domenica 7 aprile 2019

Cassazione: decisione definitiva sui buoni fruttiferi postali

Torniamo a trattare l’argomento sui buoni fruttiferi postali (bfp), in quanto la recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la n. 3963 dell’11 febbraio 2019, sta facendo discutere il web, tanto che alcuni l’hanno già definita la sentenza “salva Poste”. 

La vicenda è nota, anche per essere stata più volte trattata dalla nostra Associazione (v. qui): essa riguarda la variazione al ribasso dei tassi d’interesse su due serie di buoni fruttiferi postali, e più precisamente quelli della serie P e Q risalenti a prima del 1986, quando l’inflazione italiana toccava la doppia cifra.

Queste serie di buoni fruttiferi postali – risalenti agli anni ottanta – promettevano grossi guadagni a fronte di un vincolo temporale di venti o trent’anni.


Tuttavia, il decreto ministeriale del 13 giugno 1986, oramai conosciuto anche dai risparmiatori che per anni hanno atteso di riscuotere la rendita, ha diminuito vertiginosamente i tassi d’interesse rispetto a quelli sottoscritti in posta e riportati sui buoni cartacei.

Nel corso degli anni, molti risparmiatori traditi hanno fatto ricorso contro Poste Italiane per vedersi riconosciuti il tasso di interesse indicato sui buoni: il cavallo di battaglia delle iniziative legali era soprattutto quello che il Ministero, oltre ad aver agito unilateralmente e a colpi di decreto, ha modificato i tassi a sostanziale insaputa di chi aveva sottoscritto i buoni fruttiferi.

Diversi tribunali e giudici di pace italiani, sparsi a macchia di leopardo sullo stivale, hanno dato ragione al risparmiatore, non condividendo la scelta autoritaria del Ministero, in passato parte del rapporto di diritto privato per tramite di Cassa Depositi e Prestiti, di diminuire drasticamente i tassi di rendimento.

In questo contesto, tuttavia, è giunta come un fulmine a ciel sereno la Corte di Cassazione che, va però precisato, non riguarda i buoni fruttiferi postali emessi dopo l’introduzione del decreto.

La vicenda è terminata alla Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a seguito di contrasto creatosi in merito all'applicabilità - negativa in termini di rimborso degli interessi (vedi qui) - ed è stata così risolta dagli Ermellini.

Sulla scorta di argomenti di ordine formale, è stato detto che “era consentito alla pubblica amministrazione di variare il tasso di interesse, relativo ai buoni già emessi, con decreto ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale. I buoni soggetti alla variazione del tasso di interesse dovevano considerarsi rimborsati con gli interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova serie con il relativo tasso di interesse. A fronte della variazione del tasso di interesse era quindi consentita al risparmiatore la scelta di chiedere la riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall'investimento che avrebbe da quel momento prodotto gli interessi di cui al decreto di variazione, salvo il diritto del risparmiatore di ottenere la corresponsione degli interessi originariamente fissati per il periodo precedente alla variazione.

Tuttavia, l’argomento forse più rilevante – e ad opinione di chi scrive foriero di ulteriori sviluppi e duelli nelle aule dei Tribunali – è il seguente: “vi è da dire che, a fronte di una normativa intesa a incidere autoritativamente sul contratto e che si giustifica con la soggettività statuale del soggetto emittente e con le garanzie derivanti da tale profilo soggettivo, sta comunque il meccanismo, già descritto, consistente nella coincidenza temporale fra applicazione del nuovo tasso di interesse e facoltà per il risparmiatore di riscuotere il titolo percependo gli interessi corrispondenti alla originaria fissazione portata dal titolo.”.

In altre parole, gli Ermellini hanno affermato che, poiché lo stato e la pubblica amministrazione sono, per definizione, soggetti affidabili, allora possono ad un tempo essere parte di un rapporto privatistico e, poi, modificare le regole del contratto di propria spontanea iniziativa e senza informare il consumatore, se non tramite la Gazzetta Ufficiale.


