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venerdì 9 agosto 2024

Malati di social


Fonte: RSI - Patti chiari

lunedì 17 giugno 2024

Instagram e Facebook - pratiche commerciali scorrette - sanzione Antitrust

Fonte: comunicato stampa
5 giugno 2024
Nel processo di registrazione ad Instagram gli utenti non hanno ricevuto informazioni chiare sulla raccolta e sull’uso dei propri dati per fini commerciali. Inoltre, in caso di sospensione degli account Facebook e Instagram, non sono state fornite comunicazioni utili per eventuali contestazioni. 

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato per 3,5 milioni di euro Meta Platforms Ireland Ltd. e la capogruppo Meta Platforms Inc. per due pratiche commerciali ingannevoli riguardo alla creazione e alla gestione degli account dei social network Facebook e Instagram.

L’Autorità ha accertato che Meta, in violazione degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del consumo, non ha informato con immediatezza gli utenti iscritti ad Instagram via web dell’utilizzo dei loro dati personali per finalità commerciali.

Inoltre, l’Autorità ha appurato che, in violazione dell’articolo 20 del Codice del consumo, Meta non ha gestito con precisione la sospensione degli account Facebook e Instagram dei propri utenti. In particolare, Meta non ha indicato come decida di sospendere gli account Facebook (se a seguito di un controllo automatizzato o “umano”) e non ha fornito agli utenti di Facebook e Instagram informazioni sulla possibilità di contestare la sospensione dei loro account (si possono rivolgere a un organo di risoluzione stragiudiziale delle controversie o a un giudice). Infine, ha previsto un termine breve (30 giorni) per la contestazione della sospensione da parte del consumatore.

Queste due pratiche sono state cessate da Meta nel corso del procedimento.

lunedì 11 dicembre 2023

Social networks: come difendersi dalla diffamazione on line

Abbiamo già trattato, in altro nostro intervento (vedi qui), quali sono le caratteristiche principali che caratterizzano il reato di diffamazione on line, ossia attraverso frasi ingiuriose lasciate su una pagina Facebook, o con un video caricato su Instagram.

Con questo scritto, vogliamo dare alcuni piccoli suggerimenti rivolti a chi intenda tutelarsi dalla diffamazione, suggerendo però di rivolgersi sempre ad un legale, il quale può aiutarvi in modo più professionale e rapido.

Quali possono essere le decisioni da assumere se vogliamo difenderci da affermazioni offensive ricevute per via telematica? di seguito alcuni spunti.

lunedì 4 dicembre 2023

Facebook: pubblicando un post possiamo diffamare una persona?

Con questo contributo si intende informare il lettore delle conseguenze di un utilizzo improprio dei social network, ormai diventati strumenti di utilizzo quotidiano che consentono all’utente di poter interagire con terzi postando pensieri, immagini o video. 

Attraverso comportamenti superficiali e non responsabili si corre il rischio di incorrere nella condotta punita all'art. 595 c.p., cioè il reato di diffamazione, diventato oramai costante oggetto di accertamento all’interno delle aule di giustizia. 

Cosa si intende per diffamazione?

Tale fattispecie criminosa è disciplinata dall’art. 595 c.p., il quale statuisce che “chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032”.

Tale disposizione di legge è volta a tutelare la reputazione della persona intesa, quale bene costituzionalmente protetto, come la considerazione che il mondo esterno ha del soggetto che si ritiene offeso.

La condotta penalmente rilevante si sostanzia nell’offendere la reputazione altrui davanti ad una molteplicità di persone ed in assenza della persona offesa nei confronti dei quali viene pronunciata l’espressione diffamatoria.

Ai fini della configurazione della fattispecie in esame, devono sussistere determinati requisiti:

1. offesa dell’altrui reputazione, consistendo nell’utilizzo di parole volte a ledere la reputazione altrui;

2. assenza della persona offesa, intendendosi come l’impossibilità che la persona offesa possa percepire l’offesa;

3. presenza di almeno due persone, diverse dal soggetto agente e dalla persona offesa, che siano in grado di percepire l’addebito diffamatorio a danno della vittima.

Per la configurabilità del delitto di diffamazione è sufficiente il c.d. dolo generico, cioè la volontà dell’autore del reato di adoperare espressioni offensive con la consapevolezza che, nello screditare la persona diffamata, ne possa derivare un danno all’altrui reputazione.

domenica 9 maggio 2021

Il Consiglio di Stato conferma che il consumatore paga il servizio di Facebook con i suoi dati personali

Questa domenica potete trovare, qui di seguito, la sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del TAR Lazio, confermando le sanzioni irrogate da AGCM al colosso dei social  networks.

