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domenica 27 luglio 2025

Preliminare di acquisto di una multiproprietà. Entro quale termine si deve arrivare al rogito?

Esiste un termine entro il quale le parti devono arrivare alla conclusione di un contratto definitivo con il trasferimento di un diritto in multiproprietà?

La questione viene affrontata e, forse, risolta dal Tribunale di Catania con il provvedimento che trovate di seguito, ove il giudice si è soffermato sui principali aspetti del negozio giuridico e i diritti spettanti ai consumatori.


a.- Il caso: un preliminare che non porta al definitivo

Occorre ripercorrere la vicenda sottoposta al giudizio del tribunale perché ci consente di poter meglio affrontare i punti giuridici della controversia.

Nel caso di specie, l'acquirente aveva sottoscritto un contratto preliminare di compravendita con una società, finalizzato a trasferire, entro un anno, una nuova unità immobiliare in multiproprietà, a fronte del pagamento di €7.000 e della cessione di una precedente multiproprietà del valore di €13.500.

Nonostante il pagamento effettuato e la cessione della vecchia multiproprietà, il contratto definitivo non veniva mai stipulato. 

Ne derivava una situazione di incertezza e frustrazione per l'acquirente, che si vedeva privato sia del bene originario che di quello promesso, stante la non conclusione del rogito.

    - La posizione delle parti

L'acquirente chiedeva al Giudice:

        - La risoluzione del contratto preliminare,

      - La restituzione dell'importo complessivo di €20.500 (somma versata e valore della       multiproprietà ceduta).

La società convenuta si difendeva affermando di aver inviato le comunicazioni necessarie per procedere al rogito e sostenendo che, in ogni caso, il termine previsto nel preliminare per la stipula non fosse essenziale e che la mancata conclusione del definitivo dipendesse anche dall'inattività della controparte.


b.- La decisione del Tribunale: mutuo dissenso e restituzioni

Il Tribunale ha affrontato la questione centrale: la natura del termine previsto nel contratto preliminare per la stipula del definitivo.

Richiamando i principi giurisprudenziali consolidati, il Giudice ha chiarito che il termine previsto nel preliminare era da considerarsi semplice e non essenziale, ovvero la sua scadenza non comportava automaticamente la risoluzione del contratto. Tuttavia, ha osservato che entrambe le parti, per un lungo periodo, avevano mantenuto un comportamento inerte, senza compiere azioni concrete per portare a conclusione la vicenda.

Questa inerzia reciproca è stata interpretata come espressione di mutuo dissenso, ossia una tacita e condivisa volontà di non procedere oltre.

Le conseguenze pratiche:

- Il contratto preliminare è stato dichiarato risolto;

- L'acquirente conserverà la multiproprietà originariamente ceduta alla società;

- La società dovrà restituire all'acquirente la somma di €7.000 corrisposta per la nuova multiproprietà.


c.- Perché è importante per i consumatori

Questa sentenza offre alcuni spunti chiari che tutti i consumatori dovrebbero conoscere prima di impegnarsi in operazioni legate alle multiproprietà:

- Prestate attenzione al termine indicato nel contratto preliminare: anche se non contiene un termine "essenziale", non può restare sospeso nel tempo senza conseguenze.

- è molto importante il comportamento che viene tenuto in concreto: l'inerzia delle parti può essere letta dal giudice come volontà di sciogliere l'accordo.

- Un ultimo aspetto riguarda la tutela economica: il Tribunale di Catania ha assunto un particolare atteggiamento, decidendo di tutelare l'equilibrio patrimoniale tra le parti, disponendo la restituzione delle somme versate e delle quote di multiproprietà, evitando un ingiusto arricchimento.

Di seguito, il provvedimento del Tribunale di Catania 

domenica 24 novembre 2024

Preliminare: il mancato pagamento di una rata non è inadempimento

Questa domenica affrontiamo una vicenda abbastanza ricorrente, ossia quando viene firmato un contratto preliminare di acquisto della casa, senza subordinare il definitivo all'ottenimento del mutuo e, in seguito, non si riesce ad onorare l'accordo perché la banca ha rifiutato di concedere il finanziamento o, come accaduto nella vicenda, ritardato il versamento della somma.