A nostra opinione, desta perplessità il fatto che la Cassazione non abbia tenuto conto di diverse norme costituzionali, e tra queste l’art. 47, co.1, della Cost., norma che tutela il risparmio.


In un epoca come la nostra, in cui il ruolo della finanza è sempre più forte, si pone il problema di come il risparmio viene difeso non in quanto tale, ma come investimento per favorire sviluppo economico e sociale: vale a dire che, se non ho capitali, nemmeno posso investire e creare posti di lavoro.

In questo contesto, la tutela del risparmio, allora, dovrebbe passare attraverso norme che assicurino ai risparmiatori, in modo pratico ed efficace, la conoscenza delle condizioni di investimento dei propri risparmi, e quindi dei tassi di rendimento.

Poca cosa, dunque, è la comunicazione tramite la Gazzetta Ufficiale: affidarsi a tale strumento, che non tutti consultano nella vita di tutti i giorni, significa relegare ad una mera eventualità la circostanza che il risparmiatore sia informato sui propri investimenti da parte dello stato. 

Bisogna peraltro segnalare alcune voci che si sono poste fuori dal coro ed hanno evidenziato l'ovvietà della decisione assunta dal Giudice di Legittimità, la quale non ha sostanzialmente danneggiato gli interessi dei risparmiatori (vedasi qui).

Di seguito trovi la sentenza per esteso. 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 19 giugno 2018 - 11 febbraio 2019, n. 3963
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni - Primo Presidente f.f. -
Dott. CURZIO Pietro - Presidente di Sez. -
Dott. MANNA Antonio - Presidente di Sez. -
Dott. ARMANO Uliana - Presidente di Sez. -
Dott. CRISTIANO Magda - Presidente di Sez. -
Dott. CHINDEMI Domenico - Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - rel. Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23859-2016 proposto da:
G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato G.C.;
- ricorrente -

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. TORLONIA 33, presso l'avv. STEFANO ASTORRI, che la rappresenta e difende;
- controricorrente -

CASSA DEPOSITI E PRESTITI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, quale rappresentante processuale del Ministero dell'Economia e delle Finanze, e per quanto possa occorrere, MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali -

avverso la sentenza n. 437/2016 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 08/03/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2018 dal Consigliere GIACINTO BISOGNI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l'incidentale, e ha depositato in data 7 giugno 2018 memoria illustrativa della requisitoria;

uditi gli avvocati G.C., per il ricorrente, e gli avvocati Stefano Astorri per Poste Italiane e Fabio Tortora per l'Avvocatura Generale dello Stato.



Svolgimento del processo
1. Il sig. G.S., con citazione notificata il 21 aprile 2005, ha convenuto in giudizio Poste Italiane s.p.a., Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, davanti al Tribunale di Palermo, esponendo di aver acquistato dei buoni postali fruttiferi negli anni 1982 e 1983. Sul frontespizio di questi buoni era indicato che gli stessi erano pagabili con gli interessi maturati secondo la tabella riportata a tergo che prevedeva una progressione degli interessi dal 9 al 16 % e l'incremento progressivo del valore del buono con indicazione della somma che l'intestatario avrebbe riscosso alla data di presentazione del pagamento. In particolare il sig. G., sulla base della tabella e della data di presentazione per il pagamento (il 22 dicembre 2004), avrebbe dovuto riscuotere la somma complessiva di 71.931,41 Euro mentre l'ufficio postale pagatore, applicando una modifica in pejus del tasso di interessi, disposta con D.M. del Tesoro in data 13 giugno 1986, aveva erogato la somma di 31.881,56 Euro.