Ripercorriamo, qui di seguito, i passaggi che hanno caratterizzato la vicenda in oggetto e la recente sentenza n. 2631/2021 del 29 marzo 2021.

- Antitrust: utilizzo illegittimo dei dati personali dei consumatori 

La vicenda prende le mosse dall'indagine avviata da AGCM nei confronti di  Facebook Inc. e Facebook Ireland Limited e conclusa con con le contestazioni pratiche commerciali scorrette riconosciute a carico della multinazionale.

L'Autorità garante ha contestato alcune pratiche scorrette poste in essere da Facebook ed in primo luogo l'omessa informativa sull'utilizzo dei dati raccolti rivolta a coloro che si iscrivevano sulla piattaforma social.

Facebook non ha reso noto ai clienti le finalità commerciali della raccolta dei dati e lo sfruttamento commerciali delle informazioni ottenute durante l'utilizzo della nota piattaforma. 

La seconda condotta contestata a Facebook è il trasferimento di tali dati a terzi, con conseguente sfruttamento commerciale delle informazioni ottenute dagli utenti.

Sotto altro profilo, il cliente che si rifiutava di concedere i propri dati personali, vedeva (e vede) limitato il proprio accesso a Facebook.

- TAR Lazio: sfruttamento commerciale dei dati - il giudice amministrativo conferma

Il Provvedimento dell'Antitrust è stato oggetto di impugnazione da parte di Facebook, la quale si è conclusa con la conferma delle sanzioni previste da AGCM, come da sentenza n. 260/2020 del TAR Lazio che ha solo ritenuto non sussistere la seconda pratica commerciale scorretta (vedi qui).  

La multinazionale si è rivolta al Consiglio di Stato, impugnando la sentenza del TAR.

- Consiglio di Stato: Il consumatore paga Facebook con i propri dati personali

Il Consiglio di Stato ha confermato il carattere scorretto della prima condotta commerciale posta in essere da Facebook, osservando che già dall'accesso alla sua homepage, il consumatore veniva falsamente informato che il servizio social sarebbe stato gratuito.

L'utente, invece, non veniva reso edotto che sarebbe stato oggetto di profilatura dei suoi dati con finalità commerciali e, più in generale, che i suoi dati sarebbero stati oggetto di sfruttamento economico da parte di Facebook.

Il carattere commerciale dei dati personali dei singoli utenti attesta, come evidenziato dal Consiglio di Stato, dimostra che Facebook offre un servizio (l'accesso alla piattaforma social) ottenendo una controprestazione dai singoli utenti che vi partecipano (lo sfruttamento dei dati personali).

Qui la sentenza del Consiglio di Stato - sentenza n. 2631/2021.

sabato 20 febbraio 2021

Maxi multa a Facebook per illegittima raccolta dati

Fonte: comunicato stampa
17 febbraio 2021
Facebook Ireland Ltd. e Facebook Inc. non hanno ottemperato alla diffida di rimuovere la pratica scorretta sull’utilizzo dei dati degli utenti e non hanno pubblicato la dichiarazione rettificativa richiesta dall’Autorità.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato per complessivi 7 milioni di euro  Facebook Ireland Ltd. e la sua controllante Facebook Inc., per non aver attuato quanto prescritto nel provvedimento emesso nei loro confronti nel novembre 2018.

In particolare, con tale decisione, l’Autorità aveva accertato che Facebook induceva ingannevolmente gli utenti a registrarsi sulla sua piattaforma non informandoli subito e in modo adeguato - durante l’attivazione dell’account - dell’attività di raccolta, con intento commerciale, dei dati da loro forniti e, più in generale, delle finalità remunerative sottese al servizio, enfatizzandone viceversa la gratuità.

lunedì 28 settembre 2020

Agenzia Entrate avverte: in arrivo nuovi tentativi di furti di dati personali!

