domenica 24 marzo 2019

Diamanti e ruolo della banca: semplice vendita o sollecitazione all'investimento?

La recente vicenda della vendita di pietre preziose ad un valore superiore a quello effettivo a suscitato un vivace dibattito anche con riferimento al ruolo assunto dalle banche che hanno, attraverso i dipendenti delle varie filiali, sollecitato tali operazioni.

Abbiamo già trattato il tema in altri nostri interventi, evidenziando come non possa essere trascurata, nella vicenda che stiamo trattando, la condotta attiva di alcuni importanti gruppi bancari che hanno favorito la conclusione di quasi tutte le operazioni che hanno riguardato i diamanti (vedi qui).

La commercializzazione del prodotto come può essere inquadrata dal punto di vista della banca: sollecitazione ad operare un investimento (come prospettato in più circostanze ai malcapitati risparmiatori contattati) o semplice invito all'acquisto, concluso tra le società venditrici e gli acquirenti privati?

Occorre premettere - circostanza tutt'altro che secondaria - che i vari istituti di credito (BPM - Unicredit - Intesa Sanpaolo etc.…) avevano un accordo con le società venditrici, con il quale veniva pattuita una percentuale per ogni vendita conclusa all'interno dei locali della banca. Ecco, quindi, un primo interesse delle banche alla firma dei contratti di vendita.

A nostro parere, così come peraltro affermato da ben più prestigiose voci, in questo tipo di vendita il consumatore si è trovato di fronte due soggetti venditore: 

(1) la società specializzata nell’intermediazione e la vendita dei diamanti;
(2) l'istituto di credito che ha contattato telefonicamente il cliente; lo ha ospitato nei propri locali; ha fornito le garanzie in merito alla bontà dell'operazione anche attraverso materiale pubblicitario.

D'altro lato le banche stanno insistendo nell'affermare la propria estraneità al vincolo contrattuale concluso tra acquirente e venditore, limitando il proprio ruolo nelle varie vicende che stanno riguardando migliaia di consumatori italiani.

In questi ultimi tempi, al fine di identificare (qualificare) il ruolo della banca, si è cercato di esaminare la natura dell'operazione conclusa attraverso l'intermediazione dell'istituto di credito, ricomprendendola tra le operazioni finanziarie, o bancarie, od ancora una semplice vendita con la consulenza esterna dell'istituto di credito.

La prima opzione (operazione finanziaria) è stata di recente abbandonata sia dai tribunali che dall'arbitro per le controversie finanziarie (ACF) che ha dichiarato la propria incompetenza per tali vertenze.

Tale risultato prende le mosse da una risoluzione della Consob, la 13038246 del 6 maggio 2013, ove viene chiarito che perché si parli di investimento finanziario, con conseguente applicazione del quadro normativo di cui al d.lgs. 58/1998 (TUF), nonché le relative norme di settore, occorre l'operazione includa tre elementi: l'impiego del capitale, l’aspettativa di rendimento di natura finanziaria, l’assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego di capitale.

I presupposti appena evidenziati non risultano nella vendita di diamanti, ove vi è il trasferimento della proprietà del prezioso dietro il pagamento di una somma corrispettiva.

A ciò si aggiunga, come osservato da più parti, che tali vendite non avvengono nemmeno attraverso i canali tradizionale utilizzati per la commercializzazione di bene finanziari e tale elemento rende ancor più remota l'applicabilità delle norme sopra citate.

La vendita di diamanti, e il ruolo della banca, non può altresì rientrare nell'ambito del diritto bancario, non trattandosi di operazione bancaria in senso stretto, così come osservato dalla Banca d’Italia, con un Comunicato del 14.3.2018 (vedi qui), seppur la commercializzazione sia avvenuta attraverso gli sportelli bancari.

Lo stesso Arbitro per le controversie bancarie, con la decisione 22690/2018 dell'ABF - collegio di Bologna, ha escluso l'applicabilità delle norme del Testo Unico Bancario, in quanto l'operazione non ha natura bancaria e finanziaria.

La stessa Banca d’Italia, con il comunicato sopra richiamato, ha peraltro evidenziato determinati doveri di condotta che i singoli istituti di credito devono assumere per tali vendite, assicurando adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi e predisporre procedure volte a garantire la massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali le commissioni applicate, l’effettivo valore commerciale e le possibilità di rivendita delle pietre preziose. 

Tali osservazioni, peraltro, ci fanno sorgere il serio dubbio che tali operazioni sono viste dalla Banca d'Italia come parificate agli investimenti, visto l'invito rivolto alle singole banche di predisporre misure del tutto simili a quelle previste per gli investimenti finanziari.

Lo stesso Arbitro Bancario Finanziario, con la decisione che potete leggere di seguito, si è spinto ad evidenziare che sussiste un onere da parte della banca di verifica dell'adeguatezza dell'investimento oggetto di sollecitazione rispetto alle caratteristiche dell'acquirente.

E quindi, seppur formalmente la commercializzazione di diamanti rientra nel quadro normativo della compravendita, non può (o meglio non deve) essere ridotto il ruolo della banca, ed in particolare i propri doveri volti a tutelare l'acquirente e che in molte circostanze risultano essere stati violati. 

Non può non ritenersi che tale condotta tenuta dalla banca, la quale non abbia operato con prudenza e salvaguardando i diritti del cliente, possa addirittura essere configurata come pratica commercial scorretta ex artt. 20 e seguenti del Codice del Consumo, ed in particolare vogliamo evidenziare proprio l'art. 21 che definisce le pratiche ingannevoli:è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”, come ad esempio la proposta ad un prezzo non conforme al reale valore (lett. d).

E chi può negare che la banca abbia favorito la vendita di un bene (i diamanti) ad un prezzo ben superiore a quello reale? 

E quindi, non sussiste comunque un obbligo della banca - per non aver svolto il proprio ruolo - di risarcimento del cliente per il danno sofferto, ossia l'acquisto di diamanti ad un prezzo non congruo?

Qui la decisione dell'ABF - Collegio di Bologna.

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