lunedì 18 novembre 2024

L’errore medico nella chirurgia estetica

La chirurgia estetica, materia della quale stiamo esaminando alcuni profili di responsabilità del chirurgo, sconta da anni qualche riserva a motivo del suo oggetto, associato alla medicina del capriccio o dell'edonismo.

Traspaiono, in alcune sentenze, dei giudizi di carattere etico-morale verso coloro che vi fanno ricorso e, talora, verso i chirurghi che mettono a disposizione del cliente queste prestazioni: giudizi, questi, che hanno inciso sulle questioni legate all'accertamento della responsabilità del chirurgo estetico e di cui, ancora oggi, si avverte qualche eco.

In passato era comune richiedere al chirurgo di essere fedele nell'esaudire le esigenze del cliente, giacché questi rivolgeva allo specialista delle “capricciose richieste” che erano ritenute discutibili sia per chi le rivolgesse sia per chi le soddisfacesse: quelle di chiedere e ottenere puntualmente – o, almeno questa era la comune aspettativa, e non di meno - un aspetto esteriore ottimale e privo di imperfezioni, che aiuti a ridurre o ad eliminare il proprio stato di malessere psichico.

In realtà, nella letteratura medico-legale si ammette laicamente che ognuno di noi possiede quello che viene chiamato “complesso estetico individuale”: la propria corporeità è un patrimonio che deve essere vissuto serenamente, e non subito con riluttanza a causa di imperfezioni; il malessere psicologico della persona insoddisfatta dal proprio aspetto, infatti, si ripercuote negativamente in ambito comportamentale e sociale. E, dal momento che la concezione della salute divulgata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità non coincide con la mera assenza della malattia, ma con la promozione dell'integrale stato di benessere, non si fatica ad inquadrare la prestazione estetica nella normale medicina ordinaria e curativa o, per essere più precisi ancora, nella medicina plastica.

domenica 17 novembre 2024

Multiproprietà - valido il contratto che contiene informazioni trasparenti, chiare e complete

La Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo, con la recente sentenza n. 25599/2023, di tratteggiare alcuni aspetti rilevanti che riguardano i contratti di acquisto di un diritto reale in multiproprietà, nonché i contratti vacanza a lungo termine.

Questo tipo di vicende sono oggetto di trattazione periodica in questo blog e quindi ci è sembrato corretto aggiornare l'orientamento della Cassazione in questa materia.

Questo tipo di contratti sono stati oggetto, negli ultimi anni, di diversi interventi giurisprudenziali che hanno dichiarato la nullità del contratto di compravendita di una multiproprietà reale o obbligatoria per violazione degli artt. 1418 e 1346 c.c., ossia per totale indeterminatezza dell'oggetto.

I documenti contrattuali, infatti, non indicano in modo chiaro  né l'oggetto del contratto, né il contenuto dei diritti/obblighi, prevedendo anche l'adesione ad un club straniero, non identificato e per un periodo molto lungo.

Molto spesso, i contratti non indicano non solo il tipo di titolo venduto, ma anche la sua legge di circolazione, e neppure i dati dell’associazione alla quale viene fatto riferimento, né la natura di tale iscrizione, rimandando ad altri documenti o ad un sito web.

La Cassazione, pur affrontando un caso di multiproprietà immobiliare, ha avuto modo di affrontare il fenomeno, chiarendo come la normativa (oggetto di una prima disciplina con la Direttiva 94/47/CE introdotta in Italia con il D. Lgs. 427/1998) è stata oggetto di un successivo intervento europeo (direttiva 2008/122/ce) attuato in Italia con D. Lgs. n. 79/2011.

La normativa del 2011 ha portato ad una sostanziale distinzione tra contratti di multiproprietà e vacanze a lungo termine, prevedendo medesime tutele, specialmente sotto il profilo informativo.

Il contratto avente ad oggetto la vendita di questi diritti vacanza deve essere redatto in modo chiaro e trasparente, contenendo informazioni complete, chiare ed obiettivamente comprensibili, al fine di consentire al contraente debole di valutare in modo informato le conseguenze connesse alla firma.