Fonte: comunicato stampa
20 settembre 2020


Sono in corso nuovi tentativi di phishing a danno degli utenti attraverso email che sembrano essere riconducibili all’Agenzia. L’Agenzia è estranea a tali messaggi ed invita gli utenti a cestinare immediatamente messaggi di posta elettronica che riportano nell’intestazione la dicitura “IL DIRETTORE DELL’AGENZIA” o “GLI ORGANI DELL’AGENZIA” e che, nel testo, invitano a prendere visione di documenti contenuti in un archivio allegato per verificare “alcune incoerenze” emerse “dall’esame dei dati e dei saldi relativi alla Divulgazione delle eliminazioni periodiche Iva”. Le email, infatti, non provengono dall’Agenzia, ma costituiscono il tentativo di installare un malware sui dispositivi dei destinatari anche allo scopo di acquisire successivamente informazioni riservate. Di seguito due esempi di questi messaggi:



L’Agenzia raccomanda ai contribuenti di verificare sempre attentamente i messaggi ricevuti e, se questi appaiono sospetti, soprattutto se i mittenti sono sconosciuti, di non aprire gli allegati o seguire i collegamenti presenti nelle mail (anche per evitare danni ai propri pc, tablet e smartphone) e cestinarli. Inoltre, precisa che non vengono mai inviate per posta elettronica comunicazioni contenenti dati personali dei contribuenti. Le informazioni personali sono consultabili esclusivamente nel Cassetto fiscale, accessibile tramite l’area riservata sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

domenica 8 marzo 2020

Facebook non è gratis! la conferma arriva dal TAR

Questa domenica usciamo dal tradizionale terreno dei consumatori, e vi proponiamo un recente provvedimento pubblicato dal TAR del Lazio, sentenza del 10 gennaio 2020 n. 261, con il quale è stata parzialmente confermata la sanzione irrogata dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM) a Facebook per pratiche commerciali ingannevoli (vedi qui).

L'Autorità garante aveva sanzionato Facebook per i seguenti motivi:

1. pratica commerciale scorretta ex artt. 20 - 21 del Codice del Consumo per aver fornito informazioni parziali e non trasparenti al consumatore che si iscrive al social network.

In particolare, con la prima registrazione del consumatore, la società americana non era solita fornire all'utente dati ed informazioni chiare e trasparenti in merito alla raccolta ed utilizzo dei dati personali, non escludendo la finalità commerciale.

L'Antitrust, all'esito dell'istruttoria conclusa nei confronti di Facebook, ha accertato che gli utenti non venivano resi edotti sul fine commerciale dell'utilizzo dei propri dati, lasciando intendere che il servizio di social network sarebbe stato gratuito, quando invece il profitto di Facebook consiste nella profilazione dei clienti e la successiva pubblicità: “i ricavi provenienti dalla pubblicità on line, basata sulla profilazione degli utenti a partire dai loro dati, costituiscono l’intero fatturato di Facebook Ireland Ltd. e il 98% del fatturato di Facebook Inc.”.

2. Il provvedimento sanzionatorio di AGCM aveva riguardato anche le pratiche commerciali aggressive ed abusive nei confronti dei consumatori registrati alla piattaforma, con trasferimento dei propri dati a società e siti web specializzati di terzi, in assenza di comunicazione agli utenti e senza un loro consenso.

La sentenza del TAR - Facebook non è gratuito
La vicenda è terminata davanti al TAR Lazio, il quale è stato chiamato a valutare l'attività svolta dal social network e le sue conseguenze verso i consumatori, chiarendo in particolare che Facebook offre il suo servizio ottenendo, in cambio, la possibilità di poter sfruttare i dati personali degli utenti per fini commerciali.

Il giudice amministrativo puntualizza che: "Le tesi di parte ricorrente presuppongono che l’unica tutela del dato personale sia quella rinvenibile nella sua accezione di diritto fondamentale dell’individuo, e per tale motivo Facebook era tenuta esclusivamente al corretto trattamento dei dati dell’utente ai fini dell’iscrizione e dell’utilizzo del “social network”.

Il dato personale diviene, quindi, elemento centrale dell'attività svolta dal social network, contropartita offerta dal consumatore per poter utilizzare i servizi della piattaforma, attivando un rapporto negoziale tra le parti, ove però una delle due (il consumatore) ne è ignaro.

In termini più semplici, tra le righe del provvedimento del TAR Lazio si evince che la creazione di un profilo su Facebook può essere quasi equiparato ad una stipula di un contratto commerciale a prestazioni corrispettive, ove Facebook offre al cliente una serie di servizi di chat ed ottiene, quale controprestazione dal consumatore, il consenso non informato di quest'ultimo all'utilizzo commerciale dei suoi dati personali (preferenze, interessi, esperienze etc.….).

