domenica 24 luglio 2022

Point and click: tra evanescenza della prova e carenza dei diritti del consumatore

La pronuncia odierna, questa volta l’ordinanza n. 9413 pubblicata dalla Cassazione il 9 aprile 2021, ci consente di inquadrare il fenomeno del “point and click”, dal nostro particolare punto di vista, che è quello di monitorare i diritti dei consumatori. 

Oggi più che mai è ricorrente l’utilizzo della firma elettronica, negli esercizi pubblici come in banca, dove si usano strumenti grafometrici e, con l’assistenza degli operatori, si sottoscrivono nell’etere condizioni contrattuali che, alla prova dei fatti, sono flussi di informazioni o si inseriscono nei format dei siti delle password che ci sono state inoltre via sms poco prima. 

Siamo in grado, sin d’ora, di formulare un appunto di metodo: il fenomeno digitale, non soltanto perché è tale, deve essere disciplinato attraverso la normativa di settore (e, nel nostro ordinamento, non mancano gli esempi, da ultimo il Codice dell’Amministrazione Digitale); non ci troviamo, infatti, dinnanzi ad un settore specifico che richiede una normazione dettagliata, bensì ad una modalità di interazione che, sul piano degli effetti, ha modificato profondamente le abitudini di negoziazione dei privati e, segnatamente, dei consumatori. 

Ci si chiede, allora, se il portato della rivoluzione digitale (ormai narrata ufficialmente e quindi conclamata) possa essere regolato tramite questa o quella norma di carattere speciale. 

L’osservazione, benché posta in premessa a questo intervento, non è delle più peregrine: se i processi che vengono regolati sono speciali, le ricadute, come pure i problemi di coordinamento con altri settori dell’ordinamento, sono di carattere generale. 

Finché il commercio digitale era relegato al perimetro del c.d. B2B (business-to-business), gli effetti del fenomeno digitale potevano essere assorbiti nella particolare responsabilità che è attribuita a quegli operatori. 

Diverso, invece, è il perimetro del grande pubblico, che comprende i consumatori i quali sono circondati da cautele nelle sottoscrizioni – cautele delle quali ogni domenica diamo ufficialmente atto -: si pone allora, il problema del rapporto tra la sottoscrizione digitale e la tutela dei consumatori, che incominciamo a trattare da questa domenica.

2.- I fatti di causa: point and click e sottoscrizione di covered warrant

Nella causa, il ricorrente si lamentava di aver autorizzato, per sé e anche per la moglie, un’operazione finanziaria in covered warrant, che conferiva alla banca la facoltà di vendere e acquistare un certo quantitativo di attività sottostanti, entro una soglia di prezzo ed entro una data stabilite. 

L’autorizzazione, però, è avvenuta online, attraverso il mero accesso ad un’area riservata (il log in) e la pressione del bottone di assenso (point and click). 

L’oggetto del contendere, risolto dalla Cassazione a sfavore del ricorrente, ha riguardato la necessità di autorizzare tale operazione attraverso una firma digitale pesante oppure una firma elettronica leggera. 

La Cassazione, inquadrando la vicenda nella classica (e, a parere di chi scrive, usurata e stantia) questione sulla validità della sottoscrizione dei contratti online, ha ripercorso la normativa che, dal 1997 in avanti, ha regolamentato la materia, ritenendo che sia sufficiente la seconda, al fine di soddisfare il requisito legale della forma scritta. 

2.- Lo stato dell'arte: la Cassazione e le modalità di sottoscrizione

Partiamo dal principio generalissimo e di matrice codicistica per il quale i privati, quando la legge non richiede particolari gravami formali, concludono contratti o “a forma libera”: vale a dire che non sono richieste formalità per manifestare la volontà di concludere il negozio, e anche un comportamento concludente integra una valida forma di assenso. 