2. Il sig. G. ha dunque richiesto dichiararsi il suo diritto ad ottenere il pagamento delle somme e degli interessi, come previsto sul frontespizio dei buoni, secondo le tabelle riportate sul retro dei buoni stessi e per l'effetto di condannare le convenute al pagamento della somma di 40,049,85 pari alla differenza fra quanto dovuto e quanto riscosso oltre interessi e rivalutazione. Ha chiesto, in subordine, di ritenere rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità, sollevata in relazione agli artt. 3, 43, 47 e 97 Cost., del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 173, come modificato dal D.L. n. 460 del 1974, art. 1, nella parte in cui consente l'estensione dell'intervenuta variazione, disposta con D.M. del Ministro del Tesoro, del saggio di interesse previsto dalle serie dei buoni postali fruttiferi emessi in precedenza, anche se tale variazione è peggiorativa per il risparmiatore e senza che sia necessaria la sua accettazione ovvero che gli sia consentito di esercitare il diritto di recesso. In ulteriore subordine richiede dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità del D.Lgs. n. 84 del 1999, art. 7, comma 3 nella parte in cui, pur disponendo l'abrogazione del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 173 stabilisce che i rapporti in essere al momento dell'abrogazione continuano ad essere regolati dalla disciplina vigente.

3. Il Ministero dell'Economia, Poste Italiane s.p.a. e Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. si sono costituiti chiedendo il rigetto delle domande attoree. Cassa Depositi e Prestiti ha pregiudizialmente richiesto dichiarsi la giurisdizione del giudice amministrativo invocando il D.P.R. n. 1343 del 1963, art. 61.

4. Il Tribunale di Palermo, ritenuta implicitamente la propria giurisdizione, ha respinto le domande e evidenziato l'irrilevanza, oltre che la infondatezza, delle questioni di legittimità costituzionale ai fini della decisione del giudizio.

5. Il sig. G. ha proposto appello rilevando che il contratto stipulato con le società convenute è un contratto di diritto privato al quale egli ha aderito sulla base dei tassi di interesse e piani di rimborso concordati nelle tabelle riportate a tergo dei buoni ed in un momento in cui la facoltà di modifica dei tassi di interesse era solo ipotizzabile ma non in termini peggiorativi. Da ciò sarebbe dovuto conseguire, secondo l'appellante, che la soggezione alla condizione vessatoria dello jus variandi della p.a. doveva essere specificamente conosciuta e approvata per iscritto e il contratto avrebbe dovuto prevedere sia la comunicazione al sottoscrittore delle eventuali variazioni sfavorevoli del tasso di interesse sia la possibilità di esercitare il diritto di recesso. La normativa applicabile al caso di specie, sarebbe affetta altrimenti, secondo il sig. G., da evidenti vizi di illegittimità costituzionale se interpretata nel senso di consentire l'estensione dell'intervenuta variazione in peius del saggio di interesse ai buoni postali fruttiferi emessi precedentemente senza la previa comunicazione personale della variazione del tasso d'interesse e il riconoscimento del diritto a recedere.

6. Le società convenute si sono costituite reiterando l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito e chiedendo il rigetto nel merito dell'appello.

7. La Corte d'appello di Palermo ha disatteso l'eccezione di difetto di giurisdizione e ha rilevato la non pertinenza del richiamo all'art. 81 del T.U. n. 398/2003, che prevede la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie fra Stato e creditori aventi ad oggetto titoli di stato o del debito pubblico, e, pertanto, per la non riconducibilità a tali categorie dei buoni postali fruttiferi.

8. La Corte, nel motivare il rigetto nel merito dell'appello ha rilevato che l'art. 173 del codice postale, applicabile ratione temporis, prevedeva che le variazioni del tasso di interesse, disposte con decreto del Ministro del Tesoro, di concerto con quello delle Poste e Telecomunicazioni, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale, riguardava anche i buoni di vecchia emissione. Inoltre la norma in questione prevedeva che, per tali buoni, gli interessi sarebbero stati corrisposti sulla base della tabella a tergo ma che la stessa poteva e doveva ritenersi integrata con altra tabella messa a disposizione dei risparmiatori dagli uffici postali e predisposta in base alle variazioni del tasso di interesse disposte con D.M. del Ministro del Tesoro. Quanto alla successiva abrogazione di tale norma la Corte di appello ne ha rilevato la irrilevanza ai fini della decisione poichè il comma 2 dell'art. 9 del D.M. del Ministro del Tesoro in data 19 dicembre 2000 ha espressamente previsto che i rapporti in essere al momento dell'abrogazione dell'art. 173 del codice postale devono considerarsi regolati dalla normativa previgente. La Corte distrettuale ha poi richiamato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. Sez. 1 n. 27809 del 2005; Cass. Civ. S. U. n. 13979 del 2007) secondo cui i buoni postali fruttiferi sono titoli di legittimazione e, sul loro tenore letterale, prevalgono le successive determinazioni ministeriali in tema di interessi cosicchè le variazioni medio tempore del tasso di interesse disposte con decreti ministeriali comportano un'integrazione extratestuale del rapporto ai sensi dell'art. 1339 c.c..