Occorre osservare, a tal proposito, che lo sfruttamento patrimoniale del dato personale non è una novità, né tantomeno al tempo della "vita sociale digitale", ma è del tutto certo che il consumatore digitale ha diritto di essere ragguagliato in merito allo sfruttamento da parte del soggetto fornitore dei servizi sulla piattaforma.

Sul punto, il TAR è chiaro: "A fronte della tutela del dato personale quale espressione di un diritto della personalità dell’individuo, e come tale soggetto a specifiche e non rinunciabili forme di protezione, quali il diritto di revoca del consenso, di accesso, rettifica, oblio, sussiste pure un diverso campo di protezione del dato stesso, inteso quale possibile oggetto di una compravendita, posta in essere sia tra gli operatori del mercato che tra questi e i soggetti interessati.

Il fenomeno della “patrimonializzazione” del dato personale, tipico delle nuove economie dei mercati digitali, impone agli operatori di rispettare, nelle relative transazioni commerciali, quegli obblighi di chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni previsti dalla legislazione a protezione del consumatore, che deve essere reso edotto dello scambio di prestazioni che è sotteso alla adesione ad un contratto per la fruizione di un servizio, quale è quello di utilizzo di un “social network”.

Sorge, quindi, un obbligo informativo da parte del fornitore dei servizi di social network, Facebook, verso i consumatori che ha un fondamento di tipo negoziale e non solo sotto il profilo della tutela della riservatezza dei dati espressi in rete.

Qui il provvedimento n. 261/2020 del TAR Lazio.

venerdì 14 dicembre 2018

Facebook multata dall'Antitrust: utilizzava i dati dei clienti

Fonte: comunicato stampa 7 dicembre 2018
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella riunione del 29 novembre, ha chiuso l’istruttoria, avviata nel mese di aprile 2018, nei confronti di Facebook Ireland Ltd. e della sua controllante Facebook Inc. per presunte violazioni del Codice del Consumo, irrogando alle società due sanzioni per complessivi 10 milioni di euro.

L’Autorità ha accertato che Facebook, in violazione degli artt. 21 e 22 del Codice del Consumo, induce ingannevolmente gli utenti consumatori a registrarsi nella piattaforma Facebook, non informandoli adeguatamente e immediatamente, in fase di attivazione dell’account, dell’attività di raccolta, con intento commerciale, dei dati da loro forniti, e, più in generale, delle finalità remunerative che sottendono la fornitura del servizio di social network, enfatizzandone la sola gratuità; in tal modo, gli utenti consumatori hanno assunto una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso (registrazione al social network e permanenza nel medesimo). Le informazioni fornite risultano, infatti, generiche e incomplete senza adeguatamente distinguere tra l’utilizzo dei dati necessario per la personalizzazione del servizio (con l’obiettivo di facilitare la socializzazione con altri utenti “consumatori”) e l’utilizzo dei dati per realizzare campagne pubblicitarie mirate.

venerdì 17 agosto 2018

Contro l'abbandono degli animali: cosa fare per salvare loro la vita

Purtroppo siamo al corrente del fatto che il numero di animali abbandonati, in particolare cani e gatti, aumenta di anno in anno, fino ad arrivare, secondo gli ultimi accertamenti, a cinquantamila cani e ottantamila gatti rigettati.

Vi ricordiamo che l'abbandono del vostro amico a quattro zampe comporta anche una vostra responsabilità penale con le relative conseguenze (vedi questo esempio).

Ma cosa possiamo fare noi, nel caso in cui avvistassimo un animale abbandonato?

sabato 21 maggio 2016

Garante Privacy - Facebook attivi più controlli tra gli utenti

Fonte: Newsletter n. 414/2016
Facebook dovrà comunicare ad un proprio utente tutti i dati che lo riguardano – informazioni personali, fotografie, post - anche quelli inseriti e condivisi da un falso account, il cosiddetto "fake". Non solo: la società di Menlo Park dovrà bloccare il fake ai fini di un'eventuale intervento da parte della magistratura. Lo ha stabilito il Garante per la protezione dei dati personali nella sua prima pronuncia nei confronti del colosso web [doc. web n. 4833448], nella quale afferma la propria competenza a intervenire a tutela degli utenti italiani. Il social network dovrà, inoltre, fornire all'iscritto, in modo chiaro e comprensibile, informazioni anche sulle finalità, le modalità e la logica del trattamento dei dati, i soggetti cui sono stati comunicati o che possano venirne a conoscenza.

venerdì 5 febbraio 2016

Attenzione all'aggiornamento emoji di WhatsApp. E' un virus

La Polizia di Stato ha segnalato, attraverso la sua pagina su Facebook, la rapida diffusione di un nuovo e pericoloso virus attraverso la piattaforma telefonica WhatsApp, molto usata dai possessori di smartphone.

