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domenica 27 aprile 2025

La Cassazione torna sulla definizione di consumatore nel trading on line

Con l’ordinanza oggetto del nostro commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute al fine di ribadire la definizione di consumatore nei contratti di trading online e la conseguente validità delle clausole di proroga della giurisdizione in favore di fori esteri.


- La vicenda: contratti conclusi con società estere - deroga alla giurisdizione italiana

La vicenda sottoposta alla decisione della Suprema Corte riguarda un contratto di trading on line concluso tra un consumatore italiano ed una società cipriota e che prevede, tra le varie clausole, la deroga al giudice italiano in favore di quello di Cipro. 

A seguito di alcune contestazioni sollevate dal consumatore, quest'ultimo ha convenuto in giudizio la società avanti al giudice italiano (Tribunale di Avellino), ma la società si è costituita sollevando l'eccezione di carenza di giurisdizione richiamando la norma contrattuale che, a detta del professionista, derogherebbe la normativa UE in materia di un contratto “concluso da consumatore”.


- La qualificazione del consumatore - conseguenze

Il Giudice di legittimità ha voluto ricordare i principi che regolano tale materia, riaffermando che la qualifica di consumatore dipende dallo stato soggettivo all'interno del quale opera il contrante e non dalla condotta tenuta dal soggetto contrattuale.

Richiamando il Regolamento CE 44/2001 (norma in seguito sostituita), gli Ermellini hanno ricordato che l’articolo 15, § 1, lett. c) precisa che "[...] la competenza in materia di contratti conclusi da una persona, il consumatore, per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività professionale. Tale disciplina opera in tutti i casi in cui il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali si svolgono nello Stato membro in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato membro o verso una pluralità di Stati che comprende tale Stato membro, purché il contratto rientri nell'ambito di dette attività.". 

Il successivo articolo 16 dispone che l'azione del consumatore proposto verso il professionista può essere introdotta davanti al giudice ove lo stesso è domiciliato, non trovando applicazione eventuali deroghe contrattuali al presente principio.

La Corte ha richiamato la giurisprudenza della CGUE, in particolare la sentenza Petruchová (C-208/18), secondo la quale nemmeno il coinvolgimento in operazioni speculative esclude automaticamente la qualifica di consumatore, prevalendo l'aspetto soggettivo: chi opera come consumatore, può giovarsi della normativa di tutela in qualsiasi situazione.

Nel caso di specie, l'investitore non ha agito quale operatore qualificato, e rientrando tra i consumatori che agiscono per finalità personali, indipendenti da attività professionali, può giovarsi delle norme previste in suo favore.

Cass. SSUU Ordinanza n. 25954/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

domenica 8 ottobre 2023

Consulente finanziario combina guai con l'aiuto del cliente? ridotto il risarcimento del danno

Sono sempre frequenti le vicende che riguardano investitori rimaste vittime dalla condotta scorretta dei consulenti finanziari e/o promotori, i quali causano danni al patrimonio del cliente o, ancor peggio, si appropriano del denaro di quest'ultimo.

In questo blog abbiamo descritto molte di queste vicende, anche quelle che hanno riguardato i finti promotori finanziari (vedi qui), ma anche i casi più semplici di professionista scorretto ed infedele, oppure che opera al di fuori del mandato ricevuto.

In generale, la banca per la quale il consulente presta la propria opera è chiamata a rispondere per i danni cagionati dal proprio dipendente (un esempio), in forza dell'art. 31 comma 3 del Testo Unico della Finanza.

Può accadere, però, che l'inerzia del cliente o, ancor peggio, l'acquiescenza dello stesso alla condotta scorretta del consulente possa essere valutato come elemento che attenua o esclude la responsabilità del promotore infedele.

Stiamo trattando quella che nel nostro codice civile viene definito con il concorso di colpa del creditore disciplinato all'art. 1227 "Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito  secondo  la  gravità  della  colpa  e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore  avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.".

E' il caso affrontato dall'arbitro per le controversie in materia finanziaria, con la decisione n. 6159/2022 che trovate di seguito.

Nel caso di specie, il consulente finanziario aveva tenuto una condotta spregiudicata con le somme messe a disposizione dello stesso dal cliente, con investimenti che si sono rivelati poco soddisfacenti con riduzione del patrimonio dell'investitore.

