Ci capita, di tanto in tanto, di proporre dei commenti a provvedimenti della Cassazione che, all'apparenza, esulano dalle tematiche affrontate con questo blog.
E' questo il caso, dove ci spingiamo a proporvi la sentenza n. 36684/2023 della Cassazione penale, provvedimento che affronta il reato di tentata frode in commercio.
La sentenza della Suprema Corte conferma la tutela anticipata del mercato e del consumatore che viene garantita attraverso il reato di frode in commercio e quello del tentativo di frode e quindi, utilizziamo questo provvedimento anche per analizzare l'istituto previsto dal codice penale.
- Frode in commercio (art. 515 c.p.) e tentativo di reato
Il reato di frode nell’esercizio del commercio, previsto all’art. 515 del codice penale, punisce chi, nell’esercizio di un’attività commerciale o in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita per origine, provenienza, qualità o quantità.
La finalità della norma è quella di tutelare la correttezza dei rapporti commerciali e, indirettamente, anche gli interessi dei consumatori, garantendo loro che le informazioni ricevute all'atto dell'acquisto di un bene corrispondano alla realtà.
Il tentativo di reato consiste in ogni condotta che sia finalizzata a porre in essere il reato, senza che questo, però, si perfezioni.
- La vicenda
Nel caso di specie, l'accusa mossa verso l'imputato è quella di, in concorso con altri, aver modificato e sofisticato vini (utilizzando sostanze vietate come cisteina, acido solforico, sale rosa ecc.). Il prodotto alterato è stato, in seguito, custodito presso i propri magazzini dell'azienda agricola, avviando l'attività di imbottigliamento per la successiva vendita ai consumatori.
La difesa dell'imputato ha contestato l'accusa sollevata, affermando che il reato non si sarebbe mai configurato, in quanto il vino alterato non era stato ancora posto in commercio, ma solo stoccato in cantina. Tale carenza esclude sia il reato di frode che quello di tentativo di frode in commercio.
- La Cassazione
La Corte di Cassazione ha respinto le difese svolte dall'accusato, che ai fini della configurazione del tentativo di frode in commercio è sufficiente la detenzione nel magazzino del vino alterato, con le false indicazioni di provenienza e qualità.
Tale condotta è sufficiente a rappresentare in modo idoneo ed univoco, l'intenzione dell'autore di immettere nel commercio il prodotto, risultando del tutto irrilevante che vi sia un effettivo il contatto con il consumatore o l'esposizione per la vendita, soprattutto nelle vendite all'ingrosso, ai fini dell'integrazione del tentativo di frode.
La mera detenzione del prodotto alterato, quindi, è sufficiente a determinare il reato di tentata frode in commercio, rappresentando la volontà dell'autore del reato di voler porre in essere la condotta sanzionata sotto il profilo penale.
E' evidente che l'applicazione di questa norma garantisce la tutela preventiva in favore del consumatore, in quanto il comportamento incriminato non inizia solo al momento della vendita, ma anche prima, nella fase di preparazione e stoccaggio dei beni destinati al mercato. Questo principio amplia l’area della protezione legale dei consumatori (ma anche dei venditori onesti) contro le frodi.
Sotto altro profilo, la sentenza rappresenta un ulteriore esempio di tutela della qualità e della trasparenza delle informazioni fornite al consumatore: il vino sofisticato contiene sostanze vietate e mina, nel medio/lungo termine, la fiducia dei consumatori, danneggiando il mercato.
Cassazione Penale - sentenza n. 36684/2023. (visibile con browser Opera - VPN attivo)