Riprendiamo, oggi, il tema attinente alla responsabilità del notaio, (già affrontata sotto vari punti di vista: vedi qui), esaminando, però, quali sono gli effetti del contatto sociale qualificato.
Carnelutti, a proposito della funzione notarile, era solito affermare che “tanto più notaio, quanto meno giudice”. A differenza delle professioni forensi, in quella notarile si evince una funzione pubblica ancor più preponderante, nella quale la sua professionalità è determinante: tanto è vero che, per citare un esempio, l’articolo 49 della legge notarile (la n. 89 del 1913) prevede che l’accertamento dell’identità delle parti comparenti, in caso di incertezza , deve essere compiuta dinanzi a “due testimoni c.d. fidefacienti”, vale a dire due figure che conoscono le parti e che, a loro volta, sono conosciute dal notaio.
Esulando dalle formalità di cui è costellata la legge notarile, ci spostiamo sulle ricadute delle prestazioni notarili sul pubblico.
Queste, in particolare, non vanno valutate in modo parcellizzato: in sé e di per sé possono essere valide ed efficaci, ma presentare ricadute negative e dirompenti sugli interessi implicati in rapporti formalmente distinti da quelli oggetto della prestazione professionale.
La considerazione rientra nel tema più ampio del contatto sociale, un tertium genus rispetto alle due note macro-categorie nelle quali, sul piano delle fonti delle obbligazioni, si inquadra la responsabilità civile: contrattuale (art. 1218 cod. civ.) ed extracontrattuale (art. 2043).
Tale distinzione presenta profonde e note ricadute sul piano processuale, in tema di ripartizione dell’onere della prova e vicinanza delle fonti di prova al creditore (e, nel nostro caso, al consumatore).
Nel caso che si rientri nella responsabilità extracontrattuale, colui che ha subito il danno ingiusto è tenuto ad allegare e dimostrare tutti i suoi elementi costitutivi.
Diversamente, nell’ambito della responsabilità contrattuale l’onere della prova del diligente adempimento spetta al debitore; il creditore è chiamato soltanto ad allegare l’inadempimento (vedasi Cass. SS. UU. Sentenza n. 13533/2001 – Pres. Vela – Rel. Preden).
Quest’ultima precisazione facilita notevolmente l’attività processuale del consumatore, in particolare quando l’inadempimento si inserisca all’interno di un rapporto contrattuale (in genere, assai formalizzato e massificato) con un professionista inadempiente.
Esistono, tuttavia, casi che si collocano sul crinale tra le due responsabilità: ciò accade quando un qualsiasi professionista compie prestazioni che hanno incidenza indiretta anche su soggetti estranei al rapporto contrattuale (alcuni, a tale riguardo, hanno parlato di “contratto di fatto”).
Questi casi, a partire da un noto arresto giurisprudenziale del 1999, si entra nella sempre più ampio ambito del “contatto sociale”.
La sentenza oggi in commento fornisce un esempio calzante, scolastico, di tale ambivalenza: il notaio che autentichi la procura speciale a vendere, di per sé, sta compiendo un atto unilaterale, in esecuzione di un rapporto d’opera professionale che ha stipulato (esclusivamente) con il venditore; tuttavia, se dal punto di vista formale quel negozio unilaterale è formalmente distinto dalla compravendita, sul piano sostanziale consiste, per riprendere le parole della Cassazione, in attività “preparatoria del successivo contratto traslativo”.
La circostanza che sia preparatoria della compravendita è sufficiente, allora, ad estendere gli obblighi di protezione pure nei confronti del potenziale acquirente che, si badi bene, non ha intrattenuto alcun rapporto contrattuale con quel notaio.
Anzi, la compravendita può essere perfezionata anche davanti ad un notaio del tutto differente da quello che ha autenticato la procura e, nel caso in cui si manifesti un vizio della procura, l’acquirente potrà tenere per responsabile il notaio che ha autenticato la procura, a titolo di responsabilità contrattuale. A stretto rigore, se non ci fosse il contatto sociale, egli dovrebbe inquadrare il fatto all’interno della responsabilità extracontrattuale e, quindi, dimostrare non si è attenuto alla diligenza professionale qualificata a lui richiesta: prova che, si sa, è piuttosto gravosa se invocata da un non professionista.