La vicenda è finita davanti all'arbitro, il quale è stato chiamato ad affrontare diverse eccezioni che non vengono in questa sede trattate, operando infine una valutazione complessiva della condotta tenuta dalle parti, ossia sia il promotore della banca che il cliente.

Se da un lato, l'ACF ha appurato la condotta inadempiente tenuta dal consulente, il quale aveva omesso di informare l'investitore in merito alla tipologia, natura e rischi dei vari investimenti, nonchè non effettuare alcuna valutazione di adeguatezza, dall'altra è stato accertato che il cliente ha partecipato attivamente alla creazione del danno lamentato.

L'aver avvallato gli investimenti spregiudicati, oppure non l'aver evidenziato che certe operazioni erano contrarie al proprio profilo di rischio può essere manifestazione di consenso alla condotta scorretta del professionista e può giustificare una riduzione del danno subito così come chiarito dall'ACF: "appare meritevole di accoglimento l’eccezione, formulata dal resistente, riguardo ad un concorso di colpa della ricorrente nella produzione del danno. Sotto questo profilo appare particolarmente rilevante la circostanza che è la stessa ricorrente ad ammettere di avere creato condizioni favorevoli alla possibilità che il consulente sviluppasse un’attività più rischiosa e non in linea con una sua propensione maggiormente conservativa, accettando di sottoscrivere un questionario che pure sapeva non riflettere adeguatamente il proprio profilo di investitrice. Né si può sottacere che altro profilo di poca diligenza della ricorrente è consistito nell’aver tollerato che questa attività si protraesse per più anni, senza preoccuparsi di monitorare i propri investimenti e di confrontarsi periodicamente con il consulente.".

Arbitro per le Controversie Finanziarie - decisione n. 6159/2022. (visibile con browser Opera - VPN attivo).

domenica 11 dicembre 2022

Polizza assicurativa index linked - le informazioni della banca devono essere chiare e semplici

L'investimento in prodotti finanziari complessi necessita di una conoscenza approfondita da parte di colui che intende trarre profitto dall'intermediazione finanziaria.

Non tutti i consumatori, in particolare i piccoli consumatori, hanno una approfondita conoscenza, ad esempio, della polizza assicurativa index linked, la quale non è un prodotto assicurativo, bensì una vera e propria forma di investimento.

In quest'ottica, il ruolo dell'intermediario finanziario è molto delicato, nel senso che è onere della banca quello di  informare il cliente in merito alla tipologia del prodotto finanziario che sta proponendo, specificando la natura, le caratteristiche ed i rischi collegati a tale investimento.

L'adempimento dell'obbligo informativo deve avvenire in modo trasparente, completo e chiaro, in particolare laddove la proposta di acquisto abbia ad oggetto una polizza assicurativa indicizzata, ossia un prodotto che all'apparenza potrebbe rientrare nella generica definizione di "polizza assicurativa", ma che in realtà consiste in un vero e proprio strumento finanziario.

E' importante, come osservato dalla Corte di Cassazione nel provvedimento che potete leggere di seguito, che le diverse informazioni fornite dalla banca al cliente siano univoche e chiare, non portando il contraente debole in una situazione di disorientamento.

Nella vicenda trattata dal giudice di legittimità, la banca aveva consegnato alcuni documenti (brochure informativa ed alcuni estratti conto) dai quali emergeva che il prodotto finanziario avrebbe garantito il rimborso integrale del capitale, mentre nel prospetto informativo illustrato, tra i rischi di investimento, la possibilità di non poter recuperare tutto l'investimento iniziale.

E l'ambiguità delle informazioni fornite al cliente, e il consequenziale rischio di confusione nel quale quest'ultimo può essere tratto in inganno, deve essere evitato dall'intermediario finanziario, il quale deve tenere una condotta in buona fede rendendo noti i vari rischi connessi all'investimento in uno strumento finanziario complesso.

Giova ricordare che detto dovere informativo deve essere adempiuto dalla banca nella fase precontrattuale, ossia al momento della vendita della polizza indicizzata, proprio con il fine di comunicare al cliente tutte le informazioni necessarie che consentano a questi ultimi di essere "sempre adeguatamente informati" (art. 21 TUF).

La Corte di Cassazione, confermando la pronuncia di merito, ha chiarito che il giudice aveva correttamente accertato che nella brochure informativa il capitale veniva "garantito alla scadenza mediante il rimborso del 100%", mentre il fascicolo informativo non includeva tale garanzia, creando un contrasto informativo, presupposto della violazione delle norme di condotta. 