Il suggerimento che vi vogliamo dare, partendo dalla vicenda sottoposta alla decisione della Cassazione, è di inserire nel preliminare sempre una clausola risolutiva ove si subordina la conclusione del definitivo (rogito davanti al notaio) all'ottenimento del mutuo con la banca: "Le parti sottopongono il contratto preliminare alla condizione risolutiva, subordinando la firma del rogito notarile all'ottenimento, da parte del promissario acquirente, di un mutuo ipotecario entro il termine per il definitivo. Nel caso di rifiuto da parte dell'istituto di credito alla concessione del mutuo al promissario acquirente, il presente accordo viene mutualmente considerato privo di efficacia e risolto con restituzione di ogni eventuale somma anticipata a titolo di acconto o caparra.".

Nella vicenda affrontata dagli Ermellini, la promittente acquirente conveniva in giudizio la proprietaria dell'immobile al fine di ottenere la legittimità del recesso al contratto preliminare sottoscritto con restituzione del doppio della caparra.

Il preliminare prevedeva l'obbligo di pagamenti rateali della somma prevista prima della conclusione del rogito, con importi da versarsi a date prestabilite.

La promittente acquirente effettuava quasi tutti i versamenti, ma non avendo ricevuto in tempo utile un finanziamento, aveva richiesto alla controparte il rinvio della data per il rogito notarile, confermando la propria intenzione di pagamento di quanto previsto tra le parti.

Quest'ultima, costituitasi in giudizio, osservava che non era mai stato raggiunto alcun accordo sul rinvio della data, con conseguente inadempimento da parte dell'acquirente degli obblighi assunti con il preliminare.

I giudici di merito davano ragione alla promittente venditrice, ma la Cassazione ha ribaltato la questione, osservando che nella valutazione dell'eventuale inadempimento della promittente acquirente, si debba fare riferimento alla complessiva condotta tenuta dalle parti nella vicenda.

Il giudice di legittimità richiama, sul punto, l'orientamento sviluppato dalla giurisprudenza di legittimità, ossia: "il giudice non può isolare singole condotte di una delle parti per stabilire se costituiscano motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma deve, invece, procedere alla valutazione sinergica del comportamento di questi ultimi, attraverso un'indagine globale e unitaria dell'intero loro agire, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell'inadempimento, perché l'unitarietà del rapporto obbligatorio a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuno non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta di ciascun contraente, ma esige un apprezzamento complessivo".

E il giudice di merito non ha operato, secondo la valutazione operata dalla Cassazione, un giudizio complessivo delle condotte al fine di verificare la sussistenza del presunto inadempimento lamentato dal promittente venditore.

"La Corte d’appello avrebbe dunque dovuto considerare che la ricorrente aveva unicamente chiesto un rinvio del pagamento di una parte del prezzo, profilo che attiene all’esecuzione del contratto (cfr. Cass. n. 525/2020) e si era detta disponibile a versare tale somma entro la data fissata per la conclusione del contratto definitivo.".

Corte di Cassazione Sez. II^ Civ. - sentenza n. 26313/2024  (visibile con browser Opera vpn attivo)

domenica 1 ottobre 2023

Multiproprietà: preliminare non adempiuto. Che succede?

Sono molti i casi, anche segnalati a questa associazione, di contratti preliminare per l'acquisto di un diritto reale parziale - multiproprietà - rimasti disattesi e non adempiuti da parte della società promittente venditrice.

La particolarità di queste vicende è che, nonostante al preliminare non sia succeduto il contratto definitivo di trasferimento della porzione di bene immobile, le famose settimane, il promissario acquirente entra nel possesso del bene, potendo godere della settimana, ma in particolar modo dovendo pagare le spese di gestione annuali.

