lunedì 1 settembre 2025

Auto elettriche: cosa cambia per i consumatori italiani

Diciamoci la verità, essere proprietario di un veicolo alimentato ad energia elettrica è, ancora oggi, un atto di fede verso il futuro e non una reale ed interessante alternativa.

L’Italia è ancora molto indietro rispetto al resto d’Europa per la diffusione di impianti di ricarica elettrica e per diffusione di veicoli. Ben lontani dalla Danimarca, dove  più di un’auto nuova su due è elettrica.

Nel 2024 in Europa si sono vendute 1,45 milioni di auto elettriche: un dato in calo del 6,1% rispetto al 2023. La crescita sta rallentando, ma il numero complessivo di auto circolanti continua a salire: oggi sono quasi 6 milioni (+32% in un anno).


- La novità che interessa i consumatori: arrivano gli incentivi

La vera svolta per chi vuole comprare riguarda gli incentivi statali, in quanto in queste settimane dovrebbero essere previsti nuovi incentivi per l'acquisto di veicoli elettrici, con la previsione di circa 600 milioni di euro di bonus.

L’obiettivo del ministero è sostenere l’acquisto di almeno 39.000 auto elettriche entro giugno 2026.

Gli incentivi dureranno fino a esaurimento fondi: chi prima arriva, meglio alloggia.

Ciò significa che il consumatore potrebbe giovarsi di uno sconto di migliaia di euro sul prezzo di listino.


- Perché conviene pensarci adesso

L'acquisto di un veicolo ad energia prevede una serie di vantaggi:

- Sconti pubblici: gli incentivi riducono il costo d’acquisto.

- Tecnologia più affidabile: le batterie e i modelli sono più evoluti rispetto al passato.

- Rete di ricarica in crescita: qui si trova il punto debole in quanto le colonnine aumentano, anche se ancora con forti differenze territoriali.

- Risparmio nel tempo: minore manutenzione, niente benzina o diesel, ricariche più economiche.


- Conclusione

L’Italia ha ancora tanta strada da fare per colmare il divario con il resto d’Europa. Ma con i nuovi 600 milioni di incentivi, settembre può essere il momento giusto per fare il salto.

Per i consumatori si tratta di una scelta che unisce risparmio immediato, vantaggi a lungo termine e un contributo concreto alla sostenibilità.

domenica 31 agosto 2025

Corte UE interviene in favore dei consumatori nei mutui in franchi svizzeri

Nuovo intervento della Corte di Giustizia dell'Unione Europea in favore dei consumatori rimasti vittime dei mutui in franchi svizzeri, un particolare tipo di finanziamenti che sono stati proposti ai piccoli consumatori una decina di anni fa (clicca qui).

Sotto questo profilo, la causa C‑396/24 rappresenta un nuovo ed importante passo nella lunga battaglia dei consumatori europei per la trasparenza e l'equità nei contratti di mutuo, soprattutto quelli legati al controverso tema dei mutui indicizzati in valuta estera, in questo caso il franco svizzero (CHF) (per un controllo del mutuo, scrivi a sos@consumatoreinformato.it).


- la vicenda

La vicenda riguarda alcuni consumatori polacchi che avevano sottoscritto un contratto di mutuo in zloty, ma con il capitale e le rate indicizzate al franco svizzero. 

Il franco svizzero era considerato una valuta "forte", stabile e con minore rischio di oscillazione rispetto alla valuta locale, con effetti ridotti per il mutuatario che deve rimborsare il credito attraverso le rate.

Purtroppo, molti consumatori si sono ritrovati con mutui che, in seguito alle variazioni del cambio, sono diventati molto più onerosi rispetto alle previsioni iniziali, spesso senza aver pienamente compreso i rischi che stavano assumendo.


- C - 396/2024: l'intervento della Corte

La Corte è stata chiamata a decidere in merito alla validità di un contratto di mutuo che prevedeva la conversione delle rate e del capitale in base al cambio tra la valuta polacca e il franco svizzero, con applicazione di un tasso di cambio pre determinato unilateralmente dalla banca.