9. Per quanto attiene alla conoscenza delle variazioni del tasso di interesse dei buoni fruttiferi postali questa viene a essere realizzata, secondo la Corte di appello, in seguito alla pubblicazione dei decreti ministeriali sulla Gazzetta Ufficiale e con la messa a disposizione, presso gli uffici postali, della tabella con i nuovi tassi di interesse. La Corte territoriale ha ritenuto non invocabile la normativa (L. n. 154 del 1992 contenente norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari) non ancora in vigore al momento dell'emissione e dell'acquisto dei buoni. Infine la Corte ha ritenuto manifestamente infondata ed inammissibile la questione di legittimità del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 173 basata su una pretesa disparità di trattamento rispetto agli stessi servizi di investimento finanziario offerti dal sistema bancario laddove si prevede che sia espressamente indicata, con clausole da approvare specificamente, la possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso di interesse. Secondo la Corte di appello non ricorre il presupposto della omogeneità delle due tipologie di investimento, avuto riguardo alle peculiari caratteristiche dei buoni fruttiferi postali che legittimano la limitazione della libertà contrattuale attraverso il ricorso all'art. 1339 c.c..

10. Contro la decisione della Corte di appello il sig. G. propone ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi illustrati anche con memoria difensiva.

11. Poste Italiane s.p.a si difende con controricorso e deposita memoria difensiva. Cassa Depositi e Prestiti, quale rappresentante processuale del Ministero dell'Economia e delle Finanze, propone controricorso e ricorso incidentale articolato in due motivi.

Motivi della decisione

12. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 173 del codice postale come modificato dal D.L. n. 460 del 1974, art. 1 convertito in L. n. 588 del 1974 ed abrogato dal D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 7 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

13. Il ricorrente evidenzia che, se pure i buoni postali furono sottoscritti nel 1982 e 1983, all'atto della loro riscossione la norma che prevedeva la facoltà del Ministro competente di variare il rendimento dei buoni in misura anche difforme da quella indicata a tergo dei buoni era stata abrogata. Rileva poi che dal D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 7 si evince che le modalità di applicazione delle nuove norme ai rapporti in corso dovranno consentire una disciplina più favorevole ai risparmiatori. Il ricorrente richiama la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13979/2007 ritenendo che essa affermi sia la prevalenza della indicazione del rendimento dei buoni apposta sui titoli al momento della loro emissione che la impossibilità di modifiche peggiorative. Ritiene che la possibilità di modifiche del saggio degli interessi nel corso del rapporto doveva essere portata a conoscenza del risparmiatore al momento della sottoscrizione dei titoli e costituire l'oggetto di una accettazione specifica. Rileva altresì che la modifica dei tassi doveva comunque, in base al regime della normativa abrogata, essere portata a conoscenza dei risparmiatori mediante la messa a disposizione presso gli uffici postali delle tabelle modificative dei tassi, adempimento che nel caso di specie non era avvenuto o, comunque, non era stato provato. Infine il ricorrente rileva che il D.M. del 13 giugno 1986 ha previsto la modifica in peius dei tassi di interesse solo a partire dal 1 gennaio 1987 e, dunque, fino a questa data dovevano valere ancora i rendimenti stabiliti sul retro dei buoni.