Di seguito, puoi leggere la sentenza.
Cass. Civile Ord. Sez. 3
Num. 7746 Anno 2020
Presidente: ARMANO ULIANA
Relatore: GUIZZI STEFANO GIAIME
Data pubblicazione: 08/04/2020
[omissis]
FATTI DI CAUSA
1.Raffaele Orlando ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 3866/17, del 22 settembre 2017, della Corte di Appello di Napoli, che - respingendo il gravame da esso esperito avverso sentenza del Tribunale di Napoli n. 3709/16, del 26 gennaio 2016 - ha confermato il rigetto della domanda proposta dall'odierno ricorrente, volta a far valere la responsabilità professionale del notaio Massimo des Loges, in relazione alla procura speciale dell'Il maggio 2009, dallo stesso autenticata, con cui tale, sedicente, Maria Nuzzo costituiva quale proprio procuratore tale, sedicente, Patrizio Piscopo, conferendogli il potere di rappresentarla in occasione della conclusione di contratto di compravendita del 4 giugno 2009, con il quale la sedicente Nuzzo trasferiva all'Orlando la proprietà di immobile sito in Napoli, contro il prezzo di C 300.000,00.
2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di essere rimasto vittima di una vera e propria truffa, resa possibile - a suo dire - dalla negligenza professionale del notaio des Loges. Deduce, infatti, che nel mese di aprile 2009, dopo aver letto su una rivista specializzata un annuncio riguardante la messa in vendita dell'immobile suddetto, egli contattava l'agente immobiliare, tale Immacolata Pariota, al fine di fissare un appuntamento per poter visionare l'appartamento in questione. Recatosi sul posto due volte, accompagnato dalla predetta Pariota, all'esito di una lunga trattativa sul prezzo, l'Orlando, in data 7 maggio 2009, formalizzava una proposta di acquisto, consegnando nelle mani dell'agente immobiliare un assegno - intestato alla Signora Maria Nuzzo, proprietaria dell'immobile - dell'importo di C 10.0000, a titolo di caparra confirmatoria. La proposta di acquisto prevedeva, inoltre, che la restante parte del prezzo pattuito, ovvero C 290.000,00, sarebbe stata versata attraverso due successivi pagamenti, in occasione della stipulazione, dapprima, del contratto preliminare e, di seguito, di quello definitivo. Contattato, tuttavia, sempre dalla Pariota, l'odierno ricorrente apprendeva che la Nuzzo, pur ritenendo congruo il prezzo pattuito, richiedeva che la vendita si perfezionasse con la sola stipula del contratto definitivo, in occasione della quale, pertanto, l'acquirente avrebbe dovuto versare, per intero, il restante importo pattuito. L'Orlando accettava la richiesta e incaricava della predisposizione del rogito il notaio Rosa Lezza Oliviero, la quale - dopo aver acquisito tutta la documentazione necessaria ed effettuato le verifiche di sua competenza - chiedeva un colloquio con la Nuzzo, al fine di ricevere conferma della sua effettiva volontà di vendere l'immobile. Espletato anche tale incombente, il giorno 4 giugno 2009 veniva perfezionato il contratto di compravendita tra l'Orlando e tale Patrizio Piscopo, procuratore speciale della venditrice Nuzzo, in forza di procura precedentemente rilasciata ed autenticata dal notaio Massimo des Loges. Nei giorni successivi alla stipulazione del contratto, l'odierno ricorrente si recava numerose volte presso l'appartamento acquistato per pianificare l'esecuzione di lavori di ristrutturazione, che avrebbero dovuto avere inizio in data 26 giugno 2009. Tuttavia, proprio in tale occasione, l'incaricato della ristrutturazione rinveniva, presso l'immobile, alcune persone, una delle quali assumeva di esserne la legittima proprietaria, ovvero la "vera" Maria Nuzzo, affermando di non aver mai dato incarico ad alcuno di vendere il proprio immobile. Sporta denuncia penale tanto dalla Nuzzo quanto dall'Orlando, il procedimento veniva archiviato, essendo rimasti ignoti gli autori della truffa. L'odierno ricorrente, pertanto, conveniva in giudizio il notaio des Loges, che aveva autenticato la procura a vendere, rilasciata al sedicente Patrizio Piscopo dalla sedicente Maria Nuzzo, lamentando che il professionista aveva omesso di identificare la donna con la dovuta diligenza. La domanda volta a far valere la responsabilità del notaio, nonché a conseguire il risarcimento del danno subito, veniva rigettata dal Tribunale di Napoli, con decisione confermata anche dal giudice di appello, che respingeva il gravame esperito dall'Orlando.