Osserva la Cassazione che " La violazione rilevante ai fini dell'obbligo restitutorio del capitale versato non è dunque quella della mancata consegna del fascicolo informativo e del prospetto esemplificativo, di  cui trattano i motivi del ricorso, ma la "contraddittorietà" fra l'informativa resa dall'intermediario e quanto risultante dalla brochure informativa e dagli estratti conto.".

Il carattere fuorviante dell'informativa ha disorientato il cliente, non aiutandolo nella scelta dell'investimento nella polizza index linked, con conseguente diritto dello stesso a vedersi restituito il capitale investito.

Cass. Sez. III^ Civ. ordinanza n. 23073/2022

domenica 20 giugno 2021

Omessa valutazione di appropriatezza nell'acquisto di azioni - la responsabilità della banca per il danno subito dal cliente

Torniamo a trattare, questa domenica, la responsabilità dell'intermediario bancario nella vendita di valori mobiliari offerti ad un consumatore.

Nel caso di specie, il consumatore era stato indotto dalla banca ad investire parte dei propri risparmi in titoli divenuti, in seguito, illiquiditi e con una discreta perdita sofferta dall'investitore.

Quest'ultimo si rivolgeva all'arbitro per le controversie finanziarie chiedendo il risarcimento del danno non essendo stato adeguatamente informato dalla banca in merito alle caratteristiche e rischi di investimento, e di non aver ottenuto una adeguata valutazione di appropriatezza delle operazioni di borsa concluse presso la filiale.

Il collegio giudicante ha considerato fondato il ricorso presentato non tanto sotto il profilo delle informazioni che l'intermediario avrebbe fornito al cliente, ma dal punto di vista della valutazione di appropriatezza dell'investimento, ossia conformità rispetto alle caratteristiche, propensione al rischio ed esperienza dell'investitore.

Secondo l'ACF, la banca non avrebbe valutato, ai fini del proprio giudizio di appropriatezza, alcuni elementi di fatto inconfutabili quali: "l’età decisamente avanzata (ottantacinque anni) ed il titolo di studio (licenza elementare) del cliente odierno ricorrente; dall’altro e in ogni caso, la mancanza in atti di elementi che possano far ritenere effettivamente comprovato che la banca abbia svolto una valutazione siffatta.".

Di seguito, ACF - decisione n. 3480/2021 del 7 giugno 2021.

domenica 15 luglio 2018

Investimento disposto via internet? non sempre è valido

Non pare arrestarsi la questione relativa alla validità degli ordini di investimento (disinvestimento) in valori finanziari disposti a mezzo del telefono o altra tecnica di comunicazione a distanza.

Stiamo parlando dei famosi ordini in strumenti finanziari realizzati a mezzo internet, ove il sistema tecnologico sostituisce l'ordinaria attività svolta dal funzionario della filiale.

Abbiamo affrontato in più circostanze l'argomento in questo blog, evidenziando come la giurisprudenza ritenga validi gli ordini impartiti via telefono (o internet), sempreché tale modalità sia specificata nel contratto generale (di mandato) che viene concluso tra cliente e intermediario finanziario (banca), così come chiarito dalla Corte di Cassazione con l'ormai storica sentenza n. 2185/2013.

 L'argomento, invero, è stato oggetto di successivi interventi da parte dei giudici che hanno dibattuto in merito al contenuto delle regole contrattuali e le modalità di trasmissione dell'ordine idonee a soddisfare i limiti dell'accordo generale.

Anche il nuovo Arbitro per le Controversie Finanziarie si è espresso in materia con la recente decisione n. 377 del 13 aprile 2018 che potete leggere di seguito.

L'Arbitro ha avuto modo di osservare che il contratto quadro può/deve essere assimilato ad un generale contratto di mandato, ove il cliente affida in gestione i propri valori mobiliari alla banca, indicando i limiti e le modalità di azione. Tali limiti riguardano, infatti, anche le modalità con le quali vengono impartiti gli ordini di borsa, sicché se la banca non rispetta tali limiti, eccede i limiti del mandato conferito dal mandatario (cliente), rendendosi responsabile degli eventuali danni sofferti da quest'ultimo.