14. Il motivo è infondato. Esso muove da una lettura fuorviante del dato normativo sia dal punto di vista testuale che sistematico. Non è infatti sostenibile, in nessuna delle due prospettive, che la disciplina applicabile al caso in esame sia quella in vigore, al momento della riscossione, avvenuta nel dicembre 2004, per le emissioni di buoni fruttiferi postali successive alla abrogazione dell'art. 173 del cd. codice postale (D.P.R. n. 156 del 1973). La norma abrogatrice, l'art. 7 D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284, aveva infatti, al comma 3, previsto che i rapporti già in essere alla data di entrata in vigore dei decreti destinati a stabilire le nuove caratteristiche dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali continuano a essere regolati dalle norme anteriori. Nello stesso comma 3 si prevede poi che i detti decreti possono disciplinare le modalità di applicazione delle nuove norme ai rapporti già in essere, al fine di consentire una disciplina dei rapporti più favorevole ai risparmiatori. Il decreto ministeriale del Tesoro del 19 dicembre 2000, che ha disciplinato i buoni fruttiferi postali in adempimento di quanto previsto dal D.Lgs. n. 284 del 1999, ha confermato l'abrogazione dell'art. 173 del codice postale, dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale, e ha ribadito che i buoni fruttiferi postali delle serie già emesse alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale nonchè le operazioni relative ai medesimi buoni, restano regolati dalla previgente disciplina. Non è quindi in alcun modo contestabile che al rapporto controverso si applichi il testo dell'art. 173 del cit. D.P.R. n. 156 del 1973, come novellato dal D.L. n. 460 del 1974, art. 1, convertito in L. n. 588 del 1974. In base a tale disposizione normativa, da ritenersi, come si è detto, quella applicabile al caso in esame, era consentito alla pubblica amministrazione di variare il tasso di interesse, relativo ai buoni già emessi, con decreto ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale. I buoni soggetti alla variazione del tasso di interesse dovevano considerarsi rimborsati con gli interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova serie con il relativo tasso di interesse. A fronte della variazione del tasso di interesse era quindi consentita al risparmiatore la scelta di chiedere la riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall'investimento che avrebbe da quel momento prodotto gli interessi di cui al decreto di variazione, salvo il diritto del risparmiatore di ottenere la corresponsione degli interessi originariamente fissati per il periodo precedente alla variazione.

15. Nessuna rilevante conseguenza nel caso in esame può trarsi dalla citata disposizione normativa del D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 7 secondo cui i futuri decreti destinati a regolare i buoni fruttiferi postali avrebbero potuto disciplinare le modalità di applicazione delle nuove norme ai rapporti già in essere, al fine di consentire una disciplina dei rapporti più favorevole ai risparmiatori. Si tratta, come è evidente dalla lettura del testo, di una previsione di contenuto adattativo e di carattere generale che il decreto ministeriale del 19 dicembre 2000 avrebbe potuto o meno attuare e che non ha alcun significato vincolante tanto meno quello di una previsione di reviviscenza del tasso di interesse fissato originariamente al momento della sottoscrizione dei titoli.

16. Nè può in alcun modo configurarsi un conflitto fra la norma di cui all'art. 9 del D.M. del 19 dicembre 2000 e quella di cui al D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 7 che non ha affatto imposto agli emanandi decreti ministeriali l'introduzione di una disciplina più favorevole ai risparmiatori. E' evidente qui il travisamento del significato del testo normativo e comunque la irrilevanza dell'erronea argomentazione di parte ricorrente dato che lo stesso art. 7 prevede, come si è detto, l'applicazione della normativa previgente ai rapporti già in essere. Non si vede quindi come il decreto ministeriale avrebbe potuto smentire la previsione del decreto legislativo entrando così, in questo caso, in conflitto con una norma di rango superiore.

