrice era finalizzata ad ottenere nuova liquidità, al fine di poter sanare i debiti pregressi. 

Per tale ragione, il prestito obbligazionario prevedeva la possibilità di insolvenza indiretta (c.d. crossing default), ovverosia l’inadempimento nel rimborso del prestito anche nel caso di altre insolvenze della società Rickmers.

Occorre osservare che il rischio di default consiste nella possibilità che al verificarsi di precise circostanze, il soggetto finanziatore possa attivare protezioni contrattuali che possono arrivare fino alla possibilità di non provvedere al rimborso del finanziamento. 

Tutte queste informazioni non erano state comunicate alla piccola investitrice, la quale si è rivolta all'ACF per chiedere il risarcimento del danno sofferto a causa della condotta inadempiente dell'intermediario finanziario, attraverso il promotore finanziario.

E l'arbitro ha riscontrato la grave carenza informativa da parte della banca, la quale ha fornito informazioni generiche e non pertinenti con l'investimento in titoli Rickmers, così giustificando l'inadempimento informativo da parte del Professionista: "Non risulta agli atti, invece, alcuna informativa sulle caratteristiche e i rischi specifici delle Obbligazioni ad elevata rischiosità oggetto di contestazione, come desumibile anche dal tasso di rendimento nominale dell’8,875%, dichiarate in default in data 11 giugno 2018, data di scadenza. Né tali informazioni risultano altrimenti fornite nel modulo d’ordine con cui le suindicate Obbligazioni sono state acquistate dalla Ricorrente.".

L'assenza di specifiche informazioni inerenti al titolo Rickmers hanno giustificato la condanna al risarcimento del danno della banca convenuta.

ACF - decisione n. 7341 del 10 giugno 2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

domenica 9 giugno 2024

Credito bancario cartolarizzato: la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non prova la cessione del credito

Si torna a parlare di crediti cartolarizzati, questione tutt'altro che marginale, in quanto riguarda molti consumatori rimasti, purtroppo, insolventi verso le banche.

Ciò che capita con una certa frequenza, è che al creditore originario (la banca con cui abbiamo firmato il contratto di mutuo) se ne sostituisce un altro (e un altro ancora), il quale si presenta alla nostra porta chiedendo il pagamento del proprio credito.

Questo tipo di vicenda è stata già trattata in questo blog (vedi qui), ed in particolare abbiamo evidenziato come sia molto importante per chi ricevere richieste di pagamento da parte di una società diversa da quella con cui ha firmato il contratto, accertare la legittimazione da parte di chi bussa alla nostra porta.

Stiamo parlando del caso di cessione del credito  e del particolare privilegio concesso alle banche, in deroga ai principi previsti ex artt. 1260 c.c. e seguenti che prevedono l'obbligo di consenso del debitore ceduto al cambio del creditore.

E' noto, infatti, che l'art. 58, comma II^, TUB dispone che la cessione possa avvenire con la semplice pubblicazione della comunicazione in Gazzetta Ufficiale, con piena opponibilità al debitore ceduto.

Il punto problematico, emerso anche di recente (clicca qui), riguarda l'attendibilità probatoria della comunicazione rispetto alla legittimazione ad agire davanti ad un tribunale da parte del nuovo creditore.

Il caso affrontato dalla Suprema Corte e che potete leggere di seguito, riguarda proprio i doveri probatori che ricadono sulla società cessionaria (ossia quella che ha acquisito il credito da altra banca) che agisce nel giudizio esecutivo per recuperare il credito.

Secondo il giudice di legittimità, infatti, che chi agisce per il recupero del credito deve non solo dichiarare, ma anche provare, la cessione e che il mero avviso in Gazzetta Ufficiale non è sufficiente a provare il contratto di cessione e l'inclusione in tale atto del credito oggetto di pretesa. La comunicazione in Gazzetta Ufficiale assolve, osservano gli Ermellini, il solo obbligo di notifica al debitore ceduto.

Nel caso di cessione del credito, infatti, l'avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale ex artt. 1 e 4 l. n. 130/1999 e 58 TUB, non è stato considerato sufficiente a fornire la certezza sulla legittimazione sostanziale ad avanzare delle pretese di pagamento del credito, presupposto che può essere assolto solo con il deposito del contratto e della indicazione della posizione debitoria collegata e ceduta

Corte di Cassazione - ordinanza n. 15010/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

domenica 24 dicembre 2023

Cessione in blocco di crediti bancari - legittimazione della finanziaria acquirente

Questa domenica torniamo a trattare la cartolarizzazione dei crediti bancari, e la legittimazione della società acquirente a poter pretendere il pagamento della somma verso il cliente consumatore.

Abbiamo già avuto modo di trattare l'argomento (vedi qui), ma la recente sentenza n. 21821 del 20 luglio 2023 pubblicata dalla Suprema Corte di Cassazione, ci suggerisce di tornare sul tema della prova che il cessionario di crediti in blocco ex art. 58 TUB attesti la propria titolarità del credito e la conseguente legittimazione.

E' noto che in materia di cessione di crediti bancari opera una deroga ai generali principi civilistici di cui agli artt. 1260 c.c. ed in particolare l'art. 1264 c.c., in forza dell'art. 58 TUB, norma che esonera il nuovo creditore dall'ottenere il consenso da parte del debitore ceduto.

L’art. 58, comma II^, TUB prevede che la banca cessionaria pubblichi in Gazzetta Ufficiale l'intervenuta cessione del credito e ciò ai fini dell'opponibilità di tale circostanza ai debitori ceduti.

Ma la mera pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ha valore probatorio attestante la cessione del credito e la legittimazione dell'acquirente all'avvio dell'azione esecutiva verso il debitore?