Sul punto, la Suprema Corte chiarisce che il contratto deve descrivere in modo chiaro gli “[…] aspetti fondamentali volti all’individuazione della stessa tipologia di contratto rispetto alle molteplici possibilità offerte dall’iniziativa privata e dal principio di libertà negoziale […] e che comportano l’esigenza di individuare in modo dettagliato l’oggetto del contratto e, soprattutto, i diritti e gli obblighi posti a carico delle parti.”  (Cassazione Civile Sez. II^ Sentenza n. 29599/2023).

Questa descrizione non può essere lasciata ad altri documenti o ad un sito web, ma deve essere esplicitata nel contratto principale firmato tra le parti.

Corte di Cassazione - Sez. II^ Civ. sentenza n. 25599/2023 (visibile con browser Opera VPN attivo)

sabato 16 novembre 2024

Blupark sanzionata per credit card surcharge

Fonte: AGCM
11 ottobre 2024
La società non ha ottemperato al divieto - imposto dall’Autorità a novembre 2023 - di applicare un supplemento di prezzo per il pagamento con carta di credito dei carburanti erogati.

Prosegue l’attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’ambito del credit card surcharge. L’AGCM ha accertato l’inottemperanza della società Blupark S.r.l. al divieto disposto con la propria delibera n. 31000 del 28 novembre 2023. Alla società è stata irrogata una sanzione pari a 20.000 euro, ai sensi dell’art. 27 del Codice del Consumo. Il divieto riguardava l’applicazione ai consumatori di un supplemento di prezzo per il pagamento con carta di credito (credit card surcharge) dei carburanti erogati dalla società. Grazie alle denunce e alla documentazione pervenute tramite il Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza è stato possibile accertare che Blupark ha continuato ad applicare, in violazione dell’art. 62 del Codice del consumo, maggiorazioni di prezzo pari a 0,02 euro/litro per il pagamento del carburante tramite carta di credito, presso la propria stazione di servizio localizzata a Loreo (RO).

L’Autorità ricorda che la norma applicata in questi procedimenti è posta a tutela dei diritti dei consumatori nei contratti e, insieme alle altre norme dell’ordinamento che vietano l’applicazione di surcharge, punta a garantire l’obiettivo eurounitario di realizzare un sistema unico di pagamenti privo di discriminazioni tra strumenti.

venerdì 15 novembre 2024

Telemarketing: nuove regole = maggiori tutele?

Noi non ci crediamo molto che il nuovo codice di condotta introdotto alcune settimane addietro possa veramente limitare il fenomeno "truffa telefonica legalizzata" mediante la quale molte società attivano servizi non richiesti, o cambiano le condizioni contrattuali applicate ai consumatori.

Abbiamo ricevuto - e continuiamo a ricevere - segnalazioni di consumatori che sono oggetto di telefonate moleste e  non sembra, ad oggi, che il Registro delle Opposizioni abbia svolto quel ruolo di tutela tanto auspicato.

Il fenomeno dei contratti telefonici con attivazione di servizi non richiesti è ancora molto attuale, tant'è che il Garante privacy ha sanzionato una società operante nel settore luce/gas per una condotta commerciale decisamente scorretta (vedi qui).

Perché queste condotte commerciali, che tanto profitto garantiscono agli operatori di settori, dovrebbero essere attenuate da nuove regole di condotta? 

Per questo guardiamo con diffidenza queste novità, pur nella speranza che vi siano effetti positivi da queste novità introdotte con il codice di condotta.

lunedì 11 novembre 2024

Errore del dentista: cosa fare per il danno odontoiatrico

In materia di errore medico, una delle fattispecie più frequenti riguardano i dentisti, in quanto anche l'odontoiatra può causare un danno durante la propria attività professionale, con evidenti conseguenze per il paziente.

Anche per questo tipo di danni si ricorre ai principi già visti in precedenza, rientrando nella maxi area del risarcimento danni da responsabilità civile, cosicché nel momento in cui viene accertata la condotta colposa del dentista, questi sarà responsabile di ogni lesione subita dal paziente.