3. Avverso la sentenza della Corte di Appello partenopea ha proposto ricorso per cassazione, l'Orlando sulla base - come detto - di un unico articolato motivo. 3.1. In particolare, esso deduce - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione degli artt. 2236, 1176, e 1175 cod. civ., e dell'art. 49 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, nonché degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. Si censura la sentenza impugnata in quanto la stessa - diversamente da quella del Tribunale - avrebbe fondato la propria decisione, di escludere la responsabilità del professionista, su di un unico elemento, ritenuto preponderante rispetto agli altri: "il fatto che la persona recatasi nello studio notarile al fine di rilasciare la procura a vendere era stata presentata al notaio dal proprietario di un'agenzia immobiliare che aveva frequenti rapporti con il notaio stesso". In realtà, non vi sarebbe alcuna prova, agli atti del processo, di tale circostanza, essendo stata la stessa riferita esclusivamente dal des Loges ed in alcun modo riscontrata. Infatti, anche la deposizione testimoniale dell'altro notaio, Rosa Lezza Oliviero, ovvero il professionista che procedette alla stesura del rogito di compravendita, confermerebbe tale circostanza soltanto "de relato ex parte", per averla appresa dal collega che predispose la procura.Orbene, poiché il primo giudice non aveva attribuito alcun rilievo a tale circostanza, l'odierno ricorrente assume che, a proprio carico, non sussisteva alcun onere di impugnare la sentenza del Tribunale anche in relazione a tale circostanza, sicché la stessa, lungi da potersi ritenere da esso ammessa, resterebbe "meramente affermata" dal notaio des Loges, essendosi costui sempre sottratto all'onere di provarla, come confermerebbero le istanze istruttorie formulate in primo grado (come riprodotte dall'Orlando nel presente ricorso). Ciò premesso, posto che la responsabilità del professionista andrebbe, nel caso di specie, ritenuta di natura contrattuale, e ciò in applicazione del principio secondo cui creditori della corretta prestazione notarile sono tutte le parti del contratto redigendo, ivi compresa quella che sia rimasta estranea al contratto d'opera professionale (viene citata Cass. Sez. 3, sent. 13 giugno 2013, n. 14865), la prova della circostanza suddetta avrebbe dovuto essere fornita dal de Loges, al fine di dimostrare di aver utilizzato, nel caso di specie, la diligenza richiesta. D'altra parte, però, la prospettiva non cambierebbe anche a ritenere la responsabilità di natura aquiliana, poiché il legittimo affidamento del notaio in ordine al fatto di trovarsi effettivamente al cospetto della "vera" Maria Nuzzo, costituirebbe circostanza impeditiva della responsabilità, come tale a provarsi da parte dell'interessato. Su tali basi, dunque, il ricorrente ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata a la decisione nel merito, non occorrendo - a suo dire - ulteriori accertamenti di fatto.