La Cassazione ha affrontato questo particolare profilo, partendo da una vicenda ove l'intermediario bancario aveva ottenuto il credito all'interno di una cessione in blocco (cartolarizzazione), con comunicazione dell'operazione attraverso l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale unitamente alla dichiarazione della banca cedente che dava atto dell’intervenuta cessione.

La Corte d’Appello di Aquila aveva ritenuto non sufficiente, ai fini della legittimazione del creditore, la mera produzione in giudizio della documentazione appena richiamata, sostenendo che “la relativa prova passava necessariamente mediante la produzione del contratto di cessione, ovvero altra documentazione contrattuale negoziata con la banca cedente riconducibile al rapporto ceduto”.

Il Giudice di legittimità ha ritenuto, al contrario, che “in caso di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell’art. 58 TUB, è sufficiente, allo scopo di dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione, sicché, ove i crediti ceduti sono individuati, oltre che per titolo (capitale, interessi, spese, danni, etc.), in base all’origine entro una certa data ed alla possibilità di qualificare i relativi rapporti come sofferenze in conformità alle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, il giudice di merito ha il dovere di verificare se, avuto riguardo alla natura del credito, alla data di origine dello stesso e alle altre caratteristiche del rapporto, quali emergono dalle prove raccolte in giudizio, la pretesa azionata rientri tra quelle trasferite alla cessionaria o sia al contrario annoverabile tra i crediti esclusi dalla cessione”.

In altri termini, la Cassazione ritiene sufficiente, ai fini della prova della legittimazione della finanziaria, la mera produzione dell'avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale, sempreché contenga in modo chiaro ed univoco i dati dai quali emerga che il credito per il quale agisce è ricompreso tra quelli oggetto di cessione in blocco.

Diversamente, sarà necessario produrre ulteriori documenti che dimostrino la sua titolarità del credito per il quale agisce in giudizio.

Qui di seguito, la sentenza n. 21821/2023 della Cassazione. (visibile con browser Opera - VPN attivo).

domenica 26 novembre 2023

Credito bancario: il giudice chiarisce quando è legittima la cartolarizzazione

Il provvedimento oggetto della nostra segnalazione riguarda una particolare forma di tutela dei consumatori che deve essere garantita anche in vicende molto delicate (e dolorose), come ad esempio nel caso di pignoramento e vendita della casa del debitore.

Molto spesso, il pignoramento immobiliare viene avviato e portato avanti dalla banca che deve recuperare il proprio credito verso il cliente che non ha pagato le rate del mutuo, o comunque non ha adempiuto a tutti gli obblighi monetari verso l'istituto di credito.

Questi crediti sono, in talune circostanze, oggetto di cartolarizzazione, venendo venduti ad una particolare società, S.P.V. (special purpose vehicle), chiamata a gestire massa di posizioni debitorie, nella ricerca del recupero della somma a credito.

Il Tribunale di Termini Imerese, con un recentissimo provvedimento molto ben articolato e che potete trovare di seguito, ha avuto modo di chiarire (e chiarirci) come avviene questo procedimento di cartolarizzazione e quali requisiti devono essere rispettati.

Nella vicenda di cui trattasi, una banca aveva cartolarizzato un insieme di crediti, cedendoli ad una S.P.V., la quale aveva avviato una azione di pignoramento di un immobile di un debitore, per uno dei crediti ricevuti.

Il debitore aveva proposto opposizione al pignoramento immobiliare, contestando alla società mandataria la sua legittimazione ad agire verso il debitore, per omesso rispetto della normativa di settore.

Il giudice, dovendo dare seguito alla contestazione sollevata dal consumatore, ha operato una interessante ricostruzione delle norme che regolano la cartolarizzazione bancaria.

Questa particolare forma di cessione dei crediti bancari è regolata dalla Legge n. 130/1990, la quale prevede il seguente schema:

1.- una banca che disponga di una serie di crediti bancari "in difficoltà" (ossia con clienti che non pagano le rate), li vende ad un soggetto terzo, usualmente una società di cartolarizzazione o S.P.V.;

2.- Quest'ultima emette dei titoli (obbligazioni o notes) incorporati ai singoli crediti acquistati, collocandoli sul mercato mobiliare al fine di ottenere la liquidità necessaria per poter pagare la banca cedente e le spese necessarie per il recupero del credito;

3.- In seguito procede con le azioni giudiziarie al recupero del credito, al fine di rimborsare l'acquirente dell'obbligazione della somma ricevuta, aumentata di interessi e ottenere, allo stesso tempo, un profitto dall'intera operazione. 

E' chiaro che il valore a cui viene ceduto il credito dalla banca alla S.P.V. è inferiore rispetto a quello effettivamente dovuto dal cliente inadempiente, e per il quale la società cartolarizzante procede con le azioni esecutive di recupero del credito.

Per quest'ultima attività di recupero del credito (definita anche attività di servicing), la  S.P.V. si avvale di altra società mandataria chiamata ad eseguire l'attività pratica di recupero dei crediti attraverso un servizio di riscossione.

La legge n. 130/1999 prevede che queste società incaricate devono presentare particolari requisiti, certificati attraverso la loro iscrizione all'art. 106 del Testo Unico Bancario, trattandosi di attività riservata.

La Banca d'Italia, con comunicazione datata 11 novembre 2021, a peraltro previsto la possibilità di prevedere una forma alternativa di servicing: "In particolare, a fronte di una cornice normativa fondata sulla centralità del servicer quale soggetto sottoposto a vigilanza prudenziale, si sono affermate prassi caratterizzate da una netta distinzione tra il cd. “master servicer”, soggetto vigilato responsabile dei soli compiti di garanzia, non delegabili, previsti dalla legge n. 130/99 e lo “special servicer”, operatore incaricato delle attività di recupero, titolare di licenza ex art. 115 TULPS ma non vigilato da questo Istituto. 