Sicché, nel caso di violazione delle norme inerenti al conferimento dell'ordine di borsa sa parte della banca, può essere identificata una specifica responsabilità della banca, con conseguente obbligo di restituzione degli importi investiti (e persi) dal cliente e non solo l'invalidità dell'operazione.

Qui il provvedimento dell'ACF.

domenica 28 gennaio 2018

I giudici italiani alla "rincorsa" dei bitcoin: controversie e soluzioni - nullo il contratto di commercializzazione a distanza di bitcoin privo di informativa precontrattuale

Come abbiamo già visto in passato (vedi qui), il bitcoin è una criptovaluta digitale distribuita e generata da una rete decentralizzata «peer to peer» (vale a dire, una rete di server uguali tra loro). Questo significa che non esiste alcuna banca o autorità centrale che stampa moneta e influenza il valore di un bitcoin, il quale è dunque affidato solo alle leggi della domanda e dell'offerta. Non c’è un ente centrale ma database distribuito che traccia le transazioni, e sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali come la generazione di nuova moneta e l'attribuzione di proprietà dei bitcoin.

Il fatto che il bitcoin sia una criptovaluta tra le più controverse, elusive e diffuse nella nascente economia digitale, non significa, però, che i governi e le autorità di vigilanza non si stiano attivando per regolare il fenomeno. D'altronde, l'anonimato (o, ancor meglio, l'assenza di tracciabilità) di cui gode questa valuta digitale pone non pochi problemi sia sotto il versante fiscale che sotto quello dell'antiriciclaggio e del finanziamento del terrorismo internazionale (si veda, a tal riguardo, i pioneristici tentativi avviati sin dal D.Lgs. 231/2007 per porre un freno ai  movimenti virtuali di denaro riciclato). 

In questo quadro molto complesso e foriero di nuovi sviluppi, si muove la prima sentenza di un giudice italiano (v. sentenza n. 195/2017 del Tribunale di Verona) che equipara il bitcoin ad un contratto d'investimento. 

Il caso prende le mosse da una società che ha effettuato il bonifico di un'ingente quantità di valuta reale per ottenere da un intermediario finanziario la "consegna" virtuale di valuta bitcoin, ed acquistare su un portale online le quote di partecipazione di una "start up". Tuttavia, per i medesimi non è stato possibile prelevare i bitcoin dall'account creato e gestito a distanza dall'intermediario, né riconvertirli a breve termine in valuta reale, e ciò fino al fallimento della società a cui faceva capo l'intermediario. Come si può notare, emerge il problema della distanza e " virtualità" delle transazioni e, soprattutto, dell'assenza di precisi oneri di informativa da ricondurre, eventualmente, a siffatta operazione. 

Infatti, la motivazione offerta dal giudice rispetto alla domanda di nullità dell'attore ha preso le mosse, testuali parole, dal "rapporto (necessariamente contrattuale) che si perfezionò tra gli odierni attori e la società convenuta, in forza del quale - al di fuori della benché minima "puntuazione" informativa e di qualsivoglia tracciatura formale (...) ebbe luogo il cambio di valuta reale con "bitcoin"." 

In altre parole, si è trattato, in primo luogo, di dare una qualificazione contrattuale all'operazione in esame e, in secondo luogo, di verificare se questa andava assoggettata alla disciplina consumeristica sugli oneri informativi a favore dell'investitore non professionista. 

Sotto il primo versante, il giudice, rifacendosi a definizioni già offerte dalla Corte di Giustizia, ha così statuito: " 
L’operazione di cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti è qualificabile - dal lato dell’operatore - come attività professionale di prestazioni di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori."

Infine, il giudice ha optato per ricondurre all'operazione in oggetto gli obblighi informativi precontrattuali previsti, nel dettaglio , dagli artt. 67 - decies e ss. cod. cons. ed, in sintesi, relativi alla tipologia di investimento ed alla loro adeguatezza verso il consumatore. Dall'inosservanza di tali obblighi discende la nullità (c.d. nullità relativa) del contratto e l'obbligo, da parte dell'intermediario, di restituire le somme. 

In conclusione, sebbene non si sia ancora trovato un punto fermo, è di particolare interesse come la giurisprudenza incominci a ricondurre tali fenomeni, così volatili, sotto categorie "forti" e richiedere oneri stringenti di informativa, alla stregua di un prodotto finanziario. 

Di seguito, il testo del provvedimento.

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