domenica 16 luglio 2017

Corecom & danno - il discutibile orientamento dei giudici milanesi

E' proponibile la domanda di risarcimento del danno subito dalla compagnia telefonica in assenza di una procedura di conciliazione avanti al Corecom?

E cosa succede se la procedura è stata avviata, ma non si è completata in modo corretto, ovvero il cliente chiede alla compagnia telefonica dei danni superiori o diversi rispetto alla domanda di conciliazione?

La questione è stata affrontata dal Tribunale di Milano con una discutibile sentenza, che potete leggere di seguito, con la quale ha dichiarato l'inammissibilità della domanda proposta per carenza di conciliazione, nonostante il precedente tentativo di soluzione stragiudiziale avanti al Corecom.

1. IL CASO
La questione ha ad oggetto una controversia instaurata da una associazione che, a causa di inadempimenti sia contrattuali sia degli impegni assunti in due conciliazioni avanti al Corecom da parte di una compagnia telefonica, ha agito nei confronti di quest’ultima per la risoluzione del contratto di telefonia, e ciò a titolo di responsabilità pre-contrattuale e/o contrattuale, nonché dell’ultimo verbale di conciliazione.


A tale riguardo, rileva la circostanza che, tra gli ultimi inadempimenti della compagnia telefonica (nella specie: distacchi delle linee telefoniche, il preteso pagamento di fatture e l’inottemperanza dell’ultimo verbale di conciliazione) e l’instaurazione della causa davanti al giudice ordinario, l’associazione non ha esperito il tentativo di conciliazione obbligatorio, sicché il giudice ha rilevato l’improponibilità della domanda e non l’improcedibilità.


In argomento, la distinzione tra improponibilità ed improcedibilità della domanda ha delle conseguenze di non poco conto, che solo per maggiore comodità esponiamo ai nostri lettori brevemente, senza alcuna pretesa di sistematicità, peraltro difficile da raggiu
ngere con queste due categorie generali di invalidità degli atti all’interno del processo civile.

L'improcedibilità
è la sanzione prevista per l’atto processuale quando la parte proponente non ha osservato la legge processuale (il rito); normalmente è un ostacolo di natura processuale che sopravviene nel processo: una caratteristica dell’improcedibilità è che la domanda già promossa in giudizio vede salvi i propri effetti sostanziali (ad es. l’interruzione della prescrizione del diritto azionato in giudizio) e processuali.


L’improponibilità (o inammissibilità)
è, invece, è la sanzione che colpisce l’atto processuale quando  è sprovvisto di quegli elementi essenziali che servono ad introdurlo nel processo e ad ottenere una pronuncia di merito.


Ai nostri fini, la distinzione più importante da cogliere è sul piano degli effetti: si ripete, la domanda dichiarata improcedibile nel processo non vede venire meno gli effetti sostanziali e processuali introdotti in origine nel processo. Questo significa dunque che, se il giudizio viene interrotto e poi rinnovato, la domanda è come “congelata” e conserva i propri effetti (v. prescrizione). La domanda inammissibile, invece, è come se non fosse mai stata promossa in giudizio, perché non è sanabile.


E qui veniamo al nostro tema. Qual è la sanzione processuale da comminare quando la parte instaura una controversia in materia di telecomunicazioni davanti al giudice ordinario senza prima instaurare e concludere il tentativo di conciliazione davanti all’autorità preposta (Corecom)?


2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

In materia di telecomunicazioni rileva il combinato disposto di cui agli art. 11, co. 11°, della legge 31 luglio 1997 n. 249 e art. 3, co. 1° e 4, co. 2°, della delibera AGCOM n. 182/02/Cons., sotto la lente d’ingrandimento della giurisprudenza nelle ipotesi di specie.


La prima disposizione verte sulle modalità del tentativo obbligatorio di conciliazione, statuendo che: “L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.”


La seconda disposizione, di fonte regolamentare e, quindi, subordinata alla legge, stabilisce quanto segue: “Il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza.”.


Ad un colpo d’occhio emerge che le due disposizioni disciplinano in dettaglio le modalità (obbligatorie) di conciliazione prima di instaurare la causa di merito, ma non dicono anche quale sanzione si applica per l’inosservanza di queste norme.


Da qui diverse pronunce discordanti sul tema, tra le quali si segnala il recente Tribunale di Milano, sentenza n. 3418/2016, per la soluzione, a nostro parere, irrispettosa del principio di tutela effettiva dei diritti delle parti nel processo ordinario.

3. LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ SUL PUNTO
La giurisprudenza di legittimità, a più riprese sottoposta alla questione se il mancato esperimento della conciliazione obbligatoria prima del giudizio di merito sia un vizio sanabile o meno, ha optato per la soluzione più attenta all’esigenza del cliente e, quindi, a conservare quanto più possibile gli effetti della domanda.