L’affidamento allo “special” dell’incarico di recupero avviene sovente mediante schemi contrattuali complessi, che ruotano intorno alla figura dell’investitore (anche nella scelta dello special stesso) e relegano su un piano meramente formale il ruolo del servicer vigilato, con incertezze nell’individuazione del perimetro delle responsabilità, nell’ambito della gestione del portafoglio soprattutto nelle ipotesi di underperformance dei recuperi. Ne è conseguita opacità nella individuazione dei soggetti effettivamente coinvolti nelle attività di recupero dei crediti e limitazioni ai poteri dell’Organo di vigilanza, a fronte di un impianto normativo che invece attraverso il presidio sull’esternalizzazione di funzioni operative importanti (FOI), mira ad assicurare che i servicers siano in grado di monitorare e gestire i rischi connessi alle attività affidate a soggetti terzi, rimanendone responsabili.".  

Di fatto, viene prevista anche la possibilità di avere un "master servicer" iscritto all'Albo previsto a mente dell'art. 106 TUB ed un "special servicer" titolare di licenza ex art. 115 TULPS, che svolge tutte le attività pratiche e funzionali per il recupero del credito e che rimane sotto il controllo e responsabilità del "master servicer".

Tutti questi passaggi sono considerati necessari per accertare la titolarità del credito e la legittimità della pretesa avanzata dalla S.P.V. verso il debitore, con i controlli del caso così come operati dal giudice nella vicenda che potete leggere di seguito.

In conclusione, la società che agisce in giudizio per il recupero di un credito cartolarizzato deve provare di essere iscritta all'albo art. 106 TUB (o titolare di licenza ex art. 115 TULPS) e in assenza di tale presupposto, la stessa deve ritenersi non legittimata al recupero del credito.

Tribunale di Termini Imerese - provvedimento del 10 novembre 2023. (Visibile con browser Opera - VPN attivo)

domenica 3 settembre 2023

Diffida ad adempiere con termine inferiore a 15 giorni. Quali effetti?

In questo blog è stato affrontato, in più circostanze, il tema della diffida ad adempiere, ossia quel particolare tipo di lettera con il quale una parte inviata l'altra ad eseguire gli obblighi contrattuali assunti entro un determinato termine, quantomeno di 15 giorni come previsto ex art. 1454 c.c.. Nel caso di omesso adempimento di tali doveri, la legge prevede la risoluzione del contratto con lo scioglimento di ogni dovere tra le parti.

Ma cosa succede se il termine indicato nella diffida è inferiore a quello previsto dalla legge? la diffida è ancora valida?

- Artt. 1454 - 1455 c.c.: diffida ad adempiere ed importanza dell'inadempimento

Come anticipato, l'art. 1454 c.c. dispone che: "Alla parte inadempiente l'altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente  detto  termine, il contratto s'intenderà senz'altro risoluto. 

Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o  salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore. 

Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto.".

La norma introduce un chiaro obbligo per la parte che ha visto non adempiuto l'obbligo gravante sulla controparte, ossia lo invita a dare esecuzione al contratto in un determinato termine, non inferiore a quindici giorni.

Il mancato avvio dell'esecuzione degli obblighi assunti comporta l'immediata risoluzione del contratto, con diritto della parte rimasta danneggiata dall'inadempimento di poter chiedere la restituzione della prestazione già eseguita, oltre al risarcimento del danno.

Ma quanto deve essere grave l'inadempimento? la risposta la troviamo al successivo art. 1455 c.c.: "Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra.".

E di tutta evidenza, che la risoluzione può essere riconosciuta solo nel caso in cui l'inadempimento abbia ad oggetto un obbligo contrattuale rilavante preteso dalla parte, e non laddove riguardi aspetti secondari (di scarsa importanza).

Il Legislatore vuole evitare, con tale norma, che una parte tragga illegittimo vantaggio dalla lettera di diffida per liberarsi da un contratto, anche nel caso in cui non vi sia un vero e grave inadempimento della controparte.

Cosa succede, però, se il termine indicato nella lettera di diffida è inferiore a 15 giorni, così come stabilito dal citato art. 1454 c.c.? 

- Corte di Cassazione - Sez. I^ Civ. - sentenza n. 8943/2020: diffida contermine inferiore a 15 giorni - inefficacia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8943/2020, ha voluto ribadire la tesi già sviluppata nella giurisprudenza di legittimità, secondo la quale se il termine è inferiore a quindici giorni previsti ex art. 1454 c.c., comma 2, la diffida è inefficacie con conseguente carenza del presupposto per la dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento.

"Ciò posto, l'art. 1454 c.c., prevede, al comma 2, che il termine assegnato con la diffida ad adempiere non possa essere inferiore a quindici giorni, "salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore". Al di fuori di queste ipotesi, la fissazione di un termine inferiore determina l'inidoneità della diffida alla produzione di effetti estintivi nei riguardi del rapporto costituito tra le parti (Cass. 30 gennaio 1985, n. 542; nel senso che l'assegnazione del termine inferiore produca tale risultato, cfr. pure Cass. 5aprile 1982, n. 2089).".

La Corte specifica che il termine indicato in diffida può essere inferiore, laddove sia stabilito convenzionalmente tra le parti, oppure sia dovuto al particolare tipo di obbligazione pretesa per la natura del contratto o gli usi nella materia oggetto di accordo.