Viene a crearsi, in questi casi, una netta distinzione tra la situazione giuridica (obbligo inadempiuto alla conclusione del rogito notarile - mancanza di proprietà piena da parte del consumatore) e la situazione reale (godimento del diritto vacanza - obbligo al pagamento delle spese di gestione annuali).

A ciò si deve aggiungere che il promissario acquirente paga la somma prevista per l'acquisto del diritto reale all'atto della conclusione del preliminare, anche in assenza del successivo atto traslativo dei millesimi di proprietà.

Non di rado, inoltre, il promissario acquirente non viene convocato alle assemblee previste tra i multiproprietari, in quanto non legittimato a partecipare e votare le decisioni assunte in quella sede. 

Come uscire da questo inghippo? il Tribunale di Roma ci offre una buona descrizione della vicenda, chiarendo i vari punti che contraddistinguono questi rapporti e la necessità da parte del consumatore di invitare alla conclusione del definitivo e, in seguito, chiedere la restituzione della somma versata con il preliminare.

Il giudice romano chiarisce, richiamando l'orientamento costante della Cassazione, che il creditore che intenda contestare la risoluzione del contratto preliminare, deve fornire prova dell'esistenza del rapporto da cui nasce il suo diritto (quello alla conclusione del definitivo), mentre può limitarsi ad allegare (affermare) che la controparte (il promittente venditore) non abbia adempiuto all'obbligo assunto con la firma del contratto.

Sarà quest'ultimo a dover dimostrare di aver adempiuto all'obbligo contrattuale e, nel caso di specie, aver invitato il promissario acquirente al rogito notarile.

Il promissario acquirente deve limitarsi a chiedere alla controparte di concludere, entro un congruo termine, il contratto definitivo, ossia il rogito notarile con il passaggio della proprietà in favore del consumatore.

Nel caso in cui questo termine non sia rispettato, il preliminare verrà considerato come inadempiuto e il promissario acquirente avrà il diritto alla restituzione della somma versata alla controparte con il preliminare.

E' chiaro, sul punto, il Tribunale di Roma laddove osserva che: " Per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di contratti a prestazioni corrispettive, la diffida ad adempiere ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che a detta clausola si ricollegano e, cioè, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine essenziale nell'interesse della parte adempiente, cui è rimessa la valutazione di farne valere la decorrenza e che può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi; tale diffida è stabilita nell'interesse della parte adempiente e costituisce non un obbligo ma una facoltà che si esprime a priori nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e a posteriori nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti, il che rientra nell'ambito delle facoltà connesse all'esercizio dell'autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all'art. 1454 c.c. (cfr. Cass. Civ. n.  23315 dell'8/11/2007).". 

Il giudice romano puntualizza che: "Va comunque aggiunto che l'intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere, di cui all'art.  1454 c.c., e l'inutile decorso del termine fissato per l'adempimento non eliminano la necessità, ai sensi dell'art. 1455 c.c., dell'accertamento giudiziale della gravità dell'inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell'interesse della parte all'esatto e tempestivo adempimento (v. Cass. Civ., Sez. II, 04/09/2014, n. 18696; nello stesso senso Cass. Civ., Sez. II, 18/04/2007, n. 9314).".

La diffida ha il compito di rendere inadempiuto il preliminare non eseguito, mentre il provvedimento del giudice ha l'ulteriore fine di legittimare il promissario acquirente ad ottenere la restituzione della somma versata in sede di preliminare. 

Di seguito, Tribunale di Roma - sentenza n. 3266/2023 del 27 febbraio 2023

domenica 16 ottobre 2022

Preliminare con dichiarazioni irregolari & validità della vendita immobiliare

La vendita di un immobile regolare è una vicenda tutt'altro che rara, in quanto ancora oggi vi sono una serie di fabbricati datati e non rispettosi delle norme previste in materia e che si sono susseguite nel tempo.

Usualmente queste irregolarità emergono alla data della firma dell'atto notarile, ma non di rado la questione può emergere anche con l'atto preliminare, ossia quello che non produce alcun effetto traslativo della proprietà, ma semplicemente obbliga le parti a concludere il definitivo in un secondo momento.