Anche per il dentista valgono, in primo luogo, tutti gli obblighi informativi già individuati in altre ipotesi di responsabilità medica, proprio al fine di ottenere un consenso informato dal cliente.

La condotta dannosa si configura, inoltre, non solo quando il paziente ottiene una lesione fisica dall'intervento dell'odontoiatra, ma anche nel caso in cui a seguito dell'attività professionale questi non abbia ottenuto alcun vantaggio: stiamo parlando dell'intervento ai denti completamente inutile (vedi qui).

La responsabilità del dentista, infatti, trova fondamento nel diritto del paziente ad ottenere una cura adeguata e corretta, a seguito di una attività professionale svolta nel rispetto dei principi di competenza e trasparenza. 

Poiché tra professionista e paziente si crea un vero e proprio rapporto contrattuale, l'odontoiatra è chiamato a rispondere per responsabilità ex art. 1218 c.c., dovendo risarcire il danno derivante dagli inadempimenti del contratto concluso.

Quali danni? i danni che il consumatore può ottenere sono quelli subiti a causa della condotta negligente (erronea) tenuta dal professionista, e quindi solo quelli che sono collegati direttamente con l'attività del dentista.

Questi danni consistono sia nel danno subito in bocca, nelle spese subite in seguito, il danno biologico e psicologico, con particolare riferimento al soggetto danneggiato.

Nel caso in cui, ad esempio, la persona danneggiata svolga una attività lavorativa ove il sorriso sia elemento importante della propria professione, il danno sofferto è maggiore perché il comportamento colposo del professionista a causato un pregiudizio più elevato.

Cosa fare per questo tipo di danni?

1.- chiedere al dentista la cartella medica;

2.- ottenere una relazione di un professionista che accerti i danni occorsi e il collegamento con l'attività del dentista;

3.- inviare una diffida con la richiesta di risarcimento del danno;

4.- Nel caso di risposta negativa, si può (deve) proporre una mediazione civile D. Lgs. n. 28/2010;

5.- In ipotesi di esito negativo della mediazione, sarà necessario agire in giudizio per il riconoscimento dei danni.

domenica 10 novembre 2024

Mediazione civile & condominio - sufficiente la maggioranza dei presenti per la delibera positiva

Può l'amministratore di un condominio prendere posizione in una mediazione civile (ad esempio, raggiungendo il consenso con la controparte) senza aver ottenuto un parere favorevole preventivo da parte dell'assemblea dei condomini?

Il Tribunale di Roma, trovatosi davanti a questo quesito, ha ritenuto di rispondere in senso positivo, argomentando però, che lo stesso amministratore dovrà, in tali casi, in seguito illustrare la situazione avanti ai condomini, durante l'assemblea, ed ottenere il loro consenso.

Ma quale voto assembleare serve per ottenere l'approvazione ex post dei condomini? il giudice romano ritiene che in questi casi, il voto sufficiente per l'approvazione del verbale di mediazione è quello previsto a mente dell'art. 1136 c.c. comma 2: "Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.".

Questi sono i requisiti minimi affinché il voto assembleare ratifichi la condotta tenuta dall'amministratore.

Di seguito, la sentenza n. 7405/2024 del Tribunale di Roma (visibile con browser Opera vpn attivo)

venerdì 8 novembre 2024

Trading on line truffa: i suggerimenti della Polizia postale

Fonte: Comunicato stampa
30 ottobre 2024
Falso trading online, la truffa informatica sulle attività di compravendita di azioni e titoli finanziari in rete, è un fenomeno criminale in espansione che produce un guadagno illecito di milioni di euro, rappresentando, nel panorama delle frodi online, la truffa che genera il profitto più cospicuo, alimentando peraltro l’interesse della criminalità organizzata.

Nel 2023 la Polizia Postale ha ricevuto oltre 3400 denunce di truffe legate alle false proposte di investimenti online, con un incremento del 12% rispetto all'anno precedente, per un valore complessivo dei fondi sottratti di oltre 111 milioni di euro.