Al di là di questi casi specifici e oggetto di prova, il termine di diffida che deve essere indicato nella lettera con la quale si invita l'altra parte a dare esecuzione al contratto deve essere di 15 giorni: diversamente, nessun effetto potrà essere invocato dalla lettera.

Corte di Cassazione - Sez. I^ Civ. - sentenza n. 8943/2020

domenica 13 marzo 2022

Rapporto avvocato - cliente: il professionista deve informare in merito ai rischi di causa

L'avvocato è tenuto ad informare il proprio cliente in merito ai potenziali rischi connessi all'avvio della controversia, possibili costi e conseguenze negative connesse all'esito negativo del giudizio.

La Cassazione ha avuto modo, con l'Ordinanza n. 34993/2021 del 17 novembre 2021, di ribadire il principio, richiamando gli artt. 1176 c.c. comma 2 e l'art. 2236 c.c., norme che introducono i doveri di diligenza, trasparenza e professionalità che devono accompagnare l'attività professionale svolta dall'avvocato.

Il legale, però, deve anche dissuadere il cliente dall'avvio della causa legale, specificando le potenziali conseguenze negative, tra le quali anche la soccombenza nelle spese legali liquidate dal giudice.

L'omesso adempimento di tali obblighi informativi, valutando la vicenda nel caso concreto, può legittimare il cliente alla richiesta di risarcimento del danno verso il professionista che abbia violato le norme sopra menzionate.

Nel caso di specie, il professionista non aveva comunicato ai clienti in merito ad una serie di circostanze che rendevano l'azione civile per il risarcimento del danno difficile e con scarse possibilità di successo.

Il giudizio di merito si era concluso con il riconoscimento della responsabilità dell'avvocato, per non aver fornito tutte le informazioni ai clienti, disincentivandoli alla causa, individuando una violazione delle norme previste in materia di prestazione d'opera intellettuale in caso di dolo o colpa grave. 

La Cassazione ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, richiamando i principi che regolano la materia della responsabilità professionale, "[...] secondo cui, nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo, dovendo ritenersi il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello "jus postulandi", attesa la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio (cfr. Cass. Sez. 3, 19/07/2019, n. 19520; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14597).".

L'avvocato, in conclusione, deve esporre al cliente tutte le informazioni, in fatto e diritto, che possono rendere improbabile la causa, e le possibili conseguenze negative a carico di quest'ultimo.

Di seguito, l'Ordinanza n. 34993/2021.

domenica 5 luglio 2020

Investimento finanziario: la banca deve fornire tutte le informazioni, altrimenti risponde del danno subito dal risparmiatore

Il provvedimento che vi segnaliamo di seguito riguarda uno dei tanti investimenti in titoli Parmalat terminato nel peggiore dei modi, ossia con la perdita del capitale da parte dei risparmiatori.

Anche nella vicenda oggetto di giudizio, la vendita dei titoli era avvenuta presso la filiale del più importante gruppo bancario italiano (l'allora Banca Intesa, oggi Intesa Sanpaolo S.p.a.), la quale aveva intermediato l'acquisto di obbligazioni della società olandese Parmalat Finance BV per conto di alcuni investitori fiorentini.

Il Tribunale di Firenze accoglieva le domande formulate dai consumatori, accertando il loro diritto al risarcimento del danno sofferto a causa della condotta inadempiente della banca, la quale non aveva in particolare informato i clienti dei rischi connessi all'acquisto di titoli obbligazioni Parmalat.

La Corte d'Appello di Firenze ribaltava la sentenza di primo grado, ritenendo che seppur Banca Intesa Sanpaolo non avesse correttamente comunicato le informazioni agli investitori, questi ultimi avrebbero comunque operato l'investimento in corporate bond, prodotto già acquistato in precedenza e quindi ben conosciuto. 

La vicenda termina avanti alla Corte di Cassazione, chiamata a valutare il ricorso proposto dai risparmiatori, ed in particolare se l'omesso adempimento degli obblighi informativi da parte della banca comporti una sua responsabilità nei confronti del contraente debole (l'investitore).

Come già evidenziato in precedenza, la Corte territoriale aveva escluso la rilevanza causale dell'inadempimento dei doveri di informazione da parte della banca, partendo dal presupposto che i clienti vantavano esperienza e propensione al rischio, così come emerso dalle scelte di investimento antecedenti all'acquisto delle obbligazioni Parmalat.

La Cassazione censura tale ragionamento, contrario ai principi giurisprudenziali consolidati, secondo i quali tra operatore professionale ed investitore esiste un naturale handicap informativo che deve essere colmato dall'intermediario.

Sul punto, il Giudice di legittimità è chiaro laddove evidenzia che è palese: "[…] lo squilibrio, di carattere prevalentemente conoscitivo - informativo, nella posizione delle parti, fondato sull'elevato grado di competenza tecnica richiesta a chi opera nell'ambito degli investimenti finanziari, che è oggetto dell'intervento correttivo del legislatore, attuato anche attraverso la previsione di un rigido sistema di obblighi informativi a carico dell'intermediario".

L'obbligo informativo da parte della banca nei confronti dell'investitore esiste e non può mai essere derogato, e la sua omissione è causalmente legata al danno sofferto dal consumatore, a meno che l'istituto di credito non dimostri di aver agito con cautela, trasparenza e correttezza o che il danno non sia conseguenza del proprio inadempimento.

Appare anche interessante richiamare la Cassazione laddove chiarisce quale sia il contenuto del citato obbligo informativo, ovvero: "[…] l'assolvimento di tale obbligo implica la formulazione, da parte dell'intermediario medesimo, di indicazioni idonee a descrivere la natura, la quantità e la qualità dei prodotti finanziari ed a rappresentarne lo specifico coefficiente di rischio".