17. Il ricorrente, a sostegno della sua diversa, ma erronea, tesi interpretativa, richiama la pronuncia di queste Sezioni Unite n. 13979 del 2007. Si tratta di un riferimento anch'esso fuorviante. In quella controversia si discuteva infatti di una fattispecie diversa in cui si trattava di definire la rilevanza del tasso indicato nel fronte dei buoni fruttiferi postali in misura non conforme a quella precedentemente aggiornata dalla pubblica amministrazione con un decreto ministeriale del 1984. Le Sezioni Unite, in quella controversia, hanno affermato che la discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e quanto indicato sui buoni offerti in sottoscrizione non può far ritenere che l'accordo negoziale, in cui l'operazione di sottoscrizione si sostanzia, abbia un contenuto divergente da quello enunciato dai titoli. Le Sezioni Unite non hanno affatto affermato, come pretenderebbe il ricorrente, la prevalenza in ogni caso del dato testuale portato dai titoli rispetto alle prescrizioni ministeriali intervenute successivamente alla emissione e ciò evidentemente non avrebbero potuto fare, e anzi hanno esplicitamente negato, a fronte all'inequivoco dato testuale dell'art. 173 del codice postale che prevedeva un meccanismo di integrazione contrattuale, riferibile alla disposizione dell'art. 1339 c.c. e destinato ad operare, nei termini sopra descritti, per effetto della modifica, da parte della pubblica amministrazione, del tasso di interesse vigente al momento della sottoscrizione del titolo.

18. Il ricorrente deduce inoltre che, secondo il testo abrogato dell'art. 173 del codice postale, la modifica dei tassi mediante prescrizione ministeriale comportava che la corresponsione degli interessi, effettuata in applicazione della sopravvenuta variazione, fosse chiaramente conosciuta dal titolare dei buoni mediante la messa a disposizione presso gli uffici postali della tabella integrativa redatta in base alla variazione. Il ricorrente lamenta che tale adempimento, configurante un obbligo informativo a carico di Poste Italiane, non sia stato osservato nel caso in esame e comunque che non sia stata acquisita, nel corso del giudizio di merito, la prova della prescritta messa a disposizione della tabella modificativa.

19. Si tratta in questo caso di una deduzione nuova. Non risulta infatti dalla sentenza della Corte di appello che il sig. G. abbia prospettato una tale inosservanza. Nè il ricorrente specifica quando e in che termini avrebbe nel corso del giudizio di merito sollevato tale eccezione. Peraltro non può non rilevarsi come il riferimento alla tabella concernente la revisione dei tassi di interessi (nella specie quella operata con il decreto ministeriale del 13 giugno 1986) non costituisca affatto una parte della modalità di comunicazione all'interessato della intervenuta nuova prescrizione ministeriale. La conoscenza di tale circostanza è affidata dal legislatore alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La prescrizione della messa a disposizione della tabella integrativa ha la diversa finalità di consentire al risparmiatore di verificare presso l'ufficio postale l'ammontare del proprio credito per interessi all'esito dell'intervenuta variazione, anche ai fini del controllo della regolarità della riscossione e della sua conformità alla normativa vigente al momento della riscossione. E' quindi erroneo ritenere, come fa invece il ricorrente, che tale prescrizione costituisca un obbligo informativo dalla cui osservanza dipenda la vincolatività della variazione per il risparmiatore.

20. Infine deve ritenersi altrettanto infondata la doglianza secondo cui non è stata valutata dalla Corte di appello la mancata conoscenza da parte dell'investitore della possibilità di una successiva variazione peggiorativa del tasso di interesse. Si tratta di una conoscenza che, come si è detto, deriva dalla pubblicità legale del decreto ministeriale di variazione del saggio di interesse mediante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, oltre che, ovviamente, dal generale principio della conoscenza della norma che attribuiva alla pubblica amministrazione il potere di variare il saggio di interesse anche con riferimento ai titoli già emessi e sottoscritti.

21. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1375 e 1339 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

22. Il ricorrente rileva che il rapporto con gli utenti, nel caso di servizi postali, anche se offerti da un'azienda dello Stato, è di diritto privato e quindi è soggetto al regime privatistico. In questa prospettiva il comportamento delle società convenute sarebbe illegittimo perchè la stipulazione di contratti di diritto privato dovrebbe comportare per il risparmiatore il diritto di essere informato della possibile successiva variabilità dei tassi di interesse, per effetto di un'eventuale posteriore determinazione in tal senso del Ministero del Tesoro, e trattandosi di una condizione contrattuale vessatoria essa doveva essere accettata per iscritto per consentire la libera formazione della volontà negoziale o un eventuale recesso da parte del sottoscrittore. L'imposizione di obblighi informativi a tutela della parte contrattuale debole dovrebbe comportare per altro verso, secondo il ricorrente, la responsabilità contrattuale delle convenute che non hanno provato di aver esposto nei loro locali aperti al pubblico un avviso sulle condizioni praticate, come pure non hanno provato di aver garantito al pubblico la descrizione delle caratteristiche dei buoni fruttiferi postali mediante avvisi pubblicati su quotidiani a diffusione nazionale. Il ricorrente contesta infine il riferimento all'art. 1339 c.c. che prevede l'inserimento automatico di clausole solo in base a un intervento legislativo, mentre nella fattispecie l'inserimento è avvenuto in base a un intervento regolamentare di natura amministrativa. Il ricorrente ribadisce poi la sua eccezione di incostituzionalità dell'art. 173 del codice postale, applicabile ratione temporis, se non ricondotto a una interpretazione adeguatrice al disposto degli artt. 3, 43, 47 e 97 Cost. che consenta al risparmiatore di non sottoscrivere la clausola di variazione dei tassi di interesse nel corso del rapporto e di recedere dal contratto, all'esito dell'adempimento degli obblighi informativi speculari al potere di variazione dei tassi da parte della pubblica amministrazione. In particolare il ricorrente, al fine di sostenere la violazione dell'art. 3 Cost., contesta che vi sia, come è stato ritenuto invece dalla Corte di appello, eterogeneità nella natura dei servizi di investimento offerti dal servizio postale e dal sistema bancario e pertanto ritiene necessaria la predetta interpretazione adeguatrice della norma che legittima la pubblica amministrazione a variare anche in pejus i tassi di interesse dei buoni fruttiferi postali nel corso del rapporto vincolandola però alle garanzie a tutela del risparmiatore sopra descritte.

23. Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato. La configurazione delle Poste sino alla fine degli anni 90 come Azienda autonoma dello Stato (sino al 1994) e poi come Ente pubblico economico (sino al 1999) comportava una effettiva eterogeneità della natura degli strumenti finanziari offerti dal sistema bancario rispetto ai titoli negoziati dalle Poste Italiane. E' costante nella giurisprudenza di legittimità la qualificazione dei buoni fruttiferi postali come titoli di legittimazione sia pure con diversità di conseguenze quanto agli effetti di tale qualificazione (cfr. Cass. Civ. Sez. 1 n. 27809 del 16 dicembre 2005, Cass. Civ. Sezioni Unite, citata, n. 13979 del 15 giugno 2007 e Cass. Civ. Sez. I, ordinanza n. 19002 del 31 luglio 2017). Ma, in ogni caso deciso da questa Corte, tale qualificazione ha giustificato la soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali, volti a modificare il tasso degli interessi originariamente previsto, e ha portato a ritenere che la modificazione trovasse ingresso all'interno del contratto mediante una integrazione del suo contenuto ab externo secondo la previsione dell'art. 1339 c.c.. Una simile ricostruzione, cui con la presente decisione si intende dare continuità, è chiaramente incompatibile con l'applicazione della disciplina di tutela dei consumatori che si estrinseca nel meccanismo della sottoscrizione separata delle clausole vessatorie o nella imposizione di obblighi informativi personalizzati cui riconnettere facoltà e diritti intesi a garantire la libera autodeterminazione, nella specie, dei risparmiatori anche nel corso del rapporto. Vi è da dire che, a fronte di una tale normativa intesa a incidere autoritativamente sul contratto e che si giustifica con la soggettività statuale del soggetto emittente e con le garanzie derivanti da tale profilo soggettivo, sta comunque il meccanismo, già descritto, consistente nella coincidenza temporale fra applicazione del nuovo tasso di interesse e facoltà per il risparmiatore di riscuotere il titolo percependo gli interessi corrispondenti alla originaria fissazione portata dal titolo. Per altro verso il risparmiatore che non intendesse disinvestire, nonostante la sopravvenuta variazione del tasso di interesse, avrebbe ricevuto comunque, al momento dell'esercizio del suo diritto a riscuotere il proprio credito, l'importo degli interessi corrispondenti al tasso indicato nel titolo, sino alla data della variazione. Pertanto la variazione del tasso di interesse, disposta unilateralmente dalla pubblica amministrazione, secondo la disciplina applicabile ratione temporis, attribuiva sostanzialmente al risparmiatore il diritto al recesso e tutelava il suo affidamento sull'effettività del suo diritto a percepire gli interessi indicati dal titolo.