Quando i contratti contengono clausole vessatorie, esse sono valide se vengono specificamente sottoscritte dal consumatore: e, questo, costituisce un onere formale che deve essere conciliato con la volatilità del web. Se per sottoscrizione si intende una firma autografa, è imprescindibile un supporto tangibile (il foglio di carta o la sua riproduzione meccanica) o, quantomeno, una attività esplicitamente equiparata dalla legge alla sottoscrizione. 

Data questa premessa, nel nostro ordinamento sono state riconosciute diverse modalità di sottoscrizione, che potremmo definire “per livelli”: 

- la firma elettronica semplice, ossia una mera connessione di dati elettronici ad altri dati elettronici, che viene usata come strumento di autenticazione senza condurre attività in remoto (off-line). 

- la firma elettronica avanzata, con la quale si perviene alla garanzia sulla paternità della firma e sull’impossibilità che il documento informatico, una volta sottoscritto, venga modificato. Di solito, tale strumento è utilizzato nell’interlocuzione qualificata con la PA. 

- la firma elettronica qualificata, attestata da un certificato qualificato rilasciato da un soggetto terzo tramite attività di autenticazione off-line. 

- la firma digitale, la quale è il sistema di firma più avanzato e sicuro, in quanto è basato sul sistema della crittografia asimmetrica a chiave pubblica. Gli interlocutori telematici, cioè, dispongono di una coppia di chiavi, di cui una pubblica e l’altra privata. Con la chiave privata l’autore firma e “sigilla” il documento mentre il destinatario può aprirlo solo adoperando la corrispondente chiave pubblica. In tal modo si garantisce che il documento proviene da chi detiene la chiave privata e si presuppone la vicinanza delle prove.

La giurisprudenza - sulla scorta di una stratificazione normativa che prende le mosse dalla legge 59/1997 per pervenire al Codice dell’Amministrazione Digitale e a sue successive, quanto raccogliticce modifiche – ha individuato le seguenti linee fondamentali in ordine alla valenza in giudizio dei documenti digitali. 

Ma, prima di dare atto di questa classificazione, dobbiamo chiarire che cosa si intende per documento, e segnatamente per documento digitale.  

Partiamo, allora, dal logico presupposto che il documento è un supporto materiale che fissa e rappresenta un fatto storico: e appartenendo alla storia, può essere narrato o interpretato, ma non per questo modificato.

Ora, il Codice dell’Amministrazione Digitale, all’articolo 1, lettera p, equipara il documento informatico a “una rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. 

Questa definizione è stata adottata dal legislatore nel 2005, prima che il commercio telematico si diffondesse vertiginosamente; e, in allora, si pensava al supporto fisico che detiene i file. 

Posta questa definizione, i file detenuti in un supporto fisico possono dare luogo ad operazioni meccanografiche, e quindi riproduttiva della realtà e dei fatti. 

Ecco dunque che si può dare atto di quella classificazione richiamata dalla giurisprudenza: 

- il documento informatico non sottoscritto, essendo equiparabile ad una riproduzione meccanografica, è una fonte di prova valutabile finché non viene contestata l’aderenza dei fatti alla loro rappresentazione; 

- il documento informatico sottoscritto con la firma elettronica semplice integra il requisito della prova liberamente valutabile da parte del giudice, poiché dovrebbe avere requisiti oggettivi di qualità e sicurezza; 

- infine, il documento sottoscritto con la firma elettronica avanzata o con quella digitale assurgono a prova piena, fino a querela di falso, che si utilizza quando la legge richiede l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata.  

3.- Il point and click nel web 

Del tutto diverso, invece, è il discorso per quanto riguarda il mondo del commercio elettronico, che avviene perlopiù con attività online o in clouding. Quando accediamo ad una piattaforma, noi stiamo lavorando su un flusso di dati evanescente e unilateralmente modificabile, perché a completa disposizione del fornitore di servizi (il provider) e sul suo server. Abbiamo, così, l’illusione di operare con oggetti statici, ma, in realtà, possiamo scorgere dei processi digitali, sottratti alla nostra disponibilità materiale. 