La banca deve fornire informazioni puntuali, attuali, specifiche, complete e trasparenti, al fine di consentire all'investitore di potersi orientare tra le offerte del mercato finanziario.

Nel caso in cui tali informazioni non rispettano i "paletti" appena richiamati, non potrà essere negata la condanna della banca al risarcimento del danno subito dal cliente (nei limiti ed in considerazione del principio della compensatio lucri cum damno).

Trovate, qui di seguito, il testo completo della sentenza n. 7905/2020 pronunciata dalla Corte di Cassazione (Sez. I^ Civ.).

domenica 22 marzo 2020

Corte Costituzionale: legittima la riduzione del tasso dei buoni fruttiferi prima del 1986

Torniamo a trattare la questione buoni fruttiferi postali, già oggetto di nostri precedenti interventi (vedi qui), e vi segnaliamo la recente sentenza con cui la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità del ribasso del tasso di interesse per i buoni emessi prima del 1986.

Occorre ricordare che il citato decreto ministeriale del 13 giugno 1986 ha diminuito vertiginosamente il tasso d’interesse applicato rispetto a quello pattuito e riportato sui buoni cartacei. 

Come già evidenziato nel blog, molti consumatori si sono rivolti ai giudici, contestando la legittimità della riduzione del tasso di interesse fondata su un atto unilaterale, privo di adeguata informativa La vicenda è terminata alla Sezioni Unite della Corte di Cassazione è stata risolta dal Giudice di legittimità che ha considerato legittima la modifica unilaterale del tasso di interesse essendoconsentito alla pubblica amministrazione di variare il tasso di interesse, relativo ai buoni già emessi, con decreto ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale. I buoni soggetti alla variazione del tasso di interesse dovevano considerarsi rimborsati con gli interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova serie con il relativo tasso di interesse. A fronte della variazione del tasso di interesse era quindi consentita al risparmiatore la scelta di chiedere la riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall'investimento che avrebbe da quel momento prodotto gli interessi di cui al decreto di variazione”.

Con questa argomentazione, il Giudice di legittimità ha di fatto legittimato la riduzione degli interessi applicati al cliente dalle poste. 

La Corte Costituzionale ha, per contro, considerato legittima tale norma anche in riferimento ai buoni emessi prima dell'entrata in vigore della norma del 1986, non considerando lesiva degli interessi dei consumatori l'art. 173 del DPR n. 156/1973, norma che prevede l'effetto retroattivo dell'eventuale riduzione degli interessi dei buoni fruttiferi postali.

Qui la sentenza della Corte Costituzionale n. 26/2020.

domenica 3 febbraio 2019

ACF: la banca deve sempre dare informazioni al cliente

Questa domenica vi proponiamo una recente decisione dell'Arbitro per le controversie finanziarie, chiamato a decidere in merito alla responsabilità di una banca per aver venduto ad un cliente titoli azionari e obbligazioni convertibili emesse dall'allora stessa Banca Capogruppo dell'intermediario, causando un grave danno all'investitore.

L'ACF ha individuato la responsabilità della banca nella vendita dei titoli emessi dalla Capogruppo, accertando che il professionista avrebbe violato gli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza nei confronti del cliente.

La banca, su cui grava anche il dovere di valutare se l'operazione è adeguata al profilo di rischio, ha altresì l'obbligo di informare correttamente il  cliente in merito alle caratteristiche e i rischi connessi all'investimento in titoli altamente pericolosi.

E nel caso di specie, tali obblighi non risultano essere stati assolti dall'intermediario che ha venduto questi titoli, valutandoli adeguati al profilo di rischio, nonostante "[…] fossero in realtà inadeguate rispetto al profilo del ricorrente, vantando egli conoscenze ed esperienza limitate, in quanto tali incompatibili con l'acquisto di titoli non quotati su un mercato non regolamentato".

L'arbitro bancario ha peraltro evidenziato come l'intermediario abbia violato il precetto previsto all'art. 21 del TUF, e volto a garantire che il cliente sia sempre informato in modo tale consentirgli di poter operare in modo  consapevole.  

Queste carenze hanno reso, nella vicenda che potete leggere di seguito, la banca responsabile per la perdita accusata dal cliente, condannandola al risarcimento del danno occorso a quest'ultimo.

Qui la decisione ACF n. 1285/2019 del 3 gennaio 2019.

domenica 6 maggio 2018

Il contratto quadro e la tecnica del rinvio: quando è legittimo farlo?

> Premessa: la pronuncia della Suprema Corte oggi in commento ci offre l'occasione di trattare un aspetto che il consumatore non dovrebbe sottovalutare quando si affaccia al mondo dell'investimento finanziario, ed in particolare quando sta concludendo il contratto di acquisto con la banca. 

La nostra attenzione cade viene focalizzata, in particolare, sulla formazione/consenso espresso dall'investitore con il c.d. contratto quadro (v. qui), che altro non è che l'impalcatura del rapporto investitore/banca.

Poiché vengono regolati rapporti intrinsecamente complessi, è buona precauzione, prima di tutto, individuare quali sono i documenti e gli atti che compongono la bozza contrattuale oggetto di negoziazione.  

Spesso il prestampato che l'intermediario sottopone al consumatore rinvia ad altri documenti oppure a regole generali sui servizi bancari riportate online. Occorre dunque riconoscere quando il rinvio è valido ed efficace, sfatando il mito per il quale il contratto finanziario, per il solo fatto di essere predisposto dalla banca oltreché complesso, giustifica il parziale disinteresse da parte del consumatore.  