24. Le considerazioni sin qui esposte consentono, a giudizio della Corte, di ritenere non solo impraticabile la proposta interpretazione adeguatrice ma anche infondate le eccezioni di incostituzionalità che, oltre a non trovare alcun sostegno nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (in particolare nelle pronunce nn. 47/2001, 333/2003, 49/2007 e 463/1997), come esaurientemente e condivisibilmente ha illustrato il Procuratore Generale nella sua memoria, non attingono dalla illustrazione del ricorrente alcun concreto riferimento al dato normativo invocato, come già era stato rilevato dalla Corte di appello di Palermo con riferimento agli artt. 43, 47 e 97 Cost.. Quanto alla pretesa violazione dell'art. 3, riferita alla diversità della normativa applicabile ai servizi bancari, non si può non ribadire come prima della privatizzazione del servizio postale esistesse una chiara disomogeneità fra i due settori da cui derivava la disomogeneità degli strumenti negoziali offerti al pubblico. Tuttavia nonostante questa rilevante differenza di disciplina non si può ritenere che prima dell'abrogazione dell'art. 173 del codice postale vigesse una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento in danno dei risparmiatori che, come l'odierno ricorrente, si indirizzavano all'investimento in buoni fruttiferi postali.

25. La Cassa Depositi e Prestiti propone ricorso incidentale articolato in due motivi. Con il primo reitera l'eccezione di difetto di giurisdizione assumendo che i buoni postali fruttiferi costituiscono quota del debito pubblico assistita dalla garanzia dello Stato Italiano. Pertanto sussisterebbe, secondo la ricorrente incidentale, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo competente in via esclusiva quanto alla materia del debito pubblico e quindi anche per ogni controversia fra lo Stato e il possessore dei titoli del debito pubblico.

26. Con il secondo motivo la Cassa deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 5, comma 3 convertito in L. n. 326 del 2003, e del D.M. 5 dicembre 2003 in combinato disposto fra loro, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1. Con tale motivo si ribadisce l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero delle Finanze già proposta nei precedenti gradi di giudizio e, a parere della ricorrente incidentale, non esaminata.

27. Il rigetto dei due motivi del ricorso principale comporta, conformemente a quanto ritenuto dal Procuratore Generale, l'assorbimento del ricorso incidentale, proposto dalla parte interamente vittoriosa nel giudizio di merito, dovendosi qualificare il ricorso incidentale, proposto in presenza di una espressa decisione della Corte di appello, come ricorso condizionato e dovendosi altresì rilevare la carenza di interesse della parte secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Civ. S.U. n. 7381 del 25 marzo 2013 e sezione 1 n. 4619 del 6 marzo 2015 e sezione 3 ordinanza n. 6138 del 14 marzo 2018: "alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il cui fine primario è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere una risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d'ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale").

28. Il ricorso principale va pertanto respinto e il ricorso incidentale dichiarato assorbito. Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione e dichiarato tenuto al versamento della somma pari a quella già versata a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore delle controricorrenti Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. e Poste Italiane s.p.a. liquidate per ciascuna in complessivi Euro 3.300 (di cui 200 per spese), oltre spese forfettarie e oneri accessori.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quarter, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2019.

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