4. Il des Loges ha resistito, con controricorso, alla descritta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto. L'inammissibilità, in particolare, viene dedotta ai sensi dell'art. 360-bis, comma 1, n. 1), cod. proc. civ., atteso che la Corte partenopea si sarebbe attenuta ai principi affermati, in materia, dalla giurisprudenza di legittimità. Inoltre, si contesta l'affermazione del ricorrente, secondo cui - agli atti del giudizio - non vi sarebbe prova che la sedicente Maria Nuzzo venne presentata al notaio da un agente immobiliare di fiducia dello stesso, visto che già dalla sentenza del Tribunale emergerebbe come tale circostanza avesse trovato conferma documentale nella lettera trasmessa, a mezzo fax del 27 giugno 2009, dal notaio des Loges alla collega Lezza. In ogni caso, poi, la questione relativa all'assenza di prova di tale circostanza presenterebbe carattere di novità, essendo, come tale, inammissibile in sede di legittimità. Si contesta, infine, la qualificazione della asserita responsabilità del notaio come contrattuale, sottolineando come la giurisprudenza citata dal ricorrente riguardi il caso della responsabilità in cui incorre il notaio nella predisposizione di un contratto di compravendita, mentre nel caso di specie viene in rilievo un negozio giuridico unilaterale, qual è la procura, di talché il professionista potrebbe, al limite, essere responsabile soltanto nei confronti dell'unica parte dell'atto, che coincide con quella che ebbe a conferirgli l'incarico.
5. Ha presentato memoria il ricorrente insistendo nelle proprie argomentazioni.
6. Già discusso in adunanza camerale del 13 marzo 2019, il presente ricorso, con ordinanza interlocutoria depositata in pari data e pubblicata il 10 agosto 2019, veniva rinviato a nuovo ruolo, in attesa che fosse nota la decisione delle Sezioni Unite di questa Corte in tema di notificazione telematica della sentenza, sollecitata da ordinanza interlocutoria della Sezione Sesta, Terza sottosezione, del 9 novembre 2018, n. 28844.
7. Ha deposito un'ulteriore memoria il ricorrente, che oltre ad insistere nelle proprie argomentazioni, sottolinea che la copia conforme della sentenza impugnata, depositata con il ricorso, "era ed è regolare, contenendo l'attestazione dell'avvenuta notificazione (e non competendo al destinatario di valutarne la validità).
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. "In limine" deve darsi conto del superamento dei dubbi - alla base della summenzionata ordinanza interlocutoria di rinvio del presente giudizio a nuovo ruolo - relativi alla procedibilità del ricorso.
8.1. Invero, la notifica, all'odierno ricorrente, della sentenza dallo stesso poi impugnata è avvenuta telematicamente. Agli atti vi è, per vero, l'attestazione - compiuta dal difensore dell'appellato (odierno controricorrente) - di conformità, all'originale digitale, della copia analogica ("id est", cartacea) del provvedimento impugnato, ma non pure della relata di notificazione e del messaggio "PEC", duplice attestazione, anche questa, richiesta a pena di improcedibilità, essendo "necessaria, perché solo di lì si evince il giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario" (così, in motivazione, Cass. Sez. 6, ord. 22 dicembre 2017, n. 30765, Rv. 647029-01). Anche la prova di resistenza - ovvero, l'accertamento che la notifica del ricorso sia avvenuta entro e non oltre sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza (Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066) - è negativa, dal momento che la sentenza risulta pubblicata il 22 settembre 2017, mentre la notifica del ricorso risale al 13 dicembre 2017. Nondimeno, sul punto, trova applicazione quanto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte [cfr. Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, in particolare il punto "sub" b) del § 34)], ovvero che in caso di "sentenza impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico" vale il principio secondo cui "l'equiparazione della copia all'originale consegue comunque dalla non contestazione o dall'asseverazione" (che intervenga entro l'udienza pubblica o l'adunanza camerale). Il citato arresto delle Sezioni Unite ha, inoltre chiarito che l'applicazione dei "suindicati principi" vale, "a maggior ragione, con riguardo al requisito del deposito della relata attestante la notificazione telematica decisione impugnata" (fr. § 35, punto 2), ovvero con riferimento alla fattispecie che viene qui in rilievo. Nella specie, nessuna contestazione risulta formulata, donde allora il superamento del dubbio relativo all'ipotizzata improcedibilità del ricorso.