I falsi investimenti finanziari vengono pubblicizzati con messaggi creati ad hoc, capaci di indurre gli utenti del web a fidarsi di proposte ingannevoli, grazie all’uso illecito di marchi e loghi di importanti aziende. Le potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale rappresentano un prezioso strumento nelle mani dei cybercriminali: l’utilizzo di semplici software consente loro di realizzare video promozionali che riproducono voce e aspetto di amministratori delegati, politici, personalità amate dal pubblico, a cui vengono attribuite parole mai dette al fine di promuovere l’offerta.

La vittima dell’inganno viene “agganciata” al telefono, su social e siti d’incontri, indotta a comunicare i propri dati e infine persuasa a investire online, affidandosi ai consigli di un truffatore che si finge broker professionista con il versamento di una piccola somma iniziale. In un secondo momento, viene convinta a investire altro denaro, perché crede che il suo rendimento stia crescendo velocemente. L’ultima fase della truffa consiste nella richiesta del versamento di presunti “costi di sblocco” per recuperare il capitale investito, ma in nessun caso il denaro versato tornerà nella disponibilità della vittima.

L’arma più efficace per contrastare questo fenomeno criminale è la prevenzione. La realtà non è sempre quella che appare sulla Rete:

  • Non credere alla promessa di guadagni fuori mercato
  • Non condividere dati personali, bancari, credenziali di accesso con presunti agenti finanziari;
  • Verifica l’attendibilità chi ti propone l’investimento, visitando i siti della Consob e della Banca D’Italia;
  • Utilizza esclusivamente piattaforme ufficiali evitando di cliccare su banner pubblicitari;
  • La richiesta di un pagamento ulteriore, con il pretesto di sbloccare il capitale investito, è la modalità utilizzata dai cybercriminali per estorcere altro denaro che non verrà comunque restituito. 

Se ti riconosci in questa tipologia di truffa, fai subito denuncia: la tempestività è fondamentale per attivare gli accertamenti volti all’identificazione degli autori e al possibile recupero delle somme.

Per informazioni e segnalazioni rivolgiti alla Polizia Postale tramite il sito ufficiale www.commissariatodips.it.

Qualunque cosa accada, hai diritto ad essere tutelato.

lunedì 4 novembre 2024

Diagnosi errata. Quando il medico deve rispondere per il suo errore

Abbiamo già trattato, sia pure per sommi capi, una casistica sulla colpa medica. Ci apprestiamo, in questo articolo, ad esaminare il profilo dell’errato intervento del medico. 

Dobbiamo tenere a mente che l’intervento del medico, benché sia centrale nell’immaginario relativo all’attività sanitaria, non esaurisce tutto il complesso delle attività connesse alle patologie. 

Per individuare le cause delle patologie (o delle psicopatologie, che pure rientrano nel perimetro dell’attività sanitaria) è necessaria e presupposta l’attività diagnostica, la quale consente al medico di raccogliere le notizie relative al paziente (l’anamnesi), di individuare i segni e i sintomi concretamente ricorrenti e di ricondurli ad una precisa causa naturale nota alla scienza, estirpabile o meno attraverso i percorsi terapeutici noti alla medicina. 

La prognosi indica il giudizio sull’esito atteso dell’evento patologico, tanto più favorevole per il paziente quanto più la diagnosi è calzante e tempestiva oppure la terapia è efficace - ossia sviluppa la risposta fisiologica positiva, sia pure in un percorso costellato da tentativi ed errori. 

Peraltro, il trattamento diagnostico è complicato dal fatto che, nella medicina moderna, esistono diversi approcci diagnostici: tra tutti, il più importante è quello basato sulla evidence-base medicine, (una procedura che prende in esame stime sui danni e sui benefici delle cure). 

Possiamo dunque intuire quale importanza rivesta l’attività diagnostica, togliendo il primato all’attività dell’intervento. 

Come il giudice individua la fattispecie concreta e la riconduce a quella astratta, alla stessa stregua il medico riconduce il sintomo alla causa. 

domenica 3 novembre 2024

Auto difettosa. Il consumatore può ottenere il risarcimento anche se vende il veicolo

Come abbiamo potuto scrivere di recente, il veicolo che presenta dei difetti di costruzione è una fattispecie tutt'altro che rara e che vede coinvolti molti automobilisti.