È pur vero, tuttavia, che il pubblico spesso accetta il rischio insito nell’uso delle tecnologie, pur di non rinunciare alle transazioni digitali, soprattutto in questo settore: ciò è una questione di abitudini. Questo problema è stato, prima del 2016, oggetto di frequente discussione: è meglio tutelare (o, secondo alcuni, iper-tutelare il consumatore) con la firma digitale e le connesse attività off-line oppure aprire al point and click, che coincide con la firma elettronica semplice?

Da qui è avvenuta una recente modifica normativa: nel 2016 il legislatore ha aggiunto al Codice dell’Amministrazione Digitale un nuovo articolo, il 21 comma 1, per cui “il documento informatico cui è apposta una firma elettronica soddisfa il requisito della forma scritta e sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”.

A differenza del passato, anche l’utilizzo di una generica firma elettronica – e non solo la firma elettronica avanzata, qualificata o digitale – soddisfa il requisito della forma scritta, agevolando gli operatori di e-commerce.

E alla luce di tale norma si è mosso il giudice di legittimità, con aperture che, ad opinione di chi scrive, eludono completamente il problema della reperibilità delle fonti di prova e accolgono la tautologia – che tale rimane, benché l’abbia affermata il legislatore – che l’ambiente informatico è sicuro o, al più, si presume che lo sia.

4.- Considerazioni critiche finali

Pur conducendo il discorso su due piani paralleli, quello intorno al documento e quello intorno alla firma, dobbiamo riconoscere che quanto detto all’inizio è cogente e attuale.

Da un lato, l’apertura alla firma elettronica generica porrebbe addirittura problemi di oggettività, sicurezza, integrità e immodificabilità, che non possono essere semplicemente presunti dal legislatore, ma devono essere quantomeno accertati in sede giudiziale. E ciò ad evidente discapito del grande pubblico che non può accedere alle fonti di prova agevolmente. 

Dall’altro lato, anche la firma digitale, per quanto sia lo strumento più sicuro che esista per attribuire la paternità del documento al suo autore sul versante digitale, pone problemi di attribuzione delle sottoscrizioni ai contenuti corretti. E ciò sul presupposto, già rilevato poco sopra, che la contrattazione online non avviene tenendo conto di formulari contenuti in supporti fisici, ma per mezzo di flussi di informazioni cangianti e non durevoli. Se anche a posteriori, come prevede la disciplina sulla contrattazione digitale, il venditore deve fornire a un supporto durevole, contenente le informazioni essenziali sulla transazione intercorsa, ciò non toglie che il consumatore non dispone di fonti di prova di cui conserva il dominio e che può produrre agevolmente in giudizio. 

Come può infatti dimostrare che il contratto, che sotto il profilo formale della firma si assume come valido, in realtà non è stato mai consegnato o, ancora, si compone di rimandi ipertestuali in bianco?

Sembrerebbe che una tale ipotesi possa essere solamente sanzionata come scorretta ma non si rientri nei casi di invalidità della firma e che la rilevazione di tali condotte, in concreto, sia oggetto di rilievi via via più puntuali da parte dell’AGCOM.

Peraltro, ci permettiamo di segnalarvi la recente pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione europea (C-249/2021), ove il giudice comunitario ha ribadito il principio di trasparenza che deve caratterizzare questo tipo di contratti, così come sancito con la Direttiva 2011/83/UE (art. 8.2), con i quali si stabilisce che il consumatore, al momento della conclusione di un contratto con sistema "point and click" deve essere reso edotto di tutte le informazioni in modo trasparente e completo dal venditore.

Diversamente, la norma è chiara laddove stabilisce che "Se il professionista non osserva il presente comma, il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine" (approfondisci qui). 

Cassazione Civile Sez. I^ - ordinanza n. 9413/2021

Point and click - validità del contratto by Consumatore Informato on Scribd

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