> i modelli di contrattazione: vediamo, in prima battuta, la distinzione tra due distinti e modalità di negoziazione, utili a dare contesto alla pronuncia. 

A. il contratto per adesione: nelle "contrattazioni di massa", il professionista, spesso in via unilaterale, sottopone un modulo od un formulario completo e palese in tutte le sue parti, richiedendo al consumatore la sola adesione. In questo caso, il deficit di conoscenza del consumatore verso le clausole vessatorie viene recuperato sia tramite la previsione della doppia firma (art. 1341 e 1342 cod. civ.) che tramite l'onere della specifica trattativa individuale (art. 34 cod. cons.). 

B. il contratto "a relazione perfetta": si ha quando sia il professionista che il consumatore sono d'accordo nell'emendare la bozza del contratto (a questo punto, incompleta) e a prevedere un richiamo chiaro e preciso a condizioni generali di contratto o documenti dislocati altrove. In questa ipotesi, non opera né la previsione della doppia firma né l'onere di specifica trattativa, poiché sono già le parti a negoziare (e concordare) circa il rinvio ad altri documenti ed atti.  

> il caso: poste tali premesse, il fatto diviene di facile comprensione: nel 2008 un privato, dedito alla speculazione finanziaria, ha sottoscritto un contratto di intermediazione finanziaria che disciplinava, tra l'altro, gli ordini di acquisto di azioni Parmalat. 

A suo dire, tale contratto sarebbe vessatorio ed invalido, poiché non prevede esplicitamente che gli ordini di acquisto possono essere effettuati tramite "il servizio Banca Diretta telefonica, televisiva, via internet o tramite altro strumento" (testualmente). 

Dal canto dell'intermediario è emerso che "il contratto quadro aveva un allegato che il cliente aveva dichiarato di conoscere, che consentiva anche ordini telematici e telefonici, e che non costituiva una clausola vessatoria nulla in mancanza della doppia sottoscrizione". 

> la motivazione della Suprema Corte: a detta degli Ermellini, il contratto quadro è valido per i seguenti motivi. 

Anzitutto, viene ricostruito il contesto in cui è avvenuta la negoziazione della bozza di contratto ed emerge che le parti, sedute insieme alla scrivania, hanno definito e concordato tutte le clausole, senza tralasciare alcun rimando o disciplina di contorno.  

Di conseguenza, la Corte ha affermato che "in materia di condizioni generali di contratto, essendosi affermato che, qualora le parti contraenti richiamino, ai fini dell'integrazione del rapporto negoziale, uno schema contrattuale predisposto da una di loro in altra sede, non è configurabile un'ipotesi di contratto concluso mediante moduli o formulari, assumendo la disciplina richiamata (nella specie, una clausola compromissoria, peraltro integralmente riprodotta dai contraenti) per il tramite di "relatio perfecta" il valore di clausola concordata; sicché tale disciplina resta sottratta all'esigenza dell'approvazione specifica per iscritto di cui all'art. 1341 c.c."

Ancora, il requisito di forma del contratto risulta soddisfatto, poiché "in materie diverse, ha da tempo ritenuto che l'onere di forma può ritenersi adempiuto allorquando le parti richiamino per iscritto elementi contenuti in un diverso atto, espressamente e specificamente richiamato nel contratto". 

Peraltro, non tutte le clausole di rinvio sono anche clausole vessatorie: nel caso emerge che le parti hanno concordato un rinvio soltanto sulle modalità operative per l'acquisto di azioni. In tal senso, la Corte ha precisato che "né può ritenersi che la clausola sottoscritta dalla A., recante la dichiarazione di avere ricevuto le norme contrattuali regolative del rapporto debba essere considerata una clausola vessatoria, trattandosi (...) di una mera dichiarazione di scienza, e non certo di una clausola che comporti "uno squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto".

> conclusione: almeno in questo contesto, il consumatore informato è chiamato a dispiegare ordinaria diligenza nella negoziazione del contratto, senza confidare nel fatto che clausole richiamate in altri documenti od atti siano, in qualche modo, "espunti" dal contratto e invalidabili nelle more del rapporto. 

Questo, ovviamente, non esclude che l'intermediario finanziario sia onerato del classico dovere di diligenza, di correttezza e trasparenza, di informazione, di evidenziazione dell'inadeguatezza dell'operazione finanziaria che si va a compiere (la c.d. suitability rule). 

Tale distinto profilo rileva, tuttavia, ai fini risarcitori, e non anche in quelli sulla validità del contratto. 

Di seguito, puoi leggere il testo integrale della pronuncia. 

venerdì 6 aprile 2018

Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti: primi risultati dall'Autorità nazionale anticorruzione

Vi ricordate la famosa iniziativa del collegio arbitrale presso l'Autorità nazionale anticorruzione?

Avevamo espresso qualche sincero dubbio in merito alla effettiva efficacia della soluzione prospettata con il famigerato "decreto salva banche", ritenendo questo organismo ad hoc l'ennesimo tentativo di non soluzione ai problemi dei consumatori/investitori.

A quanto pare, dopo mesi di silenzio, i collegi arbitrali hanno partorito i primi risultati del loro lavoro, e promettono nuovi ed importanti obiettivi. 

venerdì 20 ottobre 2017

Cariferrara, Banca Marche, Banca Etruria e Carichieti: la domanda per l'arbitrato scade il prossimo 11 novembre

Gli obbligazionisti delle quattro banche in liquidazione (Cariferrara, Banca Marche, Banca Etruria e Carichieti) che non hanno aderito/o sono stati esclusi all’indennizzo forfettario possono avviare il procedimento di arbitrato avanti all'Autorità nazionale anticorruzione.