Sono molti gli interventi dei giudici chiamati a decidere in merito al risarcimento del danno subito dal consumatore che ha acquistato un veicolo che, in seguito ad accertamento, è risultato privo di conformità ex art. 130 Codice del consumo.

E' noto che in caso di prodotto difettoso, il consumatore ha diritto ad una serie di rimedi, in primis la riparazione del veicolo, oppure la restituzione della somma versata con consegna del veicolo al concessionario ed in ultimo un indennizzo per il prodotto non integro ricevuto.

Ma questi diritti possono essere esercitati anche dall'acquirente che nel frattempo ha alienato la macchina?

La risposta arriva dalla recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione (Sezione II^ Civile), la quale è stata chiamata a dirimere una controversia avente ad oggetto la vendita di un veicolo difettoso.

Peraltro, occorre fare una doverosa premessa, ossia che la controversia è stata decisa sulla base di un quadro normativo, quello del Codice del Consumo, nel frattempo mutato e quindi alcune interpretazioni normative offerte dai Giudici di legittimità possono non più trovare odierna applicazione.

Tanto premesso, la decisione merita di essere segnalata anche per la sua portata estensiva della norma verso ipotesi che, all'apparenza, sembrerebbero escluse dalla tutela prevista in materia.

Nel caso di specie, il consumatore aveva acquistato un veicolo, risultato in seguito difettoso, e dopo aver proposto formale denuncia, aveva permutato lo stesso con altra automobile, pur proseguendo la sua battaglia legale per ottenere il risarcimento del danno subito.

Riconosciuto il diritto alla tutela prevista dagli artt. 130 e seguenti del Codice del Consumo, la società venditrice aveva contestato al consumatore di non poter più ottenere alcun ristoro avendo alienato l'auto difettosa.

La Cassazione non accoglie la censura, così motivando: "La circostanza che il xxxx avesse consegnato il veicolo oggetto di causa in permuta, acquistandone uno nuovo, dimostra l’impossibilità di praticare lo specifico rimedio ripristinatorio della funzionalità del veicolo, previsto dall’art. 130 del D. Lgs. n. 206 del 2005. Non può sostenersi, tuttavia, che il consumatore che abbia ceduto il bene viziato non conservi comunque il diritto ad essere tutelato, perché la protezione non concerne il bene in sé, ma si riferisce alla posizione “debole” del consumatore, nell’ambito del rapporto di consumo. Il xxxxxx, quindi, aveva legittimamente richiesto il risarcimento del danno subito, e conserva detta prerogativa indipendentemente dalle successive vicende traslative del bene da lui acquistato. Il danno, peraltro, non si identifica con la perdita di valore della cosa, poiché il contratto di consumo non ha contenuto speculativo, posto che il consumatore non lo stipula in vista di una successiva alienazione del bene, ma per soddisfare una sua propria esigenza di consumo. Il pregiudizio, dunque, va dimostrato –come è accaduto nel caso specifico– sulla scorta del malfunzionamento del veicolo, effettivamente riscontrato in sede di A.T.P., e non invece (come propone la parte odierna ricorrente) con riguardo al valore di realizzo della vettura in sede di permuta.".

E' evidente che la Cassazione ribadisce un principio importante, ossia che i contratti stipulati dal consumatore si fondano su presupposti distinti da quelli ordinari, in quanto il punto di partenza non è la perdita di valore del bene difettoso, ma il diritto al riequilibrio del rapporto tra professionista e consumatore.

E ciò sulla premessa che il consumatore non acquista un bene con finalità speculativa o di guadagno, derivante dalla successiva vendita, ma per soddisfare una sua esigenza di consumo, sicché le sue prerogative di tutela consumeristica rimangono intatte anche qualora egli non sia più proprietario del bene per il quale le ha esercitate.

Di seguito, il provvedimento  della Corte di Cassazione - Sez. II^ Civile - Ordinanza n. 23238/2024 (visibile con browser Opera VPN attivo)

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