9. Ciò detto, il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito indicati.
9.1. Nello scrutinare l'articolato motivo di impugnazione, proposto dall'Orlando, deve muoversi dal rilievo che la dedotta responsabilità del Notaio des Loges è da ritenere, astrattamente, di natura contrattuale, e ciò quantunque l'incarico professionale, conferito al notaio dalla sedicente - o meglio, "falsa" - Maria Nuzzo, riguardasse la predisposizione di un negozio giuridico unilaterale, donde la non completa pertinenza dei riferimenti giurisprudenziali citati in ricorso (che hanno riguardato casi nei quali si è ritenuto di ascrivere all'esercente la professione notarile, incaricato da una sola delle parti negoziali, una responsabilità anche nei confronti dell'altra parte, sebbene estranea al contratto d'opera intellettuale concluso con il professionista).Infatti, può farsi applicazione - nel caso di specie - dei principi della responsabilità da cd. "contatto sociale qualificato", nonché dell'efficacia protettiva, verso il terzo, del contratto corrente "inter alios". Invero, la procura a vendere predisposta dal notaio si è posta certamente alla stregua di un atto preparatorio del successivo contratto di compravendita, sicché il des Loges, nell'attestare la corrispondenza dell'identità dichiarata dalla comparente a quella (asseritamente) effettiva della Nuzzo, ha posto in essere un comportamento fonte di obblighi, tanto ai sensi dell'ultima alinea dell'art. 1173 cod. civ. quanto dell'art. 1375 cod. civ., anche nei confronti del terzo (l'Orlando, appunto) destinato ad acquistare l'immobile dal soggetto rappresentato in forza di tale procura. Ricorrono, in altri termini, i presupposti - come delineati da questa Corte - per la "applicazione del disposto dell'art. 1218 cod. civ. oltre i confini propri del contratto", giacché essa "si giustifica considerando che quando l'ordinamento impone a determinati soggetti, in ragione della attività (o funzione) esercitata e della specifica professionalità richiesta a tal fine dall'ordinamento stesso" (e tale è il caso, appunto, dell'attività notarile), "di tenere in determinate situazioni specifici comportamenti, sorgono a carico di quei soggetti, in quelle situazioni previste dalla legge, obblighi (essenzialmente di protezione) nei confronti di tutti coloro che siano titolari degli interessi la cui tutela costituisce la ragione della prescrizione di quelle specifiche condotte" (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 11 luglio 2012, n. 11642). In particolare, questa Corte "ha ravvisato la sussistenza della responsabilità in esame in una varietà di casi accomunati dalla violazione di obblighi di comportamento, preesistenti alla condotta lesiva, posti dall'ordinamento a carico di determinati soggetti", come tipicamente accade "nell'ambito dell'esercizio di attività professionali cd. protette", vale a dire "riservate dalla legge a determinati soggetti, previa verifica della loro specifica idoneità, e sottoposte a controllo nel loro svolgimento" (nuovamente Cass. Sez. 1, sent. n. 11642 del 2012, cit.). Tale è, tipicamente, anche quella notarile, tanto che il suo esercizio è stato ritenuto fonte di obblighi di protezione anche nei confronti di soggetti che, pur non conferendo al notaio alcun incarico, risentano un danno conseguente ad attività dallo stesso svolte che siano preparatorie della stipulazione di futuri contratti, successivamente conclusi senza neppure ricorrere all'ausilio di quello stesso professionista (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 9 maggio 2012, n. 9320, Rv. 639919-01, concernente le cd. "relazioni notarili", prodromiche alla conclusione di contratti di mutuo bancario). In definitiva, per concludere sul punto, l'Orlando si è posto alla stregua di un "terzo protetto dal contratto" - figura già enunciata, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento al contratto di opera professionale (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 22 novembre 1993, n. 111503, Rv. 484431-01; Cass. Sez. 3, sent. 29 luglio 2004, n. 14488, Rv. 575702-01) - intercorso tra la (sedicente) Maria Nuzzo ed il Notaio des Loges. Ciò premesso, e considerato, altresì, che in materia di responsabilità contrattuale vige il principio per cui anche "quando sia dedotto l'inesatto adempimento dell'obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell'esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione" (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 20 gennaio 2015, n. 826, Rv. 634361-01), deve trarsi la conclusione che, nel caso di specie, era effettivamente onere del des Loges provare la diligenza nell'accertarsi dell'identità della sedicente Maria Nuzzo.
