venerdì 30 marzo 2012

Beppe Scienza: BTP – pregi e difetti di un successo non scontato

C'è da aspettarsi un default dell'Italia per pura distrazione? Viene da temerlo, leggendo la presentazione del Btp Italia, definito il primo titolo di Stato italiano indicizzato all'inflazione italiana. Al Tesoro si sono dimenticati di avere già un'emissione con tale caratteristica: la Repubblica Italiana 2,25% 2019, diventata a ogni effetto un titolo dello Stato, dopo che se l'è accollato dalla Cassa Depositi e Prestiti il 20-9-2007. Facciamo però conto che si ricorderanno di pagarne interessi e rimborso. 

Purtroppo non c'è solo questa pecca nei documenti con cui i Btp Italia 26-3-2016 sono stati presentati a risparmiatori, operatori e alla stampa. Dire che non brillino per chiarezza è un eufemismo.

Ma a parte tali aspetti, conviene esaminarli in modo obiettivo, anziché abbandonarsi a una specie di esaltazione patriottico-finanziaria. Soprattutto merita confrontarli con le altre soluzioni anti-carovita per i risparmiatori italiani, fra cui in particolare gli analoghi titoli indicizzati all'inflazione europea, ovvero i Btp-i. Premesso che l'articolo va in stampa prima del loro debutto in Borsa, le considerazioni seguenti restano valide, anche se quoteranno un po' sopra o sotto i 100 euro.

Di per sé l'aggancio all'inflazione italiana è apprezzabile, fermo restando che è tutto da vedere se l'inflazione nel prossimo quadriennio sarà più alta in Italia o nell'eurozona. Peccato che il Tesoro italiano sia in forte ritardo rispetto a quello francese che partì nel 1998 proprio coi titoli legati all'inflazione interna (Oat-i) e solo dopo gli affiancò gli altri (Oat-ei). Ricordo che, quando nell'autunno 2003 venne emesso il primo Btp-i, criticai la scelta con Maria Cannata, attuale dirigente generale del Debito Pubblico, la quale mi contrappose l'importanza che i titoli fossero rivolti ai mercati internazionali. In ogni caso, meglio tardi che mai. 

Purtroppo però i nuovi titoli presentano altri difetti e il successo del collocamento (7,3 miliardi di euro) è dovuto ad alcune trovate commerciali. Vedi il mini-premio (0,1% l'anno) per chi li tiene fino alla scadenza; vedi il bloccare l'indice in caso di deflazione, clausola di validità soprattutto estetica.

Troppo brevi. Anche la durata quadriennale è stata una scelta commerciale premiante. Ma per il Tesoro, non necessariamente per i risparmiatori. È infatti più facile vendere titoli con durata di 4 anziché di 30 anni, come i Btp-i 2041. Peccato che per tutelarsi nei confronti di una ripresa dell'inflazione le durate lunghe siano più difensive di quelle brevi.

Cedole più pingui. Si spiega sempre con motivi commerciali la scelta di corrispondere ogni semestre l'inflazione del periodo, anche se inevitabilmente ricorrendo in parte a una stima. Così le cedole sono più alte che coi Btp-i. Ma chi si lascia andare a spenderle integralmente, di fatto erode il potere d'acquisto del capitale investito. Anche a questo riguardo è più difensiva la formula finanziaria della capitalizzazione dei Btp-i e ancor di più quella dei buoni postali.

Commissioni alte. È stata applaudita l'assenza di commissioni per i sottoscrittori dei Btp Italia. Ma è sempre così per le emissioni di Btp, Cct, Btp-i, Enel, Eni ecc.: sul mercato primario le commissioni le paga l'emittente. Solo nel caso dei Bot è l'investitore a pagarle. Anzi, la commissione a carico del Tesoro per i Btp Italia è doppia di quella usuale: 0,30% anziché 0,15%.
Il colmo è che essa viene corrisposta integralmente a banche e sim anche per i Btp sottoscritti online, caso in cui è meno giustificata, visto che il lavoro lo fa il cliente. È poi una sciocchezza dire che con l'acquisto online si salta l'intermediario: questo sarebbe vero se si potessero sottoscrivere i titoli di stato presso le filiali della Banca d'Italia, come un tempo.

Rischio perdite. Una durata quadriennale non preserva dal pericolo di andamenti negativi delle quotazioni, anche vistosi. Si veda in particolare il Btp-i 2016. Benché non tanto più lungo, scese quasi a 77 euro nel mese di novembre 2011. Nulla esclude qualcosa di analogo per i Btp Italia.
Nell'ambito dei titoli indicizzati all'inflazione solo coi buoni fruttiferi postali indicizzati (serie J22 questo mese) si è sicuri di non perdere mai in termini monetari e, dopo 18 mesi, neppure reali. Salvo ovviamente un'insolvenza (default) generalizzata dell'Italia.

Spread sui 330 punti. Nessuno ha riportato lo spread della nuova emissione. Alcuni hanno addirittura pontificato che per i Btp Italia non ha senso parlare di spread ovvero di differenza di rendimento rispetto alla Germania. Una sciocchezza, tanto più che il confronto è facile, in presenza di un titolo di stato tedesco con durata quasi identica, ovvero le Deutsche Bundesrepublik (DBR-ei) 1,5% 15-04-2016, codice Isin DE0001030500. Che però, in barba al tasso reale più basso (1,5%), quota intorno a 109,5. Altro che assenza di spread! È nell'ordine dei 330 punti. Si può valutarlo un po' inferiore, supponendo strutturale un'inflazione più alta in Italia che nell'eurozona, tesi tutta da dimostrare.
Ma è innegabile che il mercato ritenga i Btp Italia più esposti al rischio di insolvenza che le DBR-ei 1,5% 2016, quotate anche alla Borsa Italiana.

Beppe Scienza – La Repubblica 26 marzo 2012

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