L'obbligazionista, o il suo successore, può compilare il modulo per richiedere l’accesso al Fondo di solidarietà tramite procedura arbitrale, così come previsto dal decreto n. 83/2017.

La norma in parola ha previsto che con il ricorso all'arbitrato il richiedente è obbligato ad inviare tutte le informazioni necessarie per consentire la valutazione da parte di ANAC, allegando tutta la documentazione inerente gli strumenti subordinati acquistati (contratto quadro, moduli di sottoscrizione, attestazione degli ordini eseguiti) ed ogni altro documento idoneo a valutare la fondatezza della domanda risarcitoria.

Vi ricordiamo che la domanda deve, a pena di decadenza, essere presentata entro e non oltre il prossimo 11 novembre 2017 con l'indicazione di tutte le ragioni poste a fondamento della richiesta del ristoro dei danni, ed allegazione dei relativi documenti.

Qui di seguito, il modulo per l'avvio della procedura alla camera arbitrale di ANAC.

sabato 7 ottobre 2017

Carige: conversione delle obbligazioni subordinate - il documento informativo

Banca Carige ha, di recente, ultimato l'operazione di rafforzamento patrimoniale, proponendo il piano lo scorso 29 settembre 2017. Si definisce il Liability management exercise (LME), operazione che dovrebbe consentire al Gruppo bancario di raccogliere ulteriori fondi (attorno a 200 milioni) per rafforzare il patrimonio. L'idea di fondo è quella di arrivare alla conversione consensuale dei titoli obbligazionari di breve emissione e durata (junior) in titoli senior.

I titoli oggetto della ristrutturazione sono stati piazzati, in gran parte, agli investitori istituzionali ma hanno riguardato anche consumatori retail.

Carige sta proponendo uno scambio con il quale, a fronte di 100 nominali di obbligazioni subordinate (o junior) offre obbligazioni senior per un valore nominale di 30 e 70, a seconda che si tratti di T1 o T2, per chi aderisce entro l'11 ottobre e di 25 e 65, sempre a seconda che si tratti di T1 o T2, per chi aderisce successivamente.

Per coloro che aderiscono alla proposta, viene proposto un titolo obbligazionario di 5 anni, al 5%, con obbligazioni a taglio minimo di € 100.000, sempreché l'assemblea approvi la proposta di scambio.

Ed i titolari di vecchie obbligazioni a taglio inferiore? possono ottenere l'immediato pagamento della propria obbligazione, oppure dei titoli sostituitivi.

Invero, l'operazione è molto complessa e vi invitiamo a valuarla con attenzione anche rivolgendorvi alla vostra banca.

Di seguito, il prospetto informativo dei titoli Carige senior.

lunedì 26 giugno 2017

Fondi chiusi, gli iscritti a loro insaputa

Fonte: Il Fatto quotidiano - 19 aprile 2017
L’italico genio per le soluzioni pasticciate ne ha escogitata un’altra: gli iscritti-fantasma ai fondi pensione. A monte vi è una strategia applicata da qualche anno per truccare le carte della previdenza integrativa. Nei rinnovi contrattuali i sindacati sottraggono una quota di aumento salariale per i lavoratori e la dirottano d’imperio ai propri fondi pensione, pure per chi saggiamente non vi vuole aderire. Sono somme a volte minime, come 100 euro l’anno.

domenica 11 giugno 2017

Maximulta di Consob ai vertici di Banca Popolare di Vicenza

Le recenti sanzioni irrogate da Consob verso i vertici di Banca Popolare di Vicenza, attraverso tre distinte delibere, risulta alquanto beffarda (per non dire grottesca) visto l'eccessivo ritardo con il quale l'organo di controllo è intervenuto nella vicenda già trattata in questo blog.

E' di tutta evidenza, infatti, che Consob ha sanzionato la Banca Popolare di Vicenza per condotte irregolari poste in essere dal vertice aziendale tra aprile 2011 e aprile 2015.

Si tratta di violazioni delle norme di settore che hanno cagionato gravi danni ai risparmiatori (clienti - azionisti), finalizzate ad alterare le informazioni dei titoli azionari proposti sul mercato e, più in generale, il reale stato patrimoniale e finanziario dell'istituto di credito.

I provvedimenti hanno riguardato il Consiglio di amministrazione e il Collegio sindacale in carica nel periodo oggetto di verifica, nonchè alcuni dirigenti della banca.

Di seguito, potete leggere una delle delibere Consob, la n. 19930, con la quale Consob ha accertato che la vendita dei titoli della banca sono avvenuti in assenza di corretta e trasparente informativa fornita agli investitori.

La banca, come accertato all'esito dell'ispezione di Consob, ha violato le discipline in materia di regole di condotta degli intermediari nei confronti della clientela, di prospetto, di offerte al pubblico e di informazione societaria.

Peccato che, ancora una volta, questo intervento sia tardivo e di scarsa utilità per i risparmiatori.

Qui il provvedimento di Consob.

lunedì 22 maggio 2017

A chi è rimasto il cerino in mano delle obbligazioni Alitalia?

Fonte: Il Fatto Quotidiano 15/5/2017
Chi ci rimetterà da un fallimento della nuova Alitalia? Per forza gli azionisti, poi di sicuro molti fornitori, i contribuenti italiani, i dipendenti ecc. A prima vista nessun risparmiatore. Ma è proprio così? A giudicare da alcuni dati scovati e forniti da Marco Vinciguerra della Tokos, la situazione è peggiore e anche più opaca.