Il giudice comunitario ha rilevato, inoltre, che nel contratto di mutuo non vi era una chiara descrizione dei rischi collegati alla clausola di conversione.

Pe tale ragione, Il giudice polacco ha chiesto alla Corte UE se le condizioni contrattuali potevano essere considerate abusive, in quanto non effettivamente negoziate tra le parti, e quali sono le conseguenze per i consumatori se le clausole risultano illegittime.

La Corte ha voluto ribadire alcuni principi fondamentali a tutela dei consumatori in materia di mutuo:

    1. Protezione contro le clausole abusive

La Direttiva europea 93/13/CEE vieta l'inserimento nei contratti con i consumatori di clausole che creano uno squilibrio significativo a danno della parte più debole, soprattutto se il consumatore non ha avuto modo di comprenderne le conseguenze o se tali clausole non sono state oggetto di una vera negoziazione.

Nel caso dei mutui indicizzati al franco svizzero, è particolarmente importante valutare se:

            - il consumatore è stato adeguatamente informato,

            - il contratto espone in modo chiaro e trasparente i rischi connessi al cambio,

            - il consumatore ha potuto decidere in piena consapevolezza.

Laddove una di queste condizioni non viene rispettata, la clausola contrattuale non può essere considerata valida e vincolante per il consumatore.

    2. Le clausole devono essere comprensibili

A tale prima forma di tutela, la Corte ne fa seguire una ulteriore che incide direttamente nel modello contrattuale e nella modalità con la quale le informazioni vengono rese note al consumatore.

Sotto questo profilo, il professionista non deve limitarsi a riportare la clausola nel contratto, ma la sua esposizione deve essere comprensibile, sia sul piano formale che sostanziale

Deve essere garantito al contraente debole, il consumatore, la possibilità di comprendere non solo il significato letterale delle clausole, ma anche le conseguenze economiche concrete, come l'effetto di un aumento del cambio CHF/PLN sulle rate o sul debito residuo.

Laddove la clausola non è trasparente e chiara, la stessa dovrà essere dichiarata nulla dal giudice.

    3.  Clausola nulla - le conseguenze

Se una clausola abusiva è essenziale per l'equilibrio del contratto, il giudice può arrivare a dichiarare l'intero contratto nullo. In tal caso, il consumatore ha diritto:

  • alla restituzione delle somme pagate in eccesso;
  • a vedere ricalcolato il mutuo in modo equo;

La nullità della clausola contrattuale non comporta, in linea di massima, la nullità dell'intero contratto di mutuo, salvo casi ben specifici.

Corte di giustizia Unione europea C- 396/2024

venerdì 29 agosto 2025

Vestiti usati, e poi?


Fonte: RSI - Patti Chiari

lunedì 25 agosto 2025

Cosa sono i certificates proposti dalle banche e convengono davvero ai risparmiatori?

Fonte: Open
16 giugno 2025
Beppe Scienza, ombudsman dei risparmiatori italiani, spiega come funzionano e quali sono i più validi. 

I certificati o certificates sono titoli di debito con una componente di derivati. Emessi dalle banche, hanno un valore collegato alle attività finanziarie sottosostanti. Che possono essere azioni, indici azionari, tassi di interesse, valute e materie prime. Per i risparmiatori sono una novità rispetto ad azioni e obbligazioni. Possono essere più o meno rischiosi, più o meno complessi. Banche e reti li spingono molto. Oggi, mercoledì 18 giugno è previsto il webinar I certificati convengono ai risparmiatori? organizzato dal professor Beppe Scienza dell’Università di Torino. Open ha posto al professore e ombudsman dei risparmiatori alcune domande sull’argomento.

Questa volta c’è un prodotto bancario su cui lei non spara a zero. I banchieri sono diventati buoni?