9.2. Ai fini di tale prova, tuttavia, la Corte territoriale ha negato - correttamente - che potesse bastare la circostanza dell'utilizzazione, da parte del professionista, ai fini dell'identificazione della comparente, dei documenti di riconoscimento dalla stessa esibiti (ovvero, carta di identità e tessera sanitaria), in ciò essendosi il giudice di appello conformato alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui "il notaio deve accertare l'identità personale delle parti ed è tenuto a raggiungere tale certezza anche al momento dell'attestazione, secondo regole di diligenza qualificata, prudenza e perizia professionale, rispetto alle quali l'esibizione di una carta d'identità o di altro documento equipollente può non risultare, da sola, sufficiente alla corretta identificazione della persona fisica" (così, in motivazione, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2018, n. 13362, Rv. 648795-01; in senso conforme, tra le più recenti, anche Cass. Sez. 3, sent. 12 maggio 2017, n. 11767, Rv. 644299-01), e ciò perché ciascuno di tali documenti è "privo di efficacia certificatrice generale" (così Cass. Sez. 3, sent. n. 13362 del 2018, cit., nonché già Cass. Sez. 1, sent. 17 maggio 1986, n. 3274, Rv. 446262-01). La Corte partenopea, nel contempo, non ha, però, disatteso del tutto la rilevanza di tale circostanza, ovvero, si ribadisce, l'esibizione - da parte della sedicente Nuzzo - dei documenti "de quibus". Infatti, il giudice di appello, sebbene abbia ritenuto tale circostanza non idonea "ex se" a provare la diligenza del professionista, l'ha valorizzata in chiave presuntiva, in applicazione del principio secondo cui il notaio "non è responsabile dei danni che taluno subisca per effetto della discordanza tra l'identità effettiva e quella attestata del comparente, se l'identificazione sia il risultato di un convincimento di certezza raggiunto anche al momento dell'attestazione sulla base di una pluralità di elementi che, comunque acquisiti, siano idonei a giustificarlo secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale" (Cass. Sez. 1, sent. 30 novembre 2017, n. 288823, Rv. 646191-01). Alla circostanza dell'esibizione dei documenti, infatti, il giudice di appello ne ha affiancato un'altra. Essa, tuttavia, non è stata identificata in quella - valorizzata, invece, dal primo giudice - della consultazione, da parte del des Loges, del Sistema Informativo Interforze, per accertare che i documenti esibiti non risultassero tra quelli rubati, e ciò avendo la Corte partenopea escluso non solo che fosse stata raggiunta prova in tal senso, ma, soprattutto, che la stessa fosse realmente rilevante, giacché l'eventuale consultazione, fornendo un esito negativo, non avrebbe offerto al notaio alcun elemento di dubbio sull'identità della sedicente Nuzzo.
Per contro, il giudice di appello ha dato rilievo alla circostanza, a suo dire emersa dalla prova testimoniale, che la Nuzzo fosse "stata presentata allo studio" del notaio "da un agente immobiliare che aveva frequenti rapporti" con lo stesso, essendo, peraltro, ivi conosciuto come "persona seria".
9.3. Tuttavia, siffatta circostanza, sebbene in astratto rilevante (e ciò alla stregua del principio secondo cui "il professionista, nell'attestare l'identità personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purché, in quest'ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti"; cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 7 dicembre 2017, n. 29321, Rv. 646654-01), risulta essere stata apprezzata dalla Corte partenopea - come lamentato dal ricorrente - in violazione dell'art.115 cod. proc. civ.