L’Alitalia-Società Aerea Italiana (SAI), cioè l’attuale compagnia subentrata alla precedente, ha emesso diverse obbligazioni per importi rilevanti. Vogliamo però concentrarci su quella da 375 milioni di euro che circola sul mercato secondario, di cui si parla pochissimo o niente. È il prestito Alitalia-SAI 5,25% 30-7-2020, codice Isin XS1263964576, quotato in Irlanda. Sorvoliamo sull’entusiasmo ostentato dell’amministratore delegato Silvano Cassano che lo definiva “un importante segnale di fiducia dei mercati finanziari”, a ulteriore conferma di quanto sia idiota la massima di Borsa “Il mercato ha sempre ragione”.

venerdì 21 aprile 2017

Rimborso buoni postali? si alla restituzione di tutti gli interessi

La vicenda buoni fruttiferi postali ha riguardato molti risparmiatori che avevano deciso di investire i propri risparmi in titoli sicuri, con la speranza di poter percepire degli interessi elevati al momento del   rimborso.


Purtroppo, Poste Italiane ha ridotto il calcolo degli interessi, offrendo una interpretazione discutibile del quadro normativo esistente, sicché la somma rimborsata al risparmiatore è risulta decisamente decurtata rispetto a quanto promesso al consumatore momento dell’investimento.


Consumatore Informato ha ricevuto molte segnalazioni di consumatori rimasti delusi dalla condotta tenuta da Poste Italiane, ed ha deciso di seguire coloro che hanno ottenuto un rimborso parziale della somma investita.

venerdì 27 gennaio 2017

Offerta di transazione di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Conviene accettare?

Banca Popolare di Vicenza la definisce "una proposta concreta", mentre il Presidente di Veneto Banca dichiara "Vogliamo dare un segnale forte e tangibile a coloro che hanno subito gravi conseguenze a causa della passata gestione del nostro Gruppo, che sarà oggetto di una rigorosa azione di responsabilità. Sono proposte chiare e concrete, le uniche che possano alleviare in tempi brevi i disagi provocati a tante famiglie e imprese.".

Stiamo parlando delle proposte di transazione tombale avanzate dalle due banche verso i possessori di azioni  acquistate tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2016.

Le offerte provenienti dagli istituti di credito sono state definite "tombali", in quanto gli aderenti "rinunciano, irrevocabilmente e incondizionatamente a qualunque pretesa - nei confronti di chiunque e in qualunque sede (sia civile, sia penale) - relativa all'investimento".

L'offerta prevede, in buona sostanza, le seguenti condizioni:

- Banca Popolare di Vicenza verserà 9 euro per ogni azione;
- Veneto Banca rimborsa il 15% del valore nominale di acquisto.

Si tratta di un indennizzo, in quanto i titoli rimangono nelle mani dei consumatori, e si perfezionerà solo nel caso di adesione alla proposta dell'80% dei possessori di azioni che rientrano nel regolamento che accompagna l'offerta.

Ricordiamo, infine, che la "proposta concreta" (sic!) rimane valida sino al prossimo 15 marzo 2017, data di scadenza dell'offerta.

> Conviene aderire a questa offerta?

Premettiamo che da una lettura dei regolamenti che riguardano le offerte di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza e che vi invitiamo a leggere con attenzione (vedi qui per BPVI, e qui per Veneto Banca), si evince con chiarezza che non tutti i possessori dei titoli azionari, anche acquistati successivamente al gennaio 2007, rientrano nell'offerta avanzata dalle banche.

Come anticipato in precedenza, stiamo parlando di una proposta di indennizzo, ove la banca si limita a versare l'importo oggetto di accordo, acquistandosi il silenzio giudiziario del consumatore (cioè il suo diritto ad agire per le vie legali), a fronte di pagamenti molto esigui.

Il valore dell'offerta è decisamente basso, ma può risultare interessante per i consumatori che non hanno intenzione, volontà e risorse monetarie per potersi vedere riconosciuto un reale risarcimento del danno attraverso l'arbitro in materia di investimenti finanziari o il giudice.

> Se non si aderisce? diffida - ricorso all'ACF o la mediazione civile

Chi non aderisce all'offerta dovrebbe, a nostro parere, inviare una diffida alla banca con la quale interrompere il termine di prescrizione e, successivamente, avviare un tentativo di soluzione stragiudiziale attraverso l'Arbitro per le controversie finanziarie (ACF) o con un procedimento di mediazione obbligatoria.

lunedì 26 settembre 2016

Rimborso titoli Argentina - il procedimento

In queste ultime settimane è iniziata la procedura di rimborso dei denari verso i possessori dei bond Argentina rimasti scottati dalla moratoria dichiarata nel 2001.

Come già anticipato, i titolari di titoli Argentina hanno ricevuto la felice notizia del rimborso la scorsa primavera (vedi), ed in questi ultimi mesi è stata avviata la procedura che, per parte italiana, è seguita dalle banche italiane. 

Come aderire all'offerta?

Vi ricordiamo, in primo luogo, che l'offerta coinvolge tutti i titolari di obbligazioni Argentina che non abbiano  aderito alle offerte di concambio del 2005 e 2010 e, quindi, siano ancora in possesso dell'obbligazione originale, senza aver aderito all'arbitrato Icsid.

Per aderire alla procedura occorre seguire due diverse strade:

(1) Titoli con codice ISIN "DE": si tratta dei titoli obbligazionari regolati dalla legge tedesca e collocati sul mercato borsistico di Francoforte. Se possedete questi titoli, dovete trovare il modulo sul sito web del Ministero dell'economia  (vedi), compilarlo  e spedirlo aagreementinprinciple@mecon.gov.ar.

(2) Altri titoli Argentina: gli altri titoli emessi dall'Argentina saranno oggetto di rimborso accedendo al sito web del Governo (vedi), ove trovate tutta la procedura per ottenere il pagamento dell'importo previsto. 
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