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, consolidando dei principi stabiliti dalla Cassazione in Sezioni Unite con sentenza n. 8230/2019, ha voluto chiarire gli effetti sulla validità dell'atto preliminare nel caso di dichiarazioni difformi dalla realtà, con particolare riferimento all'attestazione di abitabilità dell'immobile.

 La questione che stiamo trattando riguarda la validità dell'atto notarile che contiene dichiarazioni difformi e i relativi effetti traslativi, ed in particolare l'errata indicazione degli estremi dei titoli abitativi.

In materia di vendita di immobile, in origine gli artt. 17 e 40 della Legge n. 45 del 1985 prevedevano la nullità degli atti  di vendita di un immobile,  sia in forma pubblica, sia in forma privata, nel caso di carenza degli  estremi  della concessione  ad edificare o della concessione in sanatoria.

Il principio normativo appena richiamato è stato sostanzialmente confermato con il Testo Unico dell'Edilizia, all'art. 36:" 1. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.".

La questione emersa negli anni ha riguardato gli effetti nel caso in cui, come nella vicenda oggetto della sentenza segnalata qui sotto, non vi sia una totale inesistenza della concessione/permesso a costruire, ma nell'ipotesi in cui di difformità parziale.

Ed è il caso oggetto della sentenza di cui trattasi, ossia l'ipotesi in cui vi sia una concessione edilizia, ma che la stessa sia distinta dal reale stato dei luoghi.

La seconda questione a cui il Giudice di Legittimità ha dovuto dare risposta ha riguardato il contratto oggetto di impugnazione, ossia il preliminare, e la possibile invalidazione per violazione della norma imperativa.

Sul primo punto, la Suprema Corte ha ribadito i principi della sentenza n. 8230/2019, ossia che "In argomento, Cass., S.U., n. 8230/2019, ha affermato che "la nullità comminata dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della I. n. 47 del 1985 va ricondotta nell'ambito del comma 3 dell'art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono; volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile.".

Il secondo aspetto trattato nella sentenza è collegato all'effetto giuridico previsto, ossia alla nullità dell'atto, e se tale previsione riguardi il solo atto notarile, in quanto traslativo del diritto reale, od anche il contratto preliminare, ossia quello che prevede il mero obbligo alla firma dell'atto definitivo.

E la risposta della sentenza è chiara: "sanzione della nullità prevista dall'art. 40 della I. n. 47 del 1985 per i negozi relativi a immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione ai soli contratti con effetti traslativi e non anche a quelli con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, non soltanto in ragione del tenore letterale della norma, ma anche perché la dichiarazione di cui all'art. 40, comma 2, della medesima legge, in caso di immobili edificati anteriormente all'1 settembre 1967, o il rilascio della concessione in sanatoria possono intervenire successivamente al contratto preliminare".

In conclusione, il preliminare che sia irregolare, in quanto privi di indicazione della concessione edilizia o sanatoria dell'immobile, è comunque regolare.

Corte di Cassazione - Sez. II^ Civ. Ordinanza n. 7521/2022.

domenica 17 febbraio 2019

Multiproprietà. Preliminare senza rogito? comunque si devono pagare le spese di gestione

Uno degli argomenti più trattati in questo blog riguarda i diritti vacanza turnari ed in particolare le multiproprietà.

Abbiamo più volte affrontato questa materia, in particolare delineando doveri ed obblighi dei multiproprietari (clicca qui), nonché le ipotesi in cui il contratto concluso per l'acquisto di un diritto reale parziario sia privo di validità (vedi qui).

La multiproprietà alberghiera, nella sua versione più classica, è caratterizzata da un contratto preliminare ove le parti si impegnano a sottoscrivere il definitivo (rogito notarile) con il quale si produce l'effetto traslativo della proprietà immobiliare parziaria dalla società venditrice al multiproprietario.

