Il recente intervento legislativo, incluso nel decreto legge n. 4/2014, pare aver posto fine al contenzioso sviluppatosi negli ultimi anni in merito all'obbligo fiscale da parte dei titolari di abbonamenti al telefono cellulare. Ricordiamo, infatti, che coloro che hanno un abbonamento ad un servizio telefonico mobile devono versare periodicamente un importo allo stato, a titolo di tassa di concessione governativa, e giustificato dall'utilizzo delle apparecchiature di radiocomunicazione messe a loro disposizione da parte dello Stato.
La somma viene riscossa dall'Agenzia delle Entrate attraverso le compagnie telefoniche, le quali trattengono euro 12,91 mensili, nel caso di contratto intestato ad azienda o ditta individuale, e di euro 5,16 se l’utenza è intestata a privato.
a.- TCG contestata dalle amministrazioni comunali e dai privati
La vicenda prende avvio quando numerose amministrazioni comunali, nonché cittadini privati, cominciano a contestare l’applicazione nei propri confronti di tale tariffa, in quanto non sussisterebbero i presupposti previsti dalla legge. I ricorrenti si rivolgono a giudici tributari, eccependo la illegittimità della pretesa avanzata dall'Amministrazione finanziaria, sostenendo che non vi sarebbe alcuna norma con la quale sarebbe stato introdotto tale tributo nei propri confronti.
L'abbonamento alla telefonia mobile è soggetto a tassa di concessione governativa, la quale viene versata alla compagnia telefonica con il canone mensile. Il presupposto giuridico della tassa di concessione governativa per il servizio radiomobile è rappresentato dall'attivazione dell'abbonamento, così come previsto ex art. 21 della Tariffa allegata al DPR 641/1972.
Attraverso tale pretesto, l'Agenzia delle Entrate ha preteso il pagamento periodico di un importo di pochi euro da parte del contribuente. La tesi è stata accolta da alcune commissioni tributarie, ed in particolare la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha considerato illegittima tale pretesa, in particolar modo per le Amministrazioni Pubbliche, sostenendo che la norma che ha istituito la concessione governativa, il DPR 641/1972, sarebbe stata abrogata con l'introduzione del D.Lgs. 253/2003 (art. 3).
Di conseguenza, con la liberalizzazione della fornitura di servizi di comunicazione telefonica attuata attraverso tale norma, verrebbe meno il presupposto impositivo che obbliga il contribuente a pagare questa tassa. (vedi).
La posizione è stata contrastata dall'Agenzia delle Entrate, anche sulla base di diversa interpretazione del quadro normativo offerta da altri giudici tributari (vedi). Il contrasto giurisprudenziale è giunto sino alla Corte di Cassazione, la quale ha chiesto un intervento delle Sezioni Unite volto a chiarire in modo definitivo il punto di diritto (vedi).
b.- Decreto Legge n. 4/2014: la tassa è dovuta per legge
In attesa dell’intervento dei giudici di legittimità, ad oggi rimasti ancora in silenzio, la soluzione al contrasto è arrivata dall'organo legislativo, il quale ha affermato la legittimità della tassa di concessione governativa, chiarendo che le disposizioni introdotte con il Codice delle comunicazioni elettriche (D. Lgs. 253/2003) devono essere interpretate nel senso che “per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terreste di comunicazione”. Così facendo, il Decreto Legge ha di fatto stabilito che il contribuente, privato o ente territoriale, è tenuto a versare l’importo per la concessione governativa, risolvendo tutti i dubbi sorti sul punto.
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