Risulta, in particolare per coloro che possiedono un iPhone Apple, che viene chiesta l'autorizzazione per l'aggiornamento di Whatsapp con il file "emoji", che si presenta con un generico messaggio proveniente al numero di telefono della vittima del tentativo di truffa. In verità, questo file consiste in un virus che può danneggiare il vostro smartphone o comunque essere causa di ulteriori danni.

domenica 15 febbraio 2015

La Cassazione riconosce la molestia via Facebook

Anche questa domenica proponiamo un precedente giurisprudenziale che esula dalla materia trattata nel blog, ma che riteniamo comunque interessante, in quanto vengono trattati dei comportamenti tenuti dagli utenti di internet e le possibili conseguenze penali. 

L’evoluzione dei rapporti sociali virtuali, infatti, ha comportato l’inevitabile incremento di condotte criminali on line da parte degli utenti che accedono alla rete. Molto spesso, coloro che navigano in internet non immaginano che la propria condotta sia idonea a violare delle norme del codice penale. In altri termini, la percezione della condotta illecita è minore nel web, con conseguente maggior propensione a compiere atti contrari alla legge. Nei social network è è possibile verificare questa tendenza, in quanto sono maggiori le ipotesi ove lo scambio di ingiurie e molestie tra gli utenti. 

Le molestie on line sono state oggetto del recente intervento con il quale la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale la molestia può essere commessa anche on line, attraverso l’accesso ad una piattaforma digitali quale Facebook. 

Ne consegue che è molesto anche il commento postato nella pagina Facebook di altro utente, laddove si configuri il reato di cui all’art. 660 cod. pen. “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516”.

domenica 8 febbraio 2015

Il furto della password non esclude la responsabilità del titolare dell'account

Questa domenica vi proponiamo una nuova sentenza in materia di condotte illegali in internet e possibili conseguenze penali.

Anche questa pronuncia, come quelle delle ultime settimane, ci da l'occasione di trattare un argomento molto attuale, ossia quali sono le conseguenze penali per il titolare di un account, nel caso in cui, sottratta la password, un terzo utilizzi il suo profilo per diffamare altri utenti di un social network.

Nel caso di specie, un titolare di un profilo Facebook si vedeva sottrarre la password da parte di altra persona, la quale cominciava a lasciare messaggi ingiuriosi sulla pagina del noto social network.

Il titolare del profilo provvedeva, in seguito, a denunciare il furto della password, rendendo noto di non aver mai scritto alcuno dei messaggi incriminati.

La Cassazione, intervenuta nella vicenda, ha ritenuto comunque ritenuto responsabile penalmente il titolare del profilo Facebook per gli insulti postati in rete, considerando del tutto irrilevante la circostanza che vi sia stata una denuncia di furto della password.

Di seguito, la sentenza della Cassazione.

venerdì 30 maggio 2014

“Social privacy”–arriva il vademecum del Garante privacy

Il Garante privacy propone una nuova guida in aiuto degli utenti digitali, al fine di avvisarli dei potenziali rischi collegati all’utilizzo dei social networks. 

Il vademecum proposto dall’Autorità, che potete leggere qui di seguito, offre una completa analisi delle questioni ed i problemi collegati a questa nuova forma di conoscenza digitale, proponendo consigli e soluzioni che possano tornare utili per coloro che si sono affacciati solo di recente a questa nuova realtà. 

Il Garante intende, con questo breve libro digitale, aumentare la consapevolezza degli utenti in merito a questi strumenti digitali, offrendogli soluzioni per la propria tutela della privacy.

Di seguito, il documento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.

lunedì 30 dicembre 2013

Affitti modici a Campiglio, truffa on-line

Per le settimane bianche e i week-end sulla neve a Madonna di Campiglio venivano offerti su internet appartamenti in affitto a prezzi vantaggiosi. 

Dopo aver pagato la caparra e arrivati sul posto per saldare il conto e godersi la vacanza, i malcapitati turisti si accorgevano però che le abitazioni erano inesistenti. L'ideatore della truffa, un giovane di Bologna, è stato alla fine denunciato dai carabinieri. 
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