9.3.1. Invero, la circostanza che la sedicente Nuzzo fosse "stata presentata allo studio" del notaio des Loges "da un agente immobiliare che aveva frequenti rapporti" con lo stesso, essendo, peraltro, ivi conosciuto come "persona seria", è stata riferita dalla teste Rosa Lezza Oliviero (il notaio che curò la predisposizione del rogito tra il procuratore della sedicente Nuzzo e l'Orlando) effettivamente "de relato ex parte", senza che sulla stessa fosse stato neppure formulato uno specifico capitolo di prova da parte del professionista convenuto in giudizio. Orbene, come da questa Corte ancora di recente ribadito solo "la deposizione «de relato ex parte» con cui si riferiscano circostanze sfavorevoli alla parte medesima (che funge da fonte referente)" è suscettibile di "integrare prova o, almeno, elemento di prova idoneo a suffragare altra testimonianza indiretta", e ciò in quanto presenta "natura giuridica di prova testimoniale d'una confessione stragiudiziale (se munita del relativo «animus») fatta a un terzo", e quindi, "in quanto tale liberamente apprezzabile dal giudice ai sensi dell'art. 2735, comma 1, secondo periodo, cod. civ." (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 19 gennaio 2017, n. 1320), giacché, altrimenti, in caso di deposizioni rese dai testi su fatti appresi dalle parti, "la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vedente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento" (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 15 gennaio 2015, n. 569). Da quanto precede consegue, dunque, la mancanza di un riscontro che permetta di affermare, sul piano presuntivo, che il professionista, nell'attestare l'identità personale della sedicente Nuzzo, si "trovava in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità", essendo, così, dispensato dalla necessità di ricorrere a due fidefacenti, come previsto dall'art. 49 della legge 16 febbraio 1913, n. 89.
9.3.2. Né, d'altra parte, può ritenersi che la questione prospettata dall'odierno ricorrente sia nuova, ovvero che si risolva in una non consentita rivalutazione delle risultanze istruttorie. Difatti, quanto alla supposta "novità" della questione, coglie nel segno l'osservazione del ricorrente secondo cui, non avendo il primo giudice attribuito alcun rilievo a tale circostanza (ovvero, la presentazione della sedicente Nuzzo da parte di agente immobiliare noto al des Loges come "persona seria"), la stessa ben poteva essere dedotta nella presente sede di legittimità, nella prospettiva - che è stata seguita dal ricorrente - di contestare che l'identificazione della Nuzzo fosse stata "il risultato di un convincimento di certezza" raggiunto dal Notaio "sulla base di una pluralità di elementi che, comunque acquisiti", fossero "idonei a giustificarlo secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale". Né, d'altra parte, può dirsi che la censura illustrata si risolva in un non consentito apprezzamento delle risultanze della prova testimoniale. Se è vero, infatti, che l'eventuale "cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4), disposizione che - per il tramite dell'art. 132, n. 4, cod. proc. civ. - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante" (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458), resta, nondimeno, inteso che un conto è "l'errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito" che "investe l'apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare", che "non è mai sindacabile in sede di legittimità", altro è l'errore di percezione, che "cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 115 del medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte" (Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01). Sussiste, dunque, la lamentata violazione dell'art. 115 cod. proc. civ., visto che tale norma, "nell'imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, implicitamente vieta di fondare la decisione su prove «immaginarie», cioè reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte", visto che in tal caso ci si trova "al di fuori dell'attività di valutazione delle prove, sempre insindacabile in sede di legittimità, giacché per quanto detto altro è ricostruire il valore probatorio di un fatto od atto (attività di valutazione), altro è individuarne il contenuto oggettivo (attività di percezione)" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 9356 del 2017, cit.). Resta, infine, inteso che l'esistenza di una prova documentale di tale circostanza - che sarebbe stata apprezzata dal giudice di prime cure (ma delle quali non vi è menzione nella sentenza qui impugnata) - dovrà essere valutata dal giudice del rinvio.10. All'accoglimento del ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, per la decisione nel merito, alla luce dei principi dianzi enunciati, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio. PQM La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione, cassando, per l'effetto, la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.
Così deciso in Roma, all'esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 novembre 2019.
Nessun commento:
Posta un commento