«Non mi risulta. Oltretutto i loro comportamenti discendono da convenienze obiettive più che dalla loro volontà. Il punto è che i certificati non rientrano nel risparmio gestito. Sono piuttosto paragonabili alle obbligazioni. Infatti pure fra di esse ne esistono da non scartare, soprattutto fra quelle già in circolazione».

Cosa sono i certificati o certificates, come anche si dice?

«Tecnicamente sono titoli sintetici costruiti inglobando un’obbligazione (a cedola nulla) e una o più opzioni».

Non è molto chiaro, così.

«Concordo, meglio evidenziare per cominciare i loro vantaggi. Essi permettono anche a un piccolo risparmiatore di scommettere su un mercato azionario, per es. la Borsa italiana o Eurostoxx 50 cioè le principali azioni dell’eurozona. Oppure su una singola azione o su materie prime, ma ottenendo quanto investito o poco meno, se si perde la scommessa».

Ma questo è un miracolo?

«Non è la garanzia del capitale a fronte della rinuncia ai dividendi. A proposito: fare attenzione che siano certificati a capitale proprio garantito e non condizionatamente protetto, che non significa nulla».

Nessuno svantaggio?

«Sì invece. Manca ogni protezione dall’inflazione e lo stesso rendimento nominale a scadenza può risultare nullo».

Ma nella sostanza lei consiglia di sottoscrivere i certificati che banche e reti propongono?

«Nient’affatto! Ben di rado quelli proposti in sottoscrizione sono i migliori, anzi di regola sono i peggiori, perché incorporano alti costi di “fabbricazione”. Cioè margini di guadagno per l’emittente e la rete di vendita. Di regola io non guardo neppure le loro caratteristiche: li scarto in blocco. Ci sono invece certificati interessanti fra le centinaia in circolazione».

Come individuarli?

«Purtroppo i certificati sono titoli complessi e a volte anche troppo complicati. Adotterei due regole, forse semplicistiche ma sensate. Primo, comprarne solo con rimborso garantito e prezzo inferiore o poco superiore. Se il rimborso garantito è 100, non ne prenderei uno che quota 110 o più. Secondo, evitare quelli che non si capiscono».

Ma come capirne il funzionamento?

«Ci sarebbe un documento, il Kid, in genere alquanto lungo. Dati sintetici (scadenza, minimo garantito, mercati o titoli cui è indicizzato) si trovano in questo sito fornendo il codice Isin del certificato che interessa».

C’è un problema di tagli minimi?

«Di rado, diversamente che con le obbligazioni dove le migliori spesso richiedono un investimento minimo sui 100.000 o 200.000 euro o dollari».

domenica 24 agosto 2025

C-351/23: La Corte di Giustizia UE rafforza i diritti dei consumatori nel mercato unico

La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea nella causa C-351/23 rappresenta un importante punto di riferimento per la tutela dei diritti dei consumatori nell’ambito del mercato unico europeo.

In questa pronuncia, la Corte affronta questioni cruciali relative all’applicazione uniforme delle norme UE a tutela dei consumatori, in particolare riguardo alle pratiche contrattuali e alla trasparenza delle condizioni poste dalle imprese nei confronti dei consumatori finali.


A.- Principali aspetti della sentenza

Il provvedimento oggetto del nostro commento è rilevante perché puntella alcuni principi cardine in materia di diritto dei consumatori.

Tutela rafforzata del consumatore: La Corte ribadisce il principio secondo cui le disposizioni in materia di protezione dei consumatori devono essere interpretate in modo da garantire un elevato livello di tutela, ponendo il consumatore in una posizione di maggiore equilibrio rispetto all’impresa. Questo è coerente con l’obiettivo del legislatore europeo di creare condizioni di trasparenza e correttezza contrattuale, in modo da evitare abusi o clausole vessatorie.

Uniformità di applicazione delle norme UE: La sentenza sottolinea l’importanza che le norme europee in materia di tutela del consumatore siano applicate in modo uniforme in tutti gli Stati membri, evitando disparità che possano nuocere alla fiducia del consumatore nel mercato unico. Ciò rafforza il principio di sicurezza giuridica e di parità di trattamento tra consumatori europei.