Quest'ultimo, come noto, diviene titolare del diritto di proprietà pieno di un immobile (o stanza di albergo) per un determinato periodo dell'anno (una/due settimane).

Il valore di questi contratti è stato a lungo oggetto di contenzioso, sia sotto il profilo della validità degli stessi (preliminare/definitivo), sia con riguardo agli effetti successivi.

La normativa intervenuta in materia, a partire dalla Direttiva 47/1994/CE (successivamente abrogata dalla Direttiva 122/2008/CE), nonché le relative attuazioni nel diritto interno, hanno previsto specifici obblighi informativi da parte del venditore, così chiarendo e delineando meglio alcuni aspetti oggetto di contenzioso.

In tema di titolarità di diritto reale in multiproprietà, ulteriori problematiche hanno riguardato l'obbligo di pagamento delle spese comuni da parte dei singoli multiproprietari, ed in particolare se tale obbligo gravi anche su coloro che - dopo aver firmato il contratto preliminare -  non hanno in seguito concluso il rogito notarile.


La questione è stata affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione, con la criticabile sentenza n. 27993/2018 ove il giudice ha ritenuto di equiparare il promittente acquirente al titolare del diritto reale in multiproprietà, affermando che anche colui che non ha sottoscritto il rogito notarile è comunque tenuto a versare le spese annuali all'ente gestore.


La Cassazione osserva, sul punto, che "Con riferimento alla specifica questione riguardante la richiesta dei costi relativi alla comunione pur in difetto del godimento del bene (cc.dd. spese di gestione assimilate dalla Corte territoriale alle spese condominiali di manutenzione), il giudice di appello ha - nel panorama normativo ed interpretativo "ratione temporis" applicabile con riguardo all'epoca delle conclusione dei contratti dedotti in causa - condivisibilmente rilevato che, anche per la multiproprietà alberghiera (in cui il diritto sull'unità immobiliare è ricompresa, per l'appunto, in un complesso alberghiero la cui gestione è affidata ad una società che amministra l'immobile come un vero e proprio albergo, la quale riceve - di regola - un corrispettivo per l'utilizzo della suddetta unità), la partecipazione di ciascun comproprietario al godimento dell'unità immobiliare era riconducibile alla comunione e, limitatamente alle parti e ai servizi in comune a tutti i multiproprietari, a quella del condominio (v., per meri riferimenti, Cass. n. 6352/2010). Sulla base di tale presupposto e sempre con riferimento al richiamato momento temporale, la Corte ambrosiana ha correttamente osservato in punto di diritto che, nell'ambito delle multiproprietà immobiliari, il promittente acquirente si sarebbe potuto ritenere obbligato a contribuire alle spese di gestione del complesso qualora lo stesso, prima della stipula del contratto definitivo, avesse (come verificatosi nel caso di specie) acquisito il diritto all'uso turnario dell'alloggio promesso e dei relativi beni e servizi comuni, conseguenza che non si sarebbe potuta escludere per il fatto che il medesimo non avesse utilizzato l'immobile, dovendosi considerare rilevante anche la sola possibilità della sua fruizione e non determinante la sua utilizzazione effettiva.".

La Cassazione, in altri termini, arriva a considerare come multiproprietario anche chi, di fatto, non ha mai acquisito tale status giuridico, ossia non ha concluso l'unico atto acquisitivo del diritto reale in multiproprietà, ossia il rogito notarile.

La conclusione raggiunta dal giudice si fonda sulla tesi, che lo scrivente non condivide, secondo la quale con la firma del preliminare, il promittente acquirente avrebbe acquisito il diritto d'uso turnario in via anticipata, presupposto idoneo per l'obbligo di sua partecipazione alle spese annuali di gestione.

Tali spese, a nostro parere, sono dovute solo da coloro che divengono proprietari del diritto reale, e non per soggetti che tale contratto ad effetti reali non lo hanno concluso: diversamente, al contratto a contenuto obbligatorio (preliminare) viene attribuito un valore ulteriore e non voluto dalle parti.

Qui potete leggere la sentenza n. 27993/2018.
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