Istruttiva è la massima della recente Cassazione n. 24711/2015, la quale in argomento ha ancora enunciato il principio secondo cui: “Il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dalla L. 31 luglio 1997, n. 249, art. 1, comma 11, (Istituzione dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisive), e dagli artt. 3 e 12 del Regolamento di procedura relativo alle controversie fra organismi di telecomunicazione e utenti, allegato alla Delib. AGCOM 182/02/CONS (applicabile alla specie ratione temporis) - da annoverarsi tra gli istituti di cosiddetta "giurisdizione condizionata" […] deve intendersi sempre prescritto per la procedibilità - non per la proponibilità, per la ammissibilità o per la ricevibilità - dell'azione promossa in sede giurisdizionale, con la conseguenza che il giudice di primo grado o d'appello […] -, dichiarata la temporanea improcedibilità dell'azione, deve sospendere il processo fino alla realizzazione delle predette condizioni ed assegnare, ove necessario, alle parti un termine per l'esperimento di detto tentativo obbligatorio, restando salvi - al momento della prosecuzione del processo - gli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale irritualmente proposta, e rimessa alla volontà delle parti ed al prudente apprezzamento del giudice l'eventuale rinnovazione degli atti istruttori già eventualmente compiuti"(CASS. 24711/2015; ma v. anche CASS. 14103/2011).


4. LA PRONUNCIA DEL TRIBUNALE DI MILANO: PUNTO CRITICO

Il giudice di prime cure milanese,invece, ha disatteso l’enunciazione di massima in parola, che propende chiaramente per la tesi dell’improcedibilità e della “sanatoria” degli effetti sostanziali e processuali della domanda, argomentando, per contro, che il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost. ), a propria volta “informato” dalla direttiva CE n. 22/2002, imporrebbe sempre e comunque alle parti di esperire prima del processo un tentativo di conciliazione davanti all’autorità amministrativa preposta, e ciò per superiore interessi all’economia e all’efficienza del processo civile.


L’interesse pubblico all’economia degli atti processuali diventa così stringente da “punire”, se vogliamo, la parte che abbia instaurato la controversia con l’inammissibilità della domanda (e le ben note conseguenze di carattere sostanziale che si riversano sulla domanda: si pensi ad una domanda promossa poco prima della decorrenza del termine di prescrizione).

A nostro parere, la sentenza in oggetto erra nel “calare” dall’alto un’inderogabile ed astratta esigenza di celerità ed economia processuale che, portata all’estremo, vanificherebbe la tutela effettiva dei diritti del cliente nelle controversie in materia di telefonia.


Poi, che il giudice milanese faccia riferimento alla giurisprudenza comunitaria (ed in particolare, alla Corte di Giustizia 18.03.2010 – Alassini c. Telecom Italia S.p.A) per identificare nella legge 279/1997 una stringente ed assoluta esigenza di deflazione ed economia processuale pare discutibile.


Almeno, la sentenza della Corte di Giustizia non sancisce in modo assoluto il principio di ragionevole durata delle controversie né dice che si persegue efficienza e celerità del processo civile con conciliazioni fatte rigorosamente prima della causa ordinaria; anzi, afferma che ciascuno stato membro sceglie le procedure più consone anche per garantire la tutela effettiva dei diritti delle parti.


In tal senso, la giurisprudenza di legittimità (v. la summenzionata Cassazione n. 24711/2015) ha ben visto che deve farsi un bilanciamento tra il principio di economia processuale e deflazione del contenzioso, da un lato, e di tutela effettiva dei diritti, dall’altro. Tale equilibrio si raggiunge tramite l’interpretazione letterale della normativa in oggetto, la quale peraltro parla di “salvezza degli effetti sostanziali e procedurali della domanda”.


5. CONCLUSIONE

In assenza di una specifica norma di legge che stabilisca la sanzione per l’inosservanza del tentativo di conciliazione (anche se ciò non deve stupire, perché il tema correlato sulla nullità e invalidità degli atti processuali, fatto salvo per le impugnazioni, è perlopiù disomogeneo e insuscettibile di essere ricondotto ad unità), si ritiene che l’intento deflattivo intravvisto nella legge 279/1997 non deve spingersi fino a sacrificare, sempre e comunque, aspetti sostanziali dei diritti azionati in giudizio, a meno di non voler sacrificare il diritto di azione (art. 24 Cost.).


È pur vero che la Corte Costituzionale nel 2006 non ha dichiarato incostituzionale detta norma di legge, perché il meccanismo di preventiva conciliazione davanti al Corecom, quanto a modalità ed effetti, somiglierebbe a quello previsto in materia giuslavoristica (v. artt. 410 e 412 bis c.p.c.); tuttavia, non si dovrebbe ricavare dal meccanismo di conciliazione altro che non una mera esigenza di ordine e celerità processuale, senza però intaccare i diritti azionati.


Qui di seguito, il provvedimento del Tribunale di Milano.
Controversia telefonia - Corecom - improponibilità della domanda by Consumatore Informato on Scribd

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