Chiarezza e trasparenza contrattuale: Un punto focale riguarda la necessità che le condizioni contrattuali, soprattutto quelle predisposte unilateralmente dall’impresa, siano redatte in modo chiaro, comprensibile e trasparente, affinché il consumatore possa prendere decisioni consapevoli. 

La Corte evidenzia che eventuali ambiguità o condizioni poco trasparenti devono essere interpretate a favore del consumatore.

Impatto sulle clausole vessatorie e pratiche commerciali scorrette: La sentenza conferma che le clausole contrattuali che creano uno squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti a discapito del consumatore possono essere considerate nulle, rafforzando così il meccanismo di protezione contro le pratiche commerciali sleali.


B.- Rilevanza per la tutela dei consumatori

Questa pronuncia è un ulteriore rafforzamento del quadro giuridico europeo a tutela dei consumatori, confermando la centralità della trasparenza, dell’equilibrio contrattuale e della corretta informazione come strumenti fondamentali per garantire una protezione effettiva.

Per i consumatori, ciò significa una maggiore sicurezza nell’acquisto di beni e servizi, soprattutto in un mercato sempre più complesso e digitale, dove la tutela deve essere adeguata alle nuove forme di contrattazione e alle possibili asimmetrie informative.

Per le autorità nazionali di tutela e per gli operatori economici, la sentenza rappresenta un monito a rispettare rigorosamente le norme europee, prevedendo controlli e sanzioni efficaci contro pratiche abusive, e promuovendo la formazione e l’informazione dei consumatori stessi.

Di seguito, la sentenza della Corte di giustizia UE C - 351/23

venerdì 22 agosto 2025

lunedì 18 agosto 2025

Alfabetismo digitale: cosa (non) ci dice il rapporto AGCOM

La recente relazione di AGCOM sull'alfabetismo digitale ha disegnato un quadro variegato relativamente alla relazione tra gli italiani e il nuovo mondo digitale, lasciandoci un po' perplessi in merito alle conclusioni raggiunte. 

La relazione che trovate di seguito teorizza che il 90% degli italiani accede a Internet tutti i giorni, ma pur essendo perennemente collegati alla rete e ai social, secondo l'ultimo rapporto AGCOM sull'alfabetizzazione digitale e mediatica, pere che il "consumatore medio di connessione" sia impreparato ed esposto a rischi telematici a cui non sa come difendersi.


(1) Cosa ci vuol far sapere AGCOM

La relazione, che trovate in calce a questo nostro intervento, evidenzia come i consumatori abbiano una connessione adi internet variegata, ossia non solo attraverso il pc, ma anche (e specialmente) con smartphone, ma anche smart TV ed altri dispositivi di ultima generazione.

Nessuno è escluso da questo mondo digitale, anche se sapere usare un dispositivo non significa saperlo gestire in modo critico e consapevole. 

Secondo i dati proposti, solo il 7% degli italiani, ad esempio, ha un buon livello di alfabetizzazione algoritmica, ossia comprende davvero il ruolo che gli algoritmi hanno nel decidere cosa vediamo online. E più sale l'età e minore e maggiore è la percentuale di colo che non hanno nessuna o scarsissima consapevolezza su questi meccanismi.


(2) Disinformazione, odio e fake news: il far west dei contenuti

E' chiaro che il mondo digitale ha ampliato i contenuti proposti ai consumatori, riducendone l'attendibilità sia in merito alla provenienza che al contenuto, chiamando il fruitore ad un'analisi critica più approfondita.

Il dato proposto dalla Relazione è, sotto questo profilo, inequivocabile: il 43,5% degli italiani si imbatte frequentemente in contenuti di disinformazione. 

E qui casca l'asino: più della metà della popolazione vede fake news, hate speech, revenge porn, ma solo una minoranza sa come reagire e quali contromisure adottare. 

Gran parte di noi, di fronte ad un contenuto falso e offensivo, evita il canale andando oltre.

Nel frattempo, minori e giovani si muovono in questo mare digitale senza bussola: tre su quattro hanno già avuto esperienza di contenuti pericolosi come sfide social estreme, cyberbullismo o contenuti sessuali indesiderati, così come riferisce l'Autorità. 


(3) Possiamo fare affidamento sulle istituzioni? Sì, ma…

Il rapporto AGCOM segnala che i cittadini, soprattutto i minori, nutrono ancora fiducia nella scuola e nelle istituzioni per la propria educazione digitale. Bene. Ma poi? 

Il 44% degli italiani non si rivolge a nessuno per avere indicazioni su un uso consapevole dei media ed anche il lettore di questo contributo può ben comprendere che il dato è inquietante  perché attesta il distacco tra i navigatori della rete e i soggetti pubblici, ossia coloro chiamati a controllare questo non più nuovo mondo.

La verità è che le iniziative, quando ci sono, sono spesso episodiche, scollegate e poco incisive. Si parla di tavoli di coordinamento, deleghe ai Corecom, progetti scolastici… Ma la sensazione concreta, per chi vive la rete tutti i giorni, è che si navighi a vista in un mare digitale senza regole.


(4) Svegliati consumatore: alfabetizzazione digitale è tutela, non accessorio

La verità che la Relazione non rivela è che il consumatore deve comprendere che l'educazione alla navigazione in rete, ossia l'alfabetizzazione digitale non è un fastidioso argomento da blog dei consumatori, ma è un necessario presupposto che consente di accedere ai contenuti digitali in modo corretto e sapendo come ci si può tutelare.

In altri termini, in questi casi vale ancor di più il solito antico modo di dire "sapere è potere".

Il tema dell'alfabetizzazione digitale viene spesso relegato a un problema "educativo", quasi fosse una questione scolastica, ma invero è, prima di tutto, una questione di tutela dei consumatori.

Chi non conosce la rete e gli algoritmi, e il loro funzionamento, è in una posizione di debolezza; chi non riconosce la disinformazione, chi non comprende le dinamiche dei social, è più esposto alle truffe online e agli abusi commerciali; chi non conosce la rete è soggetto al  consumo inconsapevole di contenuti illegali o comunque ad un'informazione drogata e manipolata.

Un consumatore informato è un cittadino che meglio si tutela, risultando meno vulnerabile alle insidie telematiche (c.d. cyber risk).

Sotto questo profilo, vanno bene i rapporti annuali e i tavoli con le associazioni, ma per tutelare davvero i consumatori serve ben altro che la relazione non individua in modo accurato.

Noi parliamo di formazione obbligatori nelle scuole con specifiche figure che non siano i docenti, a loro volta ignoranti telematici; campagne informative che spieghino con linguaggio chiaro come difendersi; una politica di pressione sui giganti digitali per rendere gli strumenti di controllo e personalizzazione veramente accessibili e comprensibili; sportelli territoriali, magari nei Comuni o nelle biblioteche, dove i cittadini possano ricevere assistenza digitale di base; una educazione digitale anche rivolta agli adulti e, soprattutto, per gli anziani, la fascia più vulnerabile e più dimenticata.

AGCOM ci consegna numeri che dovrebbero preoccupare tutti, non solo gli addetti ai lavori, ma anche i cittadini, in quanto il digitale non è un optional, è l'ambiente in cui viviamo ogni giorno. 

Sotto questo profilo chi vi scrive ritiene che non possiamo permetterci di lasciare milioni di persone inconsapevoli, disinformate e vulnerabili ed è necessario apportare correttivi idonei a prevedere una tutela nei confronti delle categorie più svantaggiate.

Chi tutela i consumatori deve alzare la voce: senza alfabetizzazione digitale, non c'è vera libertà di scelta, né sicurezza. E questo, lo ribadiamo, non è un problema da nerd o smanettoni. È una questione di diritti fondamentali.

Di seguito, la Relazione di AGCOM.

domenica 17 agosto 2025

Cassazione: la notifica dell'atto fiscale deve rispettare la procedura della raccomandata informativa

Anche l'Agenzia delle Entrate Riscossione deve rispettare i limiti previsti dalla legge e seguire la procedura di notifica prevista ex lege.

Questa è la morale che si può desumere dalla lettura dell'ordinanza n. 14089 del 2025, provvedimento oggetto del nostro intervento odierno e mediante il quale la Corte di Cassazione è tornata a dare una risposta in merito alla  la validità delle notifiche degli atti impositivi, con particolare riferimento al meccanismo della consegna a persona diversa dal destinatario e al successivo invio della raccomandata informativa, previsto dall’art. 60, comma 1, lett. b-bis, DPR n. 600/1973.

Nel caso di specie, una società aveva proposto ricorso contro una intimazione di pagamento ricevuta dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione, contestando, tra le altre, la nullità delle notifiche per mancata produzione delle raccomandate informative prescritte dalla normativa tributaria.

Notifica nelle mani di "persona di famiglia": quando è valida? 
l'obbligo di invio della raccomandata informativa (art. 60 D.P.R. 600/1973)

Occorre premettere che la vicenda oggetto dell'intervento degli Ermellini vede coinvolta una società, ossia una persona giuridica, e il quadro normativo si distingue  tra normativa generale civilistica e disciplina speciale tributaria.

Sul versante civilistico, l’art. 145 c.p.c. consente la notifica presso la sede legale o effettiva della società, con consegna dell'atto al rappresentante legale, alla persona incaricata o, in subordine, ad altra persona fisica qualificata, richiamando, ove necessario, le modalità ordinarie degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.

Se, però, si tratta di notifica di atti tributari, la normativa generale cede il passo alle specifiche norme previste in tale materia, ed in particolare l'art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973.

La norma in parola ha subito una sostanziale modifica nel 2006 (art. 60, comma 1, lett. b -bis), con la quale è stato previsto un onere aggiuntivo per il perfezionamento della notifica, ove l'atto venga consegnato a soggetti diversi dal destinatario (es. persona di famiglia, addetto alla casa): la notifica deve essere integrata dall'invio della c.d. raccomandata informativa.

Tale adempimento non ha carattere meramente formale o accessorio, ma costituisce elemento strutturale e indefettibile ai fini della validità della notificazione. Non è quindi sufficiente la sola spedizione dell’atto, ma occorre che sia documentalmente provata tanto la spedizione quanto la ricezione della raccomandata informativa da parte del destinatario. In assenza di tale adempimento, la notifica deve considerarsi non perfezionata.


- Cassazione - l'Agenzia delle Entrate deve inviare la raccomandata informativa

La Suprema Corte, con motivazione estremamente dettagliata, ha operato una netta distinzione:

  • per le cartelle notificate nel 2004, ha escluso l’obbligo della raccomandata informativa, trattandosi di notifiche antecedenti alla modifica normativa del 2006;
  • per gli avvisi di intimazione del 2008, ha ritenuto invece essenziale la produzione della raccomandata informativa, atteso che, in caso di consegna dell’atto a persona diversa dal destinatario (nel caso di specie, un addetto alla casa), la normativa tributaria vigente già prevedeva tale adempimento a pena di nullità.

La Cassazione ha così cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, rinviando al giudice di merito per verificare se vi sia agli atti valida prova dell’avvenuto invio e ricezione delle raccomandate informative per gli avvisi di intimazione notificati nel 2008.

La decisione ribadisce un principio ormai consolidato, ma spesso trascurato nella prassi: la notificazione fiscale a persona diversa dal destinatario richiede sempre l'invio della raccomandata informativa, la cui omissione determina la nullità della notifica stessa.

Qui di seguito, il provvedimento n. 14089/2025 della Cassazione (Visibile con browser Opera